di Fabrizio Lorusso, traduzione di Manuela Loi

[Pubblicato originariamente il 24 gennaio 2019 in spagnolo sui siti A dónde van los desaparecidos, l‘America Latina e Desinformémonos; testimonianze audiovisuali alla fine del testo]

Al 22 agosto 2020 i dati ufficiali del governo messicano mostravano la cifra di 74, 914 persone scomparse, vittime di sparizioni forzate commesse da autorità statali o da gruppi della criminalità organizzata. Negli ultimi dieci anni il Messico ha sperimentato una grave crisi di violenza e scomposizione del tessuto sociale nel contesto di una “guerra al narcotraffico” che dal 2006 in realtà rappresenta una forma di conflitto armato interno e di militarizzazione della sicurezza pubblica per favorire l’estrazione di risorse e il modello economico neoliberale e non una lotta del governo contro “i cartelli della droga”. Decine di collettivi di resistenza e lotta per la verità, la giustizia e la ricerca dei desaparecidos sono sorti in tutto il paese, soprattutto per iniziativa delle donne, madri, mogli, sorelle e solidali unite dallo stesso dolore e dalla ricerca in vita di persone scomparse, ma anche, in molti casi, semplicemente dei loro corpi o le loro ossa, e delle fosse clandestine in cui potrebbero trovarli. In questa realtà distopica, nell’inerzia delle autorità e di parte della società, pochi frammenti ossei e resti umani diventano tesori d’inestimabile valore per le famiglie distrutte dall’assenza. Questa è la storia di uno di loro.

Il collettivo Madres igualtecas en Busca de sus Desaparecidos (Madri di Iguala alla ricerca dei desaparecidos) è un gruppo formato nell’aprile 2018 a Iguala, Guerrero, composto da novantanove donne e quattro uomini che cercano i propri cari scomparsi. 

Il testo consiste in brevi interviste ai membri del gruppo su questioni come la ricerca e il ritrovamento, la memoria, un pensiero che è loro desiderio condividere, e il collettivo. Per questo reportage, concepito nell’ambito di un progetto di ricerca di storia orale patrocinato dalla Universidad Iberoamericana León (Messico), sedici persone hanno scavato nella loro memoria e portato la loro testimonianza. Piano piano, la loro lotta è riuscita a trasformare un dolore comune in un anelito collettivo di ricerca e in coscienza dei diritti che sono stati loro negati. Il dolore e la ricerca delle madri di Iguala e del Messico irrompono nello spazio pubblico e così facendo trascendono, vanno oltre il caso individuale, le cifre ufficiali e la solitudine, per diventare un patrimonio morale di tutta la società contro la paura e l’ingiustizia.

Ispirazioni

Questo lavoro si ispira a due progetti artistici e letterari che recentemente hanno contribuito a rendere visibili le storie delle vittime del conflitto armato in Messico, dando voce e parola a quelli/quelle senza voce in questo momento di nebbie e notti terribili.

Il primo è una mostra di scarpe sulle cui suole vengono incisi messaggi sui temi della “ricerca e il ritrovamento” e che diventano veicoli del pensiero e la memoria dei familiari che cercano i e le desaparecidas. Sono le loro scarpe che recano frasi di dolore, speranza e ricerca, consumate dai chilometri percorsi in manifestazioni, proteste, uffici, strade, deserti e infiniti corridoi burocratici. Ogni testo è riprodotto anche su un foglio con sfondo verde speranza e rappresenta senza mediazioni la volontà dei familiari. Si tratta di un progetto itinerante e collettivo chiamata Huellas de la memoria (Orme della memoria) e che, nelle sue vicissitudini attraverso vari continenti per tre anni, è diventato megafono e cassa di risonanza della lotta all’interno della una Campaña Internacional contra la Desaparición Forzada (Campagna Internazionale contro la Sparizione Forzata).

L’altra fonte d’ispirazione è il progetto Memorias de un Corazón Ausente (Memorie di un cuore assente), un libro di storie di vita dove alcune donne costruiscono la memoria dell’assenza dei propri cari di cui sono alla ricerca. Al di là della sparizione e del loro caso specifico, intessono narrazioni sulla vita, le passioni, i gusti, i ricordi e, infine, la presenza dei propri familiari. Nell’introduzione, Jorge Verástegui González, uno dei fondatori di Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Cohauila (Forze Unite per le Nostre Persone Scompare in Cohauila), descrive un concetto importante: quello della ricerca di vita, che aiuta a capire la comunità del dolore e della speranza che spinge alla lotta molti collettivi. Chi non c’è più ed è cercato, cioè, potrebbe essere o non essere in vita, ma in fin dei conti quello che motiva la ricerca è la vita in sé, sia nel suo significato materiale che spirituale. Ciò che si cerca è la vita e il ricongiungimento, in qualunque modo avvenga, per chiudere un “lutto sospeso”, un ciclo di dolore che ferisce profondamente non solo le vittime, ma tutta la società. La costruzione di narrazioni e significati alternativi da quelli generati dalle strutture dello Stato e dai mezzi di comunicazione di consumo immediato, con la loro inclinazione ufficialista, sensazionalista e spesso rivittimizzante, è uno dei compiti chiave del giornalismo di inchiesta, della storia orale e della storia del presente, approcci che guidano queste interviste.

