di Matteo Bianchi

In un’Italia dove la cultura può sempre meno contro l’intolleranza diffusa, dove tutti odiano tutti a prescindere e il narcisismo viene prima di qualsiasi valore, il dibattito tra addetti ai lavori diventa vitale se costruttivo. Dalla fine del 2019 il Centro di Poesia contemporanea dell’Università di Bologna è stato il fulcro di profondi contrasti tra i suoi membri; contrasti sulla veste pubblica di ogni intellettuale che si rispetti, sugli oneri e sugli onori ai quali sarebbe votato e sulla sua funzione esemplare.

La discussione si è accesa quando Davide Rondoni ha preso posizione di fianco a Matteo Salvini, al PalaDozza, durante la campagna elettorale di Lucia Borgonzoni per la presidenza della Regione Emilia-Romagna. Giovedì 19 dicembre il poeta e saggista forlivese rassegnava le dimissioni dal Centro a cui aveva dato i natali, protestando sui social: «La mia figura e la mia libertà di espressione è stata come spesso accade motivo per il venire a galla di una cultura della intolleranza e della immaturità democratica che dovrebbe essere tenuta fuori dalle istituzioni che vogliono fare cultura liberamente. Cosa che per vent’anni sotto la mia guida e poi partecipazione il Centro ha sempre fatto, come dimostrano i programmi svolti e la pluralità delle voci intervenute». 

Un breve, ma intenso, memorandum: lapidato mediaticamente nell’autunno del 2018 a causa del famigerato abbraccio proprio con il leader del Carroccio, l’intellettuale di forgia ciellina in un’intervista d’altri tempi su “La Stampa” augurava tutto il bene all’amico Formigoni sostenendo quanto «la politica dev’essere legata alle persone» e non ai personalismi. Sodale di Vittorio Sgarbi, che lo considera il miglior poeta italiano vivente, di recente ha sottoscritto insieme a lui l’appello al Presidente Mattarella che esprimeva preoccupazione per le libertà individuali sospese dalla cosiddetta “fase 1” della quarantena, temendo una svolta autoritaria da parte del Governo attuale. Appello smentito sia dall’inizio della “fase 2” sia dalla conferenza stampa di Conte di domenica 17 maggio.

«In questi due anni di direzione ho provato in tutti modi a favorire la crescita di un ambiente fecondo di dialogo con le varie realtà e istituzioni bolognesi e nazionali, con i professori e con i poeti di tutta Italia – dichiara il direttore Riccardo Frolloni in una lettera recente – siamo fieri dei risultati raggiunti, abbiamo creato un clima virtuoso di fiducia e rispetto. Purtroppo i dissidi sono giunti dall’interno, dove credevo fosse assicurato l’ascolto. Durante una riunione straordinaria del Consiglio Direttivo, Davide Rondoni ha deciso di lasciare la riunione e di consegnare le sue dimissioni per protesta, poiché, a suo avviso, avevamo dimostrato nei suoi confronti anti-democraticità con l’intenzione di politicizzare il Centro. Diverse questioni si sono susseguite successivamente all’interno del Direttivo: verifiche, incomprensioni, l’alimentarsi di un clima di sfiducia reciproco». Il mese scorso si è svolta una votazione, indetta dal presidente Alberto Destro, per confermare la riammissione di Davide Rondoni (nella foto) e di Piero Menarini all’interno del Consiglio Direttivo, conclusasi favorevolmente.

«I toni raggiunti – precisa Frolloni – dei quali sono colpevole anche io, non mi permettono di proseguire serenamente il lavoro di direzione, nonostante i numerosi eventi già in programma. Mi scuso, pertanto, con quanti avevano già preso accordi con noi e profilato attività future e presenti». Oltre al direttore Frolloni e al presidente Destro, a seguito del risultato della votazione si sono dimessi dal Direttivo anche il docente Marco Prandoni, Giuseppe Nibali e Valerio Grutt, insieme a una ventina di giovani collaboratori che portavano avanti con passione le attività del Centro, una fucina creativa che vanta il coinvolgimento di oltre cento ragazzi, compreso lo scrittore Andrea Donaera.

Che non sia più il tempo di Pasolini, Fortini e persino di Sanguineti è evidente. Ma abitualmente nel nostro paese si confonde la manifestazione dell’onestà intellettuale con la partigianeria, con l’estrema coerenza rispetto a un partito di affiliazione; quando è proprio l’esercizio di tale onestà a permettere nel singolo la sopravvivenza degli ideali che lo identificano rendendolo parte della società. E la verità allora dove sta, dove resta? Di sicuro non dietro uno schieramento a priori. Il Centro di poesia contemporanea, un polo letterario di rilievo internazionale specie per la capacità attrattiva dimostrata in loco, risentirà e non poco dell’ondata dimissionaria subita.

Davide Rondoni nelle rimostranze ritirate rammentava che Bologna fosse «la città che già Pasolini accusava di non avere senso dell’alterità»; lo stesso Pasolini che detestava qualunque forma di nazionalismo e che accusava persino Calvino – il “caro” Calvino degli Scritti corsari – di inconsistenza nei confronti dei pochi che strumentalizzavano «mere ragioni nazionali» per prevaricare i troppi ignoranti. Bologna era, o meglio, è ancora la città che ha adottato l’integrità di Stefano Tassinari e che non intende dimenticare la forza d’animo di Roberto Roversi, il quale non riusciva a sopportare la guerra tra bande, tra miseri salotti letterari.

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