di Sandro Moiso

Non ho mai apprezzato particolarmente l’opera cinematografica di Michael Moore, ma mi pare che in occasione dell’incontro tra i movimenti che si terrà a Venaus in Valsusa il 17 e il 18 novembre, due dei suoi film, il primo e l’ultimo, possano costituire un ottimo punto di partenza e di arrivo per le riflessioni inerenti alle battaglie che attendono tutti coloro che, sempre più spesso, si contrappongono spontaneamente al modo di produzione corrente e alle sue malfamate “grandi opere”, in nome della difesa dell’ambiente, dei territori e dalla specie umana nel suo complesso.

Nel primo, Roger and Me (1989), sono ricostruite le vicende legate al licenziamento di 30.000 lavoratori dagli stabilimenti della General Motors della città di Flint, situata nel Michigan a poco più di cento chilometri da Detroit, le cui conseguenze hanno portato quella località ad essere, da insediamento industriale legato al ciclo dell’auto qual era, una delle città meno vivibili degli Stati Uniti, con conseguente crescita della criminalità e diminuzione del numero degli abitanti.

Nell’ultimo, Fahrenheit 11/9 (2018), all’interno della descrizione del processo di nazificazione della società americana dell’era Trump, Flint torna in scena sia per il dramma scatenatosi, ufficialmente a partire dal 2014, con l’inquinamento da piombo delle acque distribuite dall’acquedotto locale, sia per l’utilizzo del suo territorio (fabbriche dismesse e quartieri abbandonati tutt’altro che distanti da quelli ancora abitati) come luogo di esercitazione anti-guerriglia da parte dell’esercito americano, con l’utilizzo di armi, esplosivi ed autentiche tempeste di fuoco e di piombo scatenate dagli elicotteri d’assalto.

L’inquinamento, ed è per questo che vale la pena di parlare di Flint in questo contesto, è derivato dall’avvio di una grande opera inutile costituita da un nuovo acquedotto che avrebbe dovuto sostituire quello già esistente, che prelevava l’acqua dal lago Huron, lago di antichissima origine glaciale e la cui profondità delle acque garantiva una qualità pressoché ottimale delle stesse, con uno nuovo, la cui costruzione ha richiesto che le acque metropolitane fossero prelevate dal fiume Flint, inquinatissimo dagli scarichi industriali che in esso si sono riversati per decenni.

Nonostante le denunce dei residenti e di tutti i servizi sanitari, che hanno rilevato da subito le gravissime conseguenze dall’avvelenamento da piombo sulla popolazione locale, prevalentemente ormai di origine afro-americana, l’opera è andata avanti e l’acqua fornita è rimasta la stessa. Tranne che per gli stabilimenti superstiti della General Motors cui è stata nuovamente fornita l’acqua del lago Huron, visto che quella del fiume Flint rovinava e corrodeva la componentistica delle auto prodotte negli stessi.

Non è stato dunque un caso legato soltanto all’abbandono di una parte del territorio urbano, in cui il valore delle case è sceso praticamente a zero, a far sì che l’U.S. Army scegliesse quell’area per le sue esercitazioni a fuoco ma, piuttosto, la necessità di sperimentare violentissime tecniche anti-guerriglia in ambiente urbano proprio là dove una vasta protesta di massa contro condizioni di vita bestiali ed impossibili potrebbe sorgere a breve. In un’America che, come molti osservatori rilevano, assomiglia sempre di più ad una nazione sull’orlo della guerra civile.

Mi scuso con i lettori per questa, apparentemente, lunga divagazione, ma ritengo che il percorso economico, ambientale, sociale e politico della città del Michigan costituisca una significativa metafora di ciò che il capitalismo occidentale ha in serbo per il futuro della specie umana. Tema che è già stato trattato e approfondito nel convegno tenutosi a Melendugno tra il 5 e il 7 ottobre di quest’anno (qui e qui ).

Tema che riguarda il degrado economico ed ambientale dei territori, la sostituzione di un’economia reale con quella fittizia e devastante legata all’estrattivismo e alle “grandi opere inutili” e la conseguente e necessaria (per il capitale) repressione per sedare e reprimere (ovvero “pacificare” nel linguaggio soft degli apparati preposti alla stessa) i movimenti sempre più numerosi e vivaci che a partire dai territori e dal ‘basso’ si oppongono a tutto ciò.