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Testimonianze

Sandra

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Sandra Luz Román Jaimes ha 55 anni ed è di Iguala. Lotta contro un cancro e per ritrovare la figlia Ivette Melissa Flores Román, che ha oggi 25 anni ed è scomparsa il 24 ottobre 2012. Sandra accompagna nel cammino il nuovo collettivo costituito a Iguala lo scorso 15 aprile e che si chiama “Madres Igualtecas en Busca de sus Desaparecidos”.

Ricerca. Per me significa soddisfazione, lotta, ricerca della giustizia e della verità. Quando la cerco, per esempio nelle carovane di ricerca in vita, mi sento bene con me stessa perché non smetto mai di cercarla. Per me è un privilegio avere un’associazione che mi invita a cercare i desaparecidos. Non solamente cerco mia figlia ma anche altri mille desaparecidos perché posso ritrovare lei così come i figli delle mie compagne. Se non la cercassi, mi sentirei incompleta, come se non stessi facendo niente per scoprire la verità.

Quando usciamo a fare le ricerche per i campi o nelle fosse o nelle cliniche o all’ospedale o al Semefo (Servizio medico forense), uno sente il timore, la paura che dentro quelle fosse possa esserci lei. O che si trovi in qualche manicomio o che stia vagando per le strade di qualche città. Sì, sentiamo una tristezza infinita. Non solo io ma tutti quanti ci sentiamo tristi e incompleti, però allo stesso tempo sentiamo soddisfazione pensando che in futuro i nostri nipoti o i figli dei nostri cari desaparecidos potranno dire: “Quando qui nessuno cercava i desaparecidos  ed è scomparsa  mia mamma o una zia, la mia nonnina ha fatto parte di quel periodo nel quale hanno fondato il primo gruppo di “Los otros desaparecidos” e da lì, dalla sparizione forzata dei 43 studenti, la gente ha iniziato a cercare i proprio figli”.

Diventerà quasi una leggenda e rimarrà impressa per molti anni. Probabilmente io non sarò qui per vederlo ma diventerà qualcosa di molto simbolico. Simbolico persino in un senso “cattivo”, perché “chi avrebbe voluto che in quel periodo tutti i nostri figli sparissero?

E così nel 2012 sono state fatte sparire solo donne, mia figlia è di quel periodo nel quale si portavano via solo le ragazzine. O trovavano i ragazzi per strada per portarseli via senza meta. Adesso siamo nel 2018 e ancora non so dove si trovi mia figlia. Rimarrà impresso quel 26 settembre 2014, storico. Si sono formati molti collettivi. È la data chiave in cui la gente “ha perso la paura”. Per modo di dire, perché continua a esserci gente che ha paura, ma mi piace pensare che è stato allora che abbiamo perso la paura e abbiamo pensato che se i genitori dei 43 stavano portando avanti la loro lotta, allora anche noi dovevamo intraprendere la lotta e cercare i nostri figli.

Memoria. Mi ricordo di lei che mi diceva sempre: “Io non mi sposerò, sarò sempre single, e non ti mancherà mai niente, ti darò tutto io e non ti succederà niente”. Era mia figlia ad aiutarmi, mi ha incoraggiata ad andare avanti insieme, lavoravamo tutte e tre ecco. Ha preso il tesserino per studiare criminalistica, voleva diventare dottoressa in criminalistica. E manteneva sua figlia perché ha una bambina che adesso ha otto anni, ha un carattere forte. Vivo con lei. A causa della scomparsa di mia figlia mi sono ammalata di cancro al seno, è stato ormonale e benigno, anche se la Commissione Esecutiva per l’Attenzione alle Vittime dice che non esiste relazione con il fatto vittimizzante, in realtà lo è perché sei anni fa il cancro non ce l’avevo. Mi è toccato passare per la fase delle chemio e credo che la cosa sia arrivata alle orecchie del suocero di mia figlia e la bambina è venuta a cercarmi. Adesso è appena da settembre che convivo con la bambina e ho sempre paura perché la porto, la accompagno, e può darsi che stia rischiando molto, perché potrei anche non ritornare.

Pensiero. Dico a mia figlia che, ovunque sia, la ricorderò sempre con tanto affetto e, se è viva, le dico di andare avanti per la sua strada, di studiare, di non rovinarsi la vita facendo stupidaggini e di percorrere la strada del bene. Di chiedere aiuto a qualche associazione civile per poter uscire da dove si trova. E se non vive più, allora la porterò sempre nei miei ricordi, la sua vita e la sua immagine. E chiederò sempre giustizia per ciò che è successo.

Collettivo: Ci unisce lo stesso dolore, perché tutte andiamo nella stessa direzione, qui nessuno può camminare in un sentiero d’argento, una in quello d’oro e l’atra in quello di rame, cioè tutte seguiamo la stessa direzione e il dolore ci tiene unite. Adesso abbiamo un nuovo collettivo, trovo unione tra tutti i compagni e come collettivo l’idea è cercare verità e giustizia. Se tu cammini solo, non le troverai mai, invece come collettivo abbiamo il vantaggio di potere fare richieste al governo, perfino di chiudere un’istituzione o protestare quando non siamo d’accordo con iniziative che hanno preso per noi.

