di Alexik

Ci eravamo lasciati, al termine del capitolo precedente, commentando i dati elaborati da Alessandro Senaldi sulla velocità dei processi contro il movimento No TAV. Una velocità sorprendente, più che doppia a confronto della media dei processi chiusi in primo grado nel Belpaese.
Davanti a tanta celerità eravamo quasi sull’orlo di encomiare il Tribunale di Torino per il dinamismo dimostrato, se non fosse che alla fine del 2017 lo stesso Tribunale poteva ‘vantare’, come risultato della propria attività, la caduta in prescrizione del 34% dei processi, a confronto del 9,48% della media nazionale.

Detta in altri termini, mentre il 34% dei processi (riguardanti svariate tipologie di reati, dalle violenze sessuali sull’infanzia all’appropriazione indebita) si risolveva in una sentenza di non luogo a procedere per il superamento dei termini di durata, quelli contro i No TAV correvano “ad alta velocità”.
Due fenomeni del tutto coerenti: quante risorse dell’apparato giudiziario sono state dedicate, negli anni, alla tutela della grande opera, tante risorse sono state sottratte ad altre aree dell’attività giudiziaria stessa, evidentemente sacrificabili rispetto a ciò che è stato ritenuto prioritario.

Il fatto è che nella tutela della grande opera la funzione del procedimento penale non è semplicemente quella di stabilire violazioni o meno di precetti o decretare sanzioni per gli eventuali rei, ma di produrre effetti immediati sul terreno del conflitto.
Comminare sanzioni più velocemente possibile, anche anticipandole attraverso l’uso copioso delle misure cautelari, serve – o vorrebbe servire – a bloccare i militanti più attivi, dissuadere dalla lotta, sottrarre energia al movimento di opposizione, impegnandolo nelle attività di contrasto della criminalizzazione giudiziaria (difesa legale, crowdfunding, presenza ai processi, sostegno agli arrestati, ecc.).
In questo senso anche la velocità dei processi è funzionale a un uso del diritto come “diritto penale di lotta”.

Nelle parole del giurista Massimo Donini: “Adesso è il diritto stesso, nella sua ‘progettualità’ prima ancora che nella sua ‘funzione’, ad essere concepito come il mezzo per uno scopo diverso dalla semplice tutela di beni o dalla ‘giusta’  regolazione  di  rapporti…  L’autore  dei  fatti,  il  trasgressore,  è  l’avversario  che  esprime  o  rappresenta  in  modo contingente  il  fenomeno  contro  il  quale  gli  organi  pubblici  useranno  le  armi  del  diritto.  Il ‘diritto’ è dunque per gli organi pubblici, mentre i trasgressori sono destinatari di un’azione di  contrasto.  Lo  scopo  è  vincere  (non  solo  combattere)  quel  fenomeno,  e  tanto  il  diritto penale sostanziale quanto il processo ne sono direttamente coinvolti1.

Torniamo dunque all’analisi dei processi, come espressione del “diritto penale di lotta”.

Il processo “di polizia”

Le udienze dei processi contro il movimento No TAV sono popolate da un “attore dai mille ruoli” che di volta in volta svolge funzioni di testimone, parte offesa, esperto, perito, parte civile, rappresentante di sindacati di categoria, scorta ai magistrati, sorveglianza delle condotte fuori e dentro il tribunale, ecc.
L’onnipresenza delle forze dell’ordine caratterizza ogni fase dei procedimenti contro i militanti, come ‘normale’ continuazione di una militarizzazione che inizia dal territorio.
Del resto la scelta dello Stato di portare il confronto con l’opposizione al TAV sul piano dell’ordine pubblico è all’origine di gran parte dell’azione penale contro il movimento stesso.
Una scelta non estemporanea, ma che si articola per gradi:

-La negazione di ogni possibilità di partecipazione popolare sulle scelte che riguardano il territorio. La negazione, dunque, di ogni possibilità di opposizione efficace tramite un iter politico istituzionale.
-La negazione di ogni possibilità di opposizione efficace tramite un iter legale, visto che le denunce per gli illeciti della grande opera cadono nel vuoto.
-Il liquefarsi di ogni sorta di mediazione politica, e la delega della “rappresentanza dello Stato” alle autorità dell’ordine pubblico.

