di Iuri Lombardi

Iuri Lombardi, Dizionario delle notti, Arcipelago Itaca, 2020, pp. 92, € 13,00

«Quante declinazioni può avere l’eros in poesia? E se fosse solo una chiave di volta per significati più profondi, per meditazioni dal raggio molto più esteso? È da questa seconda domanda che partirei per una disamina di questo bellissimo libro di Iuri Lombardi. Non sono pochi i testi erotici di questo libro. O almeno, testi che tra le altre mille voci di spesa, annoverano un passaggio su un amore fugace, un incontro nascosto, un amplesso mimato. Tutto ciò condurrebbe a pensare che si tratti di un vitalismo, magari esasperato, ma, tutto sommato, fine a se stesso. E invece abbracci, baci, sesso, non hanno niente di vitale. Cadono tutti sotto l’ombra asfittica del postumo, del dopo. È infatti questo il filo conduttore di questo libro. Un “dizionario”, una sorta di inventario matematico e commerciale delle occasioni di vita più aride e in – quietanti che si possano immaginare. L’autore le registra senza pietà per se stesso, per fornire un quadro veritativo al lettore». [Dalla prefazione di Stelvio Di Spigno].

 

***

L’abbiamo fatto mille volte contro
il muro, in piedi, felici ondeggiando:
è una questione di equilibrio il tenersi
in allerta tra i fusti degli alberi bui
– mi davo a te come un bimbo alla fiaba?
Dimmi adesso a cosa pensi? Luccica
una scia nell’incurvatura della notte;
forse è solo la cometa annunciatrice:
il redentore diserta il suo arrivo.

 

***

Albeggio a intermittenza al balcone
la controra recide gli spauracchi,
copre i corpi abbandonati dalla morte;
la sfida sta nell’incedere muto
di un passo di troppo sulla rupe
il sonno è miele nel nido della via
le case serrate sul nulla:
come Dio non ti sento da tempo.

 

***

È stato presentarmi i tuoi occhi
che mi ha fornito un dolore lieve;
mi domando mille volte cosa:
cosa me ne faccio di questo amore?
Naufrago come tanti su questa
zattera rapida sul plenilunio
in attesa di uno sbarco qualunque.
Quando nascesti piansi di gioia-
non ti conoscevo allora ma già ti
facevo amico e commensale al tavolo
della nostra casa; la famiglia
non è un noi sigillato da un consenso,
ma questo dolore che mi è consegnato.

 

***

Non so più come ci misuriamo
se a brani lungo il gomito del fiume,
contro lo stipite cigolante
della controra che muove l’alfiere
sulla piazza a cui per un istante
il chiaro toglie quell’orto di ombre.
Il cielo mostra, sbavando a neon,
alla terra l’effimero letto
di squarci obliterati nella polaroid.
Un gemito di vento apre brecce
nei cortili empi di canti pellegrini.
Forse è solo una pausa:la vita
non è capace di scrivere in versi.

 

 

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