Trovo che le strade e gli ostacoli che ho incontrato sono serviti perché adesso gli altri del collettivo non devono passare per le stesse cose. Si impara gli uni dagli altri. Nel mio caso, ho imparato da sola prima della sparizione dei 43 studenti. Quando per esempio le istituzioni sono arrivate alla chiesa di San Gerardo, che è dove è stato fondato “Los otros desaparecidos de Iguala” (gli altri desaparecidos di Iguala”), io le conoscevo già e sapevo quali proposte avrebbero fatto come PGR (Procura Generale della Repubblica) o CEAV (Commissione Esecutiva di Assistenza alle Vittime), per esempio. Grazie alle operazioni con CEAV sono appena riuscita ad ottenere un appello a livello nazionale per negligenza del governo, perché non hanno mai cercato mia figlia né lo faranno, e allora saremo noi a doverli trovare.  La Commissione con il suo sostegno economico permette che continuiamo a muoverci in carovane, e anche grazie a questo ho potuto ottenere l’appello e il caso di mia figlia guadagna un gradino in più verso le istanze internazionali. Abbiamo vinto perché il giudice fa indagini nella delegazione Guerrero e controlla su quante persone ha fatto ricerche e quanti procedimenti ha aperto su di me: il risultato è che non ce n’é nessuno.  Neanche presso la Fiscalia de Busqueda de Desaparecidos (Procura per la Ricerca dei desaparecidos) della PGR di Città del Messico hanno trovato procedimenti.

Hanno trovato qualcosina, molto poco, alla SEIDO (Procura Specializzata in Delinquenza Organizzata). Allora, visto che non hanno indagato su nessuno e non mi hanno mandata a chiamare, le ho provate tutte in Messico e adesso mi rivolgo a istanze internazionali come l’ONU, che ha dichiarato il caso di mia figlia come “molto delicato”. E qui hanno ignorato la cosa, non mi hanno dato nemmeno un pulsante antipanico o protezione nel caso qualcuno volesse farmi del male. É molto delicato perché qualche tempo fa, lo scorso 31 ottobre, c’è stato uno scontro tra alcune persone ed è stata uccisa una persona che ha privato mio figlio della sua libertà. Dopo si sono sfogati e sono andati a uccidere un’intera famiglia e con questo spiego perché il caso di mia figlia non è un caso qualunque. All’inizio eravamo 15 e adesso ci sono 103 persone che fanno parte di “Los otros desaparecidos de Iguala”. Inoltre ci sono cinque nuove compagne che stanno per entrare ma ancora non hanno ancora fatto denunce. Per la maggior parte sono donne, è composto da 99 donne e 4 uomini: don Norberto, don Sirenio, don Rogelio e don Margarito. Lo scopo del gruppo è continuare la ricerca principalmente nelle fosse comuni. Però certo, anche la ricerca di persone in vita.

Tutte hanno una denuncia federale, dato che quando abbiamo fondato “Los otros desaparecidos” c’è stato molto lavoro in quelle denunce. Stiamo chiedendo al governatore che ci aiuti con l’affitto, mobilio o che trovi uno spazio per avere una sede, perché riunirsi nelle case o per strada non è l’ideale. Sembra che ci aiutino. Presto chiederemo una riunione per vedere i progressi. Abbiamo chiesto anche alla CEAV. Dovremo vedere anche con il Municipio. Abbiamo appena iniziato, siamo come bambini, un passo alla volta! Stiamo pensando di iniziare le ricerche, avevamo fissato una data per il 30 novembre, ma la PGR non l’ha confermata, forse perché finisce il sessennio e ci saranno cambiamenti. Dal 19 gennaio al primo febbraio parteciperemo alla IV Brigada Nacional de Busqueda de Personas Desaparecidas (Brigata Nazionale per la Ricerca di Persone Scomparse), come quelle che hanno fatto negli ultimi due anni in Veracruz o in Sinaloa. Noi Madri Igualteche parteciperemo, e questo serve per fare pressione e per dimostrare l’urgenza delle ricerche.  É uno sforzo congiunto di vari collettivi dello stato e del paese. Inizieremo a Huitzuco con Mario Vergara e il suo gruppo “Los otros buscadores”, dopodiché andremo a Taxco, Cocula, Chilpancingo, Teloloapan e altri paesi di tutto lo stato di Guerrero.

Prisca

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Prisca Arellano Rocha ha 63 anni, è originaria di Iguala e cerca i suoi nipoti, figli di una delle sorelle. Si tratta di Omar Basilio Arellano e Isidro Vázquez Arellano, scomparsi il 6 gennaio 2013 e il 16 febbraio 2013.

Ricerca. Per me significa una cosa molto importante perché sono i miei nipoti, ma è come se fossero i miei figli, ed è molto importante per me partecipare alle ricerche perché voglio avere loro notizie. Fino ad ora non ho saputo niente e vorrei che qualcosa succedesse al più presto, che li troviamo, comunque vada vogliamo loro notizie. Per noi è molto doloroso non sapere niente, viviamo ancora pensando a loro.

Memoria. Ciò che ricordo di più è che durante i giorni di dicembre, capodanno, passavamo molto tempo insieme e adesso non sono più con noi e ci fa tanto male. Come vorremmo che tornassero per stare insieme come facevamo prima! Erano brave persone, gente buona, molto intelligenti e grandi lavoratori, perché non vivevano con i soldi di altri, lavoravano molto bene e vivevano di questo.

Pensiero. Vorrei dire loro che gli voglio molto bene e che mi mancano tanto. Chiedo a Dio che possiamo di nuovo vederci presto, se Dio vuole. Speriamo in Dio che presto ci sia un ritrovamento, in qualunque modo, perché è ciò che speriamo.

Incontro. Sarebbe molto bello. Allo stesso tempo bello e triste perché se li ritroviamo vivi, bene! Magari Dio volesse così. Ma se le incontriamo senza vita, allora sarà triste per noi e il dolore non ci lascerà mai, il dolore resterà lì per sempre.

