di Alessandra Daniele

“La maggior parte dei paesi ha un esercito. L’esercito prussiano ha un paese”.
L’aforisma di Voltaire è