Le FF.OO. diventano dunque l’unica interfaccia dello Stato nel rapporto con l’opposizione popolare, e il loro intervento contro le azioni oppositive degli attivisti crea di per sé i reati da imputare che, come abbiamo visto già nel capitolo precedente, derivano in gran parte dalla frizione fra manifestanti e polizie.
Fin dall’origine, sulla cd “scena del delitto”, sono presenti le truppe antisommossa, mentre la presenza della digos si può dire che preceda il “delitto” stesso, visto che la schedatura dei militanti viene operata in fase preventiva.

Non stupisce, quindi, il fatto che nei processi contro il movimento la presenza delle FF.OO. sia preponderante.
Nella sua ricerca sui procedimenti contro il movimento No TAV, di cui una sintesi è disponibile sul sito della rivista Studi sulla questione criminale, Alessandro Senaldi, analizzando 176 trascrizioni dei verbali di udienza, ha potuto riscontrare come su una totalità di 565 attori della categoria “testimoni, consulenti tecnici e periti”, quasi il 60% appartenesse alle forze dell’ordine.

Un numero nettamente superiore all’insieme di tutte le altre tipologie di testimoni: militanti no tav, amministratori locali, operai del cantiere, personaggi famosi, giornalisti, parti terze offese, ecc.

Sarebbe interessante verificare se questo dato non rifletta anche una tendenza all’esclusione dai processi di testimoni presentati dalla difesa, tendenza verificata da Xenia Chiaramonte nella sua analisi degli atti del maxi processo No TAV2.
In quell’occasione i PM chiesero di “escludere  le  testimonianze  che  riguardano  l’uso  dei lacrimogeni …,  escludere  quelle  dei  medici  del pronto soccorso che hanno stilato i certificati alle persone offese negli scontri … e  tutte  le  deposizioni  circa “l’opportunità e la necessità dell’opera che esulano dall’oggetto del processo3.  La richiesta dei PM venne accolta.

Le analisi di Senaldi e Chiaramonte, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, mostrano come l’asse centrale della costruzione dei processi consista nella narrazione di polizia. Soffermiamoci sull’analisi di Xenia sul maxiprocesso, che entra maggiormentre nei meccanismi e nei dettagli.
La narrazione di polizia si impone in maniera diretta, tramite le numerose deposizioni degli appartenenti alla FF.OO., che non solo si contano, ma si pesano in maniera differente.

Il  [maxi]processo  è  stato  basato  sulle  testimonianze  dei pubblici  ufficiali.  Infatti,  quelle dell’accusa sono, per il fatto di essere istituzionali, testimonianze già intimamente e simbolicamente garantite dal suggello della credibilità4.

La narrazione di polizia si esprime anche in forma indiretta tramite i PM del “gruppo TAV”, che vi aderiscono totalmente, mutuando anche il linguaggio tipico delle annotazioni di polizia.

La fonte che l’Accusa utilizza nelle requisitorie risiede in larga misura in  quel  sapere  poliziale  che  si  forma  nel  corso  di  anni  di  monitoraggio  di  un’area politica.  Questo  confluisce  in  schede,  che  a  loro  volta  producono  delle  annotazioni che  la  polizia  giudiziaria  offre  alla  Procura  e  che  la  Procura  fa  confluire  nel procedimento  penale” 5.