Collettivo. Per me è come una famiglia, perché sentiamo lo stesso dolore.

Margarito

Margarito Soriano Esusebio ha 81 anni, è di Atenango del Rio e risiede a Iguala da 60 anni. Cercava suo figlio, Mario Soriano Giles, da quando è stato vittima di sparizione forzata nel 2010. Lo ha trovato senza vita e il corpo gli è stato restituito nel luglio 2018 a Taxco, ma don Margarito continua le ricerche accompagnando il collettivo delle madri igualteche.

Ricerca.  Mi sentivo afflitto, triste, non ero contento. Mi preoccupavo molto. Mi ha addolorato molto la faccenda di mio figlio. L’ho cercato tanto. Camminavo per i monti. Sono andato nei campi per due anni, un po’ più di due anni. Ho smesso di andarci quando l’abbiamo trovato. Adesso faccio parte di un altro collettivo, mi invitano ad unirmi alle ricerche, sempre le stesse cose. Di defunti che non sono stati trovati, di desaparecidos, per vedere se si ottiene qualcosa.

Memoria. Lavorava con me, tutti e due facevamo i falegnami. Quando è scomparso, sono stato male, mi sono un po’ ammalato. Poi sono guarito. Mio figlio era un falegname come me. Parlavamo dei lavori che dovevamo fare, ci dicevamo prima come si doveva fare e lo realizzavamo solo quando lo avevamo bene in mente. Mio figlio era molto portato, forse più di me perché lui era giovane, era pieno di entusiasmo e riusciva a fare bene qualsiasi lavoro. Addirittura alcuni mi dicevano: “lo mandi a Città del Messico così impara di più”. Aveva 36 anni.

Pensiero. Allora, voglio solo dire che Dio lo abbia in gloria e a me conceda la rassegnazione per andare avanti con la mia vita.

Ritrovamento. A dire il vero ho sentito qualcosa che mi calmava perché ritrovarlo così non è lo stesso, certamente fa piacere, uno si sente contento, ma non è la stessa cosa, non è un vero e proprio piacere. Perché io l’avrei voluto vivo e non morto.

Collettivo. Allora, così come io sento io o sentivo che mio figlio non sarebbe tornato, così credo che anche gli altri si sentano allo stesso modo. É questo che mi unisce a loro, alla gente, così posso continuare a cercare insieme a loro, in loro compagnia.

Antonia

Antonia Torres Ortiz ha 53 anni e viene da Teloloapan. Cerca suo figlio Francesco Ocampo Torres. Erano tre le persone che cercava, ma due gliele hanno restituite morte: suo marito Francisco Ocampo Figueroa e Eric Ocampo Torres. Adesso chiedo che mi aiutino a ritrovare mio figlio Francisco.

Ricerca. Partecipare alle ricerche è qualcosa che mi nasce spontaneo. Se non mi muovo sento che non sto facendo niente per mio figlio. Così sto bene, anche se a volte sono triste, ma vi chiedo di aiutarmi trovarlo perché ha lasciato le sue tre bimbe. Ve lo chiedo perché mi avevano detto di averlo visto dalle parti di Cuernavaca. L’ho riferito al dott. Rivero della PGR, ha detto che sarebbe venuto da me ma non mi ha chiamata. Credo che ormai si sia dimenticato.

Memoria. Ricordo tante cose belle di mio figlio, così belle che se gliele racconto mi metto a piangere. Era un figlio molto bravo con me. Anche se si è sposato non si è mai allontanato da me. Ogni volta che andava a lavorare, anche quella mattina, è passato da me e mi ha detto: “Mamma esco, vado a lavorare”. Ed è stato l’ultimo giorno in cui l’ho visto perché nel pomeriggio sono venuti a Iguala e lui non è mai tornato. Vi chiedo di aiutarmi perché mi ha fatto molto male la perdita dei miei figli e di mio marito. Sono scomparsi insieme. Tornavano da Teloloapan a Iguala alle sette e mezza di sera. Mio figlio era ferito. Non abbiamo mai saputo chi è stato o cosa è successo.

Pensiero. Voglio dire che se mio figlio è vivo, che ritorni da me. Non gli chiederò niente di ciò che è successo. Se mi vedesse un giorno, che ritorni da me. Non gli chiederò mai niente, se è stato male per ciò che è successo a suo padre e a suo fratello. Ciò che voglio è che torni.

Collettivo. Ci unisce il fatto che qui tra tutte riusciamo a scacciare la tristezza, e così si superano poco a poco le cose. Ho dovuto abbandonare un altro collettivo e mi sono sentita triste, e avevo la speranza che un giorno ne nascesse un altro e così è stato. Sono tornata e adesso sto bene. Vengo anche se devo fare i salti mortali, a volte non ho neanche i soldi per l’autobus, io lavoro per il mio bambino e la mia bambina, perché ho anche un figlio di 15 anni e una figlia di 12. Quando mi chiamano qui, esserci è una necessità perché sento che avrò notizie di mio figlio.

Esperanza

Esperanza Rosales Segura ha 53 anni, è di Iguala e cerca suo figlio, Alejandro Moreno Rosales, e suo cugino, Marco Antonio Rosales Castrejón, dal 13 novembre 2009.

RicercaPer me vuol dire trovare mio figlio. Vorrei trovarlo, come si dice, “come Dio vuole”, cioè vivi o morti. Non sappiamo se sono morti, sono passati 9 anni e non sappiamo niente di loro. É la stessa cosa per il figlio di doña Tere, erano insieme. Sono scomparsi tutti e tre, erano amici.

Memoria. Andavano d’accordo, lavoravano, uscivano. Di mio figlio sinceramente ricordo quanto bene voleva a me e ai suoi fratelli. Era il sostegno della casa. Mio marito non c’è più perché è scappato con un’altra donna e siamo rimasti soli. Ho un bel ricordo perché voleva che non mancasse niente ai sui fratelli.

Pensiero. Vorrei dirgli che lo voglio trovare, che deve venire a trovarmi dovunque sia, ho bisogno di vederlo.

Ritrovamento. Sarebbe una grande gioia, poterlo rivedere.

Collettivo. Ci unisce il dolore. Siamo la stessa cosa. Ciò che io sento lo sentono le mie compagne. Ciò che fa male a me, fa male a loro. É questo ciò che ci unisce. Continuerò a cercare.

Teresa

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Teresa Rendón González,45 anni, è di Chilapa, risede a Iguala da 30 anni e cerca suo figlio, Pedro Chavarrieta, scomparso il 13 novembre 2009.

Ricerca. È fede, la speranza di ritrovarlo, come Dio me lo restituirà. Sua sarà l’ultima parola su come lo ritroverò. Voglio continuare a cercare finché avrò forza. Lo hanno portato via dal quartiere dove vivo e non ho più saputo niente, nessuno mi ha detto niente.

Memoria. Andavamo al lavoro assieme, lavoravamo nei campi, stava sempre con me. Non si era mai allontanato da me. Quando usciva e poi tornava a casa, mi abbracciava e mi dava un bacio. Diceva sempre che io ero la sua capa. Mi diceva:” capa ti voglio molto bene”, e che non mi avrebbe mai lasciata. Era molto legato a me, è cresciuto solo con me. Aveva 19 anni.

Pensiero. Gli voglio molto bene e continuerò a cercarlo. Tutta la famiglia lo aspetta a braccia aperte. Se Dio vuole che torni sulle sue gambe perché ormai è passato molto tempo.

Collettivo. Più che altro il dolore che tutte sentiamo, tutti siamo coinvolti nella ricerca. E a volte ci diciamo delle cose tra di noi perché ci fidiamo le une delle altre. Siamo unite, viviamo le stesse cose. Lo cercherò fino ad incontrarlo, che Dio mi dia la forza.

Sirenio e Ernestina

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Sirenio Ocampo de Jesus, di 68 anni, ed Ernestina Marino Luciano, 67, sono originari di Ocosingo e Copalillo, risiedono a Iguala e cercano il loro figlio Adelfo Ocampo Marino dal 13 luglio 2014

Ricerca
Ernestina. È perché gli voglio bene, non voglio fermarmi. Se lo vedeste da qualche parte, vi sarei molto grata se me lo diceste. Ho bisogno di rivederlo perché c’è qui sua moglie e le sue figlie che ormai sono delle signorine.

Sirenio. Significa trovarlo, sapere dove si trova. Vogliamo sapere dove l’hanno lasciato, se l’hanno sepolto. Non cerchiamo i “cattivi”, cerchiamo mio figlio. Dov’è? Ci pensiamo giorno e notte, preoccupati, al fatto che lo vogliamo trovare. Se qualcuno dovesse vederlo, ce lo faccia sapere.

Memoria.
Sirenio. Quando lavoravo con lui a volte mi diceva: “Vecchio, dai vieni, non vuoi qualcosa da bere?” Ricordo i momenti in cui chiacchieravo con lui, quando si sentiva triste e gli chiedevo perché. Gli dicevo: “Non ti preoccupare, è normale, non bisogna tenersi dentro cose passate”. Mi rendo conto che adesso non ho nessuno con cui vado d’accordo, qualcuno a cui raccontare la mia storia, che mi dica ciò che sente. Siamo diventati amici quando è cresciuto. Lavorava ed è triste pensarci adesso. A volte dormo un po’, mi sveglio e, ecco, vorrei vederlo. Quando era qui, andavamo a trovarlo a casa sua, se non venivano lui e mia nuora. Dopo tutto ciò che è successo quelle visite sono finite. Mia nuora non viene più. Invece di parlarne con noi, si è arrabbiata. Anche le mie nipotine. Però niente, gli voglio bene perché sono le mie nipoti.

Ernestina. Mi diceva:” A Natale vengo a prenderti”, e ci mandava a prendere. “voglio che passiamo il Natale qui, voglio che stiate con me”, diceva. Mi siedo qui fuori e penso che vorrei vederlo arrivare per passare un altro Natale insieme.

Pensiero

Ernestina. Ti voglio bene figlio mio, nessuno mi capisce, solo tu mi capivi, ti voglio molto bene. Come ti comportavi con me, mi abbracciavi, nessuno mi abbracciava come te, figlio mio. Ti voglio bene.
Sirenio. Se lui si trova lì fuori, e ci sta ascoltando. Vorrei che ci dicesse che sta bene. Vogliamo solo sapere, io vorrei che stesse bene, felice. Se è vivo, che ci chiami. Se è vivo o no lo sa solo lui. Se è lì fuori, che si metta in contatto con noi. Questo è tutto ciò che voglio dire.