No Tav, No Tap, No Muos, No Mose, e chissà quanti altri movimenti ancora, avranno modo nella due giorni di Venaus di confrontarsi sia sulle problematiche inerenti alle singole specificità territoriali ma, anche, su ciò che occorre rafforzare e organizzare a livello nazionale ed internazionale affinché tali movimenti possano coordinarsi in maniera sempre più stretta ed efficace affinché il motto valsusino “Si parte insieme e si torna tutti insieme” diventi davvero una pratica costante dell’opposizione, a livello locale, nazionale e sovranazionale, a un modo di produzione ormai devastante per la vita della specie e la sopravvivenza dei territori.

Organizzazione e collegamento che richiederà sempre più la coscienza del fatto che non esistono governi o partiti amici. Come dimostrano i fatti recenti della politica italiana, in cui tra i movimenti e gli interessi delle grandi compagnie petrolifere i partiti spergiuri scelgono i secondi. Per fare un esempio più chiaro si pensi alla promessa fatta da Conte a Trump sulla realizzazione della Trans Adriatic Pipeline e al successivo premio ottenuto dall’Italia (si legga ENI), che è stata esclusa dalle sanzioni americane nei confronti dell’Iran e dei paesi che continueranno a fare affari con quel paese.

Lo stesso Michael Moore, un tempo fervente democratico, è stato costretto a rilevare, proprio nel corso del suo ultimo film, la sostanziale identità tra gli interessi del Partito Repubblicano e quelli ‘profondi’ (finanziari, industriali, militari ed energetici) del Partito Democratico. Sintetizzata magnificamente nella scena in cui Obama finge di bere l’acqua dell’acquedotto di Flint davanti ai suoi, delusissimi, sostenitori per convincerli a fare altrettanto e in ‘tranquillità’.

Non esistono partiti e governi ‘amici’, ma non esiste nemmeno la possibilità di usarli come taxi. Sono già stati programmati per quella che dovrà essere la destinazione finale del viaggio, indipendentemente dalla volontà del passeggero salito a bordo. Anzi, il vero rischio è costituito dal fatto che possano essere proprio i movimenti a costituire il taxi di cui possono avvalersi, per un tratto del loro percorso, partitini e partitoni oppure fasulli movimenti pluristellati. Magari proprio ai danni che di chi provvede al loro trasporto.

I movimenti, oggi, non solo non possono più accontentarsi di promesse o di atti estemporanei non accompagnati da fatti concreti, ma, anche laddove si vincesse su una singola questione, non possono mai dimenticare che la loro forza sta proprio nel partire, lottare e tornare tutti insieme. Motivo per cui non ci si potrà accontentare di una singola vittoria con cui, forse, alcuni vorrebbero dividere un movimento che è, per sua natura e necessità, unitario e indivisibile.

D’altra parte è proprio questa sua natura a spaventare i suoi avversari, ben consci del fatto che con i partiti di governo si potrà sempre trattare, cosa che li ha spinti a ridar vita (anche se in realtà non era mai morto) ad un autentico blocco conservatore, costituito da impresari, sindacati, associazioni di categoria, organizzazioni fasciste e lobby politico-economiche, compresa quella del partito alleato di governo dei 5 Stelle, che con l’appoggio di tutti i media in queste ultime settimane ha deciso di attaccare frontalmente il movimento No Tav.

Il cui risultato si è visto con la manifestazione SìTav tenutasi a Torino il 10 novembre. Sicuramente partecipata, anche se non nei numeri sbandierati dai media, da quella che un tempo si sarebbe definita “maggioranza silenziosa”. Una maggioranza di cui ad aver bisogno, oltre al PD e Forza Italia e le consorterie connesse, sono proprio i partiti ‘amici’: per poter aprire trattative (come il sindaco di Torino, Appendino, ha già promesso) e giungere ad un accordo, ai danni di chi da sempre si oppone alle grandi opere inutili. Proprio come nel 1980, sempre a Torino e grazie al suo genius loci sempiterno perbenista e conservatore, la marcia dei quarantamila servì alle organizzazioni sindacali per firmare e giustificare un accordo che era stato respinto dalla assoluta maggioranza degli operai della Fiat.

Più che una manifestazione anti-grillina, come qualcuno si ostina a leggerla, è stata piuttosto l’espressione di quel all’ordine costituito e di accettazione dell’esistente, che da sempre costituisce l’anima delle maggioranza silenziose e reazionarie, che si contrappone al No della sovversione del presente stato di cose. Una manifestazione di quello scontro tra chi, in nome di pochi ed egoistici interessi immediati, vuole continuare a sfruttare l’uomo, l’ambiente e i territori adesso e subito, senza pensare al futuro e chi, invece, in nome di un futuro diverso e migliore di cui si sente già parte, lotta in nome della comunità umana e della salvaguardia di quell’ambiente senza il quale la specie non può sopravvivere. Una nuova forma di quel secolare scontro tra le classi e i modi di produzione che oggi sembra affrontare una fase nuova e decisiva.

