di Alessandra Daniele

The Hateful Eight di Quentiin Tarantino è un horror molto più che un western.
Alla grammatica dell’horror appartengono la claustrofobia, la paranoia, l’eliminazione progressiva dei personaggi, e naturalmente lo splatter. Tutti elementi che ne fanno quasi una geniale versione retrò di The Thing di John Carpenter.
La ragion d’essere del film risiede però nel brutale e puntuale autoritratto di un’America feroce e razzista di branchi e lupi solitari, accomunati soltanto dalla passione per le armi e le esecuzioni sommarie, alla cui sanguinosa realtà fa da beffardo contrappunto l’elegiaca falsa lettera di Abraham Lincoln che viene letta nel finale.
Il genere che racconta meglio gli Stati Uniti, oggi come sempre è l’horror.
Dal sadico The Purge all’enciclopedico American Horror Story, dal pur decotto The Walking Dead alle centinaia di piccoli inquietanti capolavori come They come at night.
La violenza sistematica, la paranoia strutturale d’una nazione costantemente sul piede di guerra, innanzitutto con se stessa, e sull’orlo di un’Apocalypse vera o presunta da sfruttare come scusa per scatenare i propri istinti più ferini in nome della sopravvivenza.
“Ma abbiamo davvero diritto di sopravvivere a questo prezzo?” Si chiedeva il comandante Adama di Battlestar Galactica.
Che diritto hanno gli Stati Uniti di sopravvivere a spese di tutto il resto del pianeta, e in parte anche del loro stesso popolo?
Novembre s’avvicina, il caffè è pronto, e la pallottola è già in canna.

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