Sofía y Evarista

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Sofia Sanchez Salgado, 51 anni, e Evarista Salgado Olivares, sua madre di 73, sono di Iguala e cercano un fratello e un figlio di Sofia, dal 25 gennaio 2010. Suo fratello si chiama Luis Fidel Sanchez Salgado e suo figlio Santiago Velázquez Sanchez. Sono andati a fare benzina qui a Iguala, vicino alla scuola, all’Istituto Tecnico, e lì sono scomparsi.

Ricerca

Evarista. Che mio figlio torni e rimanga con me. Se sta lavorando, se c’è qulacuno che lo conosce, allora che me lo dica, che si mettano in contatto con noi, anche per mezzo della televisione. Voglio che torni. Io non posso vivere senza di lui ed è per questo che lo cerco. É già passato molto tempo, sono molti anni che non vedo né lui né mio nipote. Non mi dimentico di mio figlio. Quando uscivo a cercarlo sentivo che lo avrei trovato lì, o che mi avrebbero detto “Guardi, qui c’è suo figlio”.

Sofia. Che il governo ci aiuti a trovarli, ovunque si trovino. Perché veda quanti corpi hanno già trovato e di loro non si sa niente. A cosa serve fare la prova del DNA alle famiglie? Qualsiasi informazione abbiano, ce la diano. Abbiamo cercato molto in gruppo, percorrendo monti, nonostante la paura e la tristezza che sentiamo.

Memoria

Evarista.  A mio figlio piacevano molto i chilaquiles, con una salsina di peperoncino e uova. E i fagioli. A mio nipote piacevano le enchiladas, le chalupitas, tutte queste cose qua, le tortillas fatte a mano.

Sofia. Mio figlio era tranquillo, gli piaceva giocare a calcio. Lavorava sodo. L’ultima volta, quando è scomparso mi ha chiesto di preparargli delle enchiladas e di aspettarlo, mi ha detto che andava a fare benzina con lo zio. Gliele ho preparate, ma non è più tornato. Mio fratello lavorava, era appena stato dalla sua fidanzata, poi sono andati via e non sono più tornati.

Pensiero

Evarista. Direi loro di tornare, che li stiamo cercando. A volte non riesco a dormire perché penso a come stanno, dove sono, se hanno mangiato o no. É ciò che vorrei dirgli.

Sofia. Che tornino, che ci dicano che stanno bene. Noi continuiamo ad aspettarli, ci mancate. Tornate a casa.

Ritrovamento

Evarista. Ho la sensazione che mi diranno che hanno trovato mio figlio. Che lo riporteranno. A volte ho la sensazione che potrò riposare, ma dopo un po’ questa sensazione non c’è più.

Collettivo

Sofia. Ci si sente più tranquille con il sostegno di tutte le compagne.

Leonor

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Leonor Contreras. Ha 39 anni, è di Iguala ed è alla ricerca di Antonio Ivan Contreras, suo fratello, vittima di sparizione forzata il 13 ottobre 2012, quando aveva 28 anni.

Ricerca. Bè, riuscire a trovarlo un giorno, almeno avere un posto dove portargli i fiori, o almeno sapere dove si trova.  Sono stati mio padre, Guadalupe, e i miei fratelli che lo hanno cercato. Mio padre è andato a Veracruz ad aiutare il collettivo Solecito. Io mi sono unita alle Madres Igualtecas. Mia cognata, moglie di mio fratello, è rimasta nel collettivo Los otros desaparecidos.

Memoria. Sono molti i ricordi e i dettagli. Lui con me era molto affettuoso, perché comunque io sono la sorella maggiore, mi prendevo cura di loro da quando erano piccoli. Quando tornava a casa si sedeva sempre sulle mie gambe, mi parlava come se fossi la mamma, mi diceva sempre che mi voleva molto bene. Mi dimostrava il suo affetto, sempre sempre.

Pensiero. Voglio che sappia che gli voglio molto bene. Sarà nel mio cuore per sempre e spero di trovarlo un giorno, comunque sia. Continuerò a cercarlo.

Collettivo. Il dolore è ciò che ci unisce. Il dolore. Ma anche sapere che come collettivo possiamo continuare le ricerche e magari non troveremo il nostro familiare ma possiamo trovarne altri che non hanno ancora trovato. É solidarietà

Alfonsa

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Alfonsa Cecilio Agapito 63 anni, originaria di San Miguel Tecuisiapan, risiede a Iguala e cerca suo figlio, Alfonso Cardoso Cecilio, 31 anni, scomparso il 30 aprile 2013.

Ricerca. Partecipo alle ricerche perché non sono soddisfatta, perché per me è molto stressante non sapere in quale posto sia finito. É molto importante perché si tratta di mio figlio. Sono andata a fare molte ricerche per i monti. Quando partecipo alle ricerche ho la speranza di ritrovare il suo corpo, di potergli dare una sepoltura come si deve. Mi sento bene quando lo cerco perché c’è una speranza, magari è sepolto lì da qualche parte. Le autorità ci ignorano. Sono già andata alla PGR di Città del Messico e ho riferito qualcosa più o meno, gli ho detto di contattarmi e gli ho dato degli indizi. Loro pretendono che uno si metta a indagare e questo non va bene perché ci si espone al pericolo. Allora ho chiesto di fare delle indagini, ma niente. Vado lì un’altra volta e mi dicono che non hanno indagato che però lo faranno, Si immagini, sono già cinque anni che non so nulla di mio figlio. Nessun risultato per me.