I compagni del movimento NoTap ci hanno scritto:

“Nel mese di Novembre TAP, agevolato da un governo che ha levato la maschera della menzogna, ha ripreso i lavori a Melendugno. Il via libera pentastellato, figlio del tradimento di un governo nei confronti del popolo, è però avvolto nella nebbia: infatti, è tutt’ora sotto sequestro un’area di cantiere denominata “le paesane” per mancato rispetto dei vincoli paesaggistici, è in corso un’indagine nell’area dove dovrebbe sorgere il PRT per valutare la possibile assoggettabilità dello stabilimento alla normativa Seveso III, ed è di questi giorni la notizia che un’altra indagine è stata aperta in località San Basilio (dove è stato costruito il pozzo di spinta) per probabile inquinamento della falda acquifera. A questo, si aggiungono i lavori in mare che, sempre per mano di un governo traditore, sono stati autorizzati senza necessità di una concessione demaniale.
I ministri si sono incartati sulle loro stesse dichiarazioni: l’arroganza del Ministro del Sud, che si permette di definirci “teppistelli”, o l’irriverenza del Ministro dell’Ambiente, che si concede il lusso di dichiarare di “non aver riscontrato irregolarità”, sbattono violentemente contro i documenti ufficiali: non esiste alcun contratto vincolante tra TAP e il governo italiano, né tanto meno (per dichiarazione ufficiale degli stessi ministeri dopo che associazioni e liberi cittadini hanno effettuato una richiesta di accesso civico agli atti) esistono analisi costi/benefici reali e approfondite. Inoltre, il fantomatico calcolo di 20 miliardi di € di risarcimenti, come afferma il MISE, non è stato effettuato dal governo italiano bensì da Socar, società privata azionista di Tap, che avrebbe dunque tutto l’interesse ad arrotondare per eccesso le sue stime.
La scelta politica di lasciare via libera a Tap contrasta con la realtà dei fatti sopra descritta.”

Tutto assolutamente vero, ma occorrerebbe ricordare ciò che si è già detto all’inizio: tutti i governi, parlamentari o autoritari che siano, sono potenzialmente ‘traditori’ poiché, anche se eletti con i voti e il consenso di una maggioranza pur sempre parziale dei cittadini, sono tenuti a rispettare, prima di tutto, gli interessi nazionali ed internazionali delle classi detentrici del potere economico. Come ha dimostrato anche la scelta attendista, in attesa di ordini dall’alto dei vertici europei, scaturita dall’incontro avvenuto lunedì 12 novembre tra il ministro dei trasporti Toninelli e la sua omologa francese Borne.

Dimenticare o rimuovere dal dibattito tutto questo significa, semplicemente, condannare i movimenti alla perdita della loro autonomia e alla loro inventiva, unica vera alternativa al modo di produzione esistente e agli interessi che lo sottendono (politici, economici, culturali, mediatici). Significa, inoltre, relegare la democrazia esclusivamente all’ambito dei giochi parlamentari e politici che rappresentano proprio l’autentica negazione della stessa ovvero l’essere, prima di tutto, democrazia dal basso.

Come hanno ricordato recentemente i compagni NoTav:

“C’è chi cerca di nascondere le proprie responsabilità sul saccheggio e la devastazione dei nostri territori, su una politica dei governi che non ha investito sulla messa in sicurezza e sulla tutela dell’ambiente, sullo sperpero di risorse pubbliche a favore di grandi opere inutili togliendo risorse a sanità, emergenza abitativa, welfare, scuola, ricerca e lavoro.
Mentre in Italia si continua a morire per il maltempo e intere aree del paese vengono messe in ginocchio, c’è ancora chi nega quale siano le vere priorità della collettività, provando a mettere avanti a tutto gli interessi delle grandi aziende e dei profitti di pochi.
Non ci siamo mai fatti ingannare e continueremo a lottare per la nostra terra e per un modello di sviluppo sostenibile per tutti.”

Per questo motivo l’8 dicembre, che dal 2010, è la Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e in difesa del pianeta, molti movimenti sul territorio italiano si mobiliteranno per la tutela dei territori e contro lo spreco di risorse pubbliche.
Pertanto in quella data, storica per il movimento No Tav, lo stesso scenderà nuovamente in piazza a Torino per una grande manifestazione. Poiché, al di là dei giochi di palazzo e di potere, c’eravamo, ci siamo e ci saremo SEMPRE.