Sulle schede di polizia viene basata la ricostruzione della personalità degli imputati, utilizzando dettagli che mirano a suggerirne la pericolosità anche in assenza di precedenti penali. Le schede contengono informazioni che in teoria nulla dovrebbe avere a che fare col processo, quali l’orientamento politico, il gruppo di appartenenza, le frequentazioni private amicale e sentimentali, i luoghi di ritrovo frequentati, la partecipazione a convegni e manifestazioni, ecc.
Per questo tipo di ‘lavoro’ la Questura di Torino vanta una lunga e accertata esperienza, dai tempi in cui il questore Guida e i funzionari dell’allora Ufficio Politico della Questura venivano stipendiati dalla Fiat per collaborare nel redigere le schedature di migliaia di dipendenti ed aspiranti tali, dei loro familiari, di politici della sinistra, sindacalisti, giornalisti6. Le schedature di oggi su* compagn* ricordano quelle di allora in maniera impressionante.

Alla siffatta stigmatizzazione degli imputati si affianca poi la ricostruzione dei fatti oggetto del procedimento.
Dall’analisi del maxiprocesso, vediamo come questo onere sia principalmente prerogativa  del dirigente della Digos Giuseppe Petronzi7, addetto alla ricostruzione ufficiale.
Seguono le numerose testimonianze della “truppa”, piene di contraddizioni, di non ricordo”, di omissioni sulle violenze esercitate sui manifestanti.
Testimoni che si muovono come gruppo, coprendo le responsabilità dei colleghi nelle violenze, e che sono, in molti casi, anche ‘portatori di interesse’, visto che partecipano alla richiesta di risarcimenti sulla base di certificati medici “generosi”.
Testimoni che, nonostante siano un po’ confusi, possono generare comunque anni di galera, perché ogni pretesa lesione, per quanto di attribuzione vaga, tramite lo strumento del concorso si tramuterà in condanne.

Tutti i video proiettati in aula sono prodotti dalla polizia.

Il cortocircuito sta nella coincidenza della stessa parte in qualità di costruttore della prova filmica, testimone che depone a partire da quella prova filmica…,  entrambe prove – video e testimonianza – sulle quali si basa il pool della Procura cui è di fatto affidata la questione (No) Tav, e che persegue numerosi fatti di reato a carico dei No Tav, e raramente (ossia mai) quelli a svantaggio degli stessi. E’ un conflitto di interessi che un ragionamento logico tutto sommato semplice consente di svelare“.

I testi di ora sono sul campo allora, sono coloro cui è affidato l’ordine pubblico, coloro che in veste collettiva si costituiscono nella forma del sindacato, poi sono coloro che raccontano i fatti, coloro la cui narrazione è considerata credibile e diviene “ufficiale” in toto, le cui contraddizioni, omertà, reticenze, non sono oggetto di maggiore interesse lungo il corso dell’esame testimoniale, sono coloro che non sono indagati, se indagati sono poi chiuse le indagini con archiviazione8. (Continua)


  1. M. Donini, Diritto penale di lotta vs diritto penale del nemico, in: AAVV, Contrasto al terrorismo interno e internazionale, Giappicchelli Editore, 2006, p. 23. 

  2. Ci si riferisce al processo istruito contro il movimento per i fatti relativi allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena del 27 giugno 2011 ed alla successiva manifestazione del 3 luglio, che ha visto il coinvolgimento di 53 imputati. 

  3. Xenia Chiaramonte, Governare il conflitto. La criminalizzazione del movimento No TAV, Meltemi, 2019. 

  4. Ibidem. 

  5. Ibidem. 

  6. Vedere su Carmilla: Un granello di sabbia/3 

  7. Un breve curriculum di Giuseppe Petronzi, da meno di un mese promosso a questore di Milano, è riportato in Dall’Fbi a Guantanamo, passando per i No Tav: ecco chi è Giuseppe Petronzi, nuovo questore di Milano. Sulle modalità di conduzione, da parte di Petronzi, dell’inchiesta che portò alla morte di Sole e Baleno, si rimanda a: Tobia Imperato, Le scarpe dei suicidi. Baleno, Sole , Silvano e gli altri, Autoproduzione Fenix !, Torino 2003. 

  8. Xenia Chiaramonte, op. cit.