Memoria. Voglio far sapere che mio figlio, che era il più piccolo, era molto buono e affettuoso. Passavo molto tempo con lui. Ci sentivamo bene quando andavo a trovarlo o lui veniva da me. La verità è che mi fa molto male non sapere che ne è stato di lui. Vorrei che qualcuno mi dicesse come è successo. Anche se io ho detto al Dott. Rivera della PGR chi è stato a portarlo via, continuano a dire no, no, no”. Non so se sono in combutta con loro, chi lo sa. Mio figlio era una persona molto bella quando passavamo del tempo insieme, mi conforta ricordarmene.

Pensiero. Gli voglio dire che lo aspetto con ansia, se Dio vuole. Io l’ho messo nelle mani di Dio e lui saprà cosa fare. Speriamo. Se è vivo, benissimo, per sarà una gioia infinita. Perché mio figlio ha lasciato una bimba, aveva 6 anni quando me l’ha lasciata e adesso ne ha 12. Gli vogliamo molto bene, lo aspettiamo. Se torna saremo felici. E se no, che Dio me lo riporti così com’è ma ciò che più gli chiedo è che me lo riporti vivo.

Collettivo. Ho fatto parte di un gruppo da quando sono nati “Los otros desaparecidos”, in seguito alla scomparsa dei 43, quando ci riunivamo nella chiesa di San Gerardo. Ci unisce il fatto che sentiamo lo stesso dolore, noi che siamo qui come “Madres Igualtecas” siamo parte della stessa “sorellanza” per il dolore che sentiamo per la scomparsa dei nostri figli. Sento che ci aiutiamo come una famiglia, perché così come io soffro, soffrono anche loro.

Cleotilde

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Cleotilde Juarez Adame, 53 anni, originaria di Paraíso, nello stato di Guerrero, vive a Iguala da 35 anni e cerca suo figlio, Julio Alberto Salgado Juarez, dal 2011, scomparso quando aveva 26 anni.

Ricerca. Significa molto. Troverò mio figlio. Mi fa stare bene cercarlo, è un modo per sentirmi vicina a lui.

Memoria. Ricordo quando mi invitava a pranzo fuori, andavamo ad Acapulco. Ci portava lui. Tante cose, ho molti ricordi. A volte andavamo anche alle feste.

Pensiero. Voglio dirgli che gli voglio molto bene, lo amo e mi auguro di cuore di ritrovarlo, baciarlo e dirgli che lo aspettiamo a braccia aperte.

Collettivo. Trovo che noi madri e mogli siamo unite dallo stesso dolore. Siamo unite, ci incoraggiamo a vicenda e continuiamo a cercare i nostri familiari. Non ci sentiamo più così sole, così abbandonate.

Berta

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Berta Moreno Garcia ha 51 anni, è di Iguala e cerca José Manuel Cruz Moreno, suo figlio, scomparso il 2 gennaio 2009, all’età di 22 anni.

Ricerca. Significa tanto perché lo stiamo cercando, lo cerchiamo per i monti, o dove ci dicono di andare, con l’illusione di trovarlo dovunque si trovi. Il mio figlio più piccolo adesso ha 12 anni, ma quando abbiamo partecipato alle altre ricerche ne aveva 8 e veniva sempre con noi.

Memoria. Ricordo tutto. Quanto amava stare con la sua bambina e con tutti noi, ma poi non è più stato possibile. La bimba adesso ha 8 anni. Mio figlio ha un carattere calmo, non si arrabbia facilmente, è affettuoso ed è una brava persona. Gli piace quando ci abbracciamo, giocare a calcio con i suoi fratelli.

Pensiero. Voglio dirgli che lo aspettiamo. Che lo stiamo cercando e che la sua famiglia ha bisogno di lui. Vogliamo che torni a casa, vogliamo trovarlo. Finché avremo vita continueremo a cercarlo e se dovessi venire a mancare io, allora continueranno i miei figli.

Collettivo. Sentiamo lo stesso dolore, siamo uguali, e siamo in poche che facciamo le ricerche sul campo. Mi sembra che siamo più unite perché andiamo a fare le ricerche, attraversiamo monti o e altri posti. E non temiamo nessun pericolo, nessuno, non ci importa più niente, perché ci accompagna la speranza che forse possiamo trovarlo dentro qualche grotta, no? Non importa se non è mio figlio, se è il figlio di un’altra compagna è lo stesso, noi saremo lì.

Rogelio

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Rogelio Mastache Villalobos, 60 anni, è di Iguala e cercava suo figlio, Aldo Mastache Gonzaga, che aveva 28 anni quando è stato vittima di sparizione forzata, il 23 settembre2014. É stato trovato e sepolto il 3 agosto 2001. Rogelio parla e al suo fianco c’è un bambino, l’altro figlio. É entrato a far parte del collettivo Los otros desaparecidos de Iguala all’inizio del dicembre 2014., quando si era appena formato, e adesso fa parte del gruppo Madres Igualtecas en busca de sus Desaparecidos.

Ricerca. Partecipavospesso alle ricerche con gli altri compagni, ci riunivamo, pianificavamo le ricerche e andavamo verso i campi. Significava molto, significava cercare mio figlio e trovarlo. Lo abbiamo trovato qui a Iguala in un terreno pianeggiante di 10 ettari coltivato, nella parte bassa della montagna chiamata Cerro Gordo. In questo terreno ci sono appezzamenti con diversi nomi, in quello che si chiama “La Parota” abbiamo trovato mio figlio. Aveva 18 anni quando è scomparso.

Ritrovamento. Ho provato una brutta sensazione perché io lo volevo trovare vivo, volevo che riapparisse vivo. Ad ogni modo ringrazio Dio che me lo ha riportato, anche se è morto. Per me significa comunque tanto avere il suo corpo e potergli dare sepoltura, riaverlo qui con me. Anche se è sepolto in un cimitero, ma so che è lì e posso portargli fiori quando voglio perché so dove si trova. Posso riposare mentalmente perché è una vera angoscia pensare continuamente se tuo figlio è vivo o morto. Ritrovarlo ha significato tanto per me.

Pensiero. Gli direi “Figlio mio, mi dispiace tanto per ciò che ti è successo, non so cosa tu abbia fatto, ma spero che adesso tu sia con Dio”. Mio figlio non ha mai avuto cattive frequentazioni, è stata una vittima tra le tante, esseri innocenti che sono stati uccisi.  Mi sono fatto un’idea, dopo alcune ricerche, di quello che è successo. Se abbiamo capito come sono andate le cose, lo hanno portato via con la forza. Sono state tre o quattro persone a portarlo via con violenza. Molta gente lo ha visto e ci sono molti testimoni che hanno visto quando lo hanno caricato e portato via in un furgone. È stata la mafia, in quel momento governava quel disgraziato di Jose Luis Abarca. Era la mafia che operava in quel momento e aveva il patrocinio, il sostegno del governo municipale.

Memoria. Era un ragazzo responsabile con la sua fidanzata, per me era un bravo figlio che cercava di farsi strada nella vita con il suo lavoro. Aveva un bambino e un’altra bambina, i suoi figli. Uno, da padre, cerca di aiutare i figli. Gli piaceva molto giocare a biliardo. È uno sport sano, sempre che non si beva, e anche a me piace molto. I nostri gusti erano simili e anche io ero mentalmente simile a lui.

Collettivo. La cosa più importante che ci unisce è andare alla ricerca dei nostri cari. Soprattutto ci sono molti compagni che ancora non hanno trovato il loro familiare. Allora l’obiettivo è continuare a cercare. Io l’ho trovato ma ci sono ancora tutti gli altri. Un’ altra cosa importante è lottare per i nostri diritti. Grazie a Dio il governo ha emanato varie leggi che ci proteggono come vittime, come la General de Victimas (Legge Generale delle Vittime, in vigore dal 2013) e quella di Desaparición Forzada y por Particulares (Sparizione Forzata e Commessa da Privati, previste dalla Legge Generale messicana sulla materia)e in questo senso il governo ci sta dando una mano. Abbiamo perso un familiare e perciò la sua famiglia, sua moglie e le sue figlie, si ritrova senza il suo aiuto. Grazie a queste leggi riceviamo un aiuto alimentare o per l’affitto, questi sono i nostri diritti.

Norberto

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Norberto Jimenez Roman, 58 anni, fa il contadino ed è originario di Tlaltizapan, Morelos, residente a Mezcala, nello stato di Guerrero, da quando aveva un anno, ed è alla ricerca di suo figlio, Norberto Jiminez Heredia, vittima di sparizione forzata il 13 gennaio 2010, quando aveva 20 anni.

Ricerca. L’ho sempre cercato per tutto questo tempo. La ricerca è qualcosa che ti dà coraggio, sul serio. Perché al contempo stai lottando e puoi trovare il tesoro che più cerchi, ecco. Per me significa tanto.

Memoria. Ricordo quando studiava a Cuernavca ed è venuto a trovarmi a Mezcala, per una festa. Veniva ogni anno, ma quella volta erano già due anni che non riusciva a venire e poi è arrivato. Io ero nel recinto dei tori a abbiamo cenato assieme.  É rimasto tutto il giorno, un lunedì mi sembra. Il giorno dopo è andato a fare un giro a Chilpancingo e dopo è tornato qui a Iguala e gliene sono capitate di brutte. Possiamo dire che è venuto proprio per farsi portare via, non era neppure a Mezcala. Studiava meccanica, doveva farsi 3 anni di studio. Non era una testa calda, più o meno tranquillo il mio ragazzo. Non andava in giro a cercare guai. Gli ho sempre detto che uno deve essere sempre tranquillo e rispettare gli alti se vuole essere rispettato.

Pensiero. Se sta bene, ovunque lo tengano, se ha commesso qualche errore o lo hanno messo a lavorare, voglio solo che si prendano cura di lui. Cos’altro posso dirgli? Che si ricordino che hanno anche loro una famiglia e se un giorno toccherà a loro, credo che sentiranno le stesse cose. Se Dio vuole, finché avrò vita e forze continuerò a cercarlo.

Collettivo. Sono l’amicizia e il dolore che tutti sentiamo. La mia vita è cambiata. Per me è come se qui avessi trovato dei fratelli perché ci unisce lo stesso dolore.

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Testimonianze audiovisuali:

Video con alcune testimonianze dei familiari di Madres Igualtecas:

Video con interviste e documentazione di una ricerca in fosse clandestine del collettivo Madres Igualtecas della regione di Guerrero, città di Huitzuco

 
Leggi anche: Fabrizio Lorusso, “Nos une el mismo dolor.” Narrative, lutto e ricerca di vita nel collettivo de “Los otros desaparecidos de Iguala”, Letterature d’America (La Sapienza, Università di Roma), n. 173, anno XXXIX, 2019 (Bulzoni Editore, ISSN 1125-1743), pp. 85-103 (volume della rivista dedicato a «La Morte nella letteratura e cultura in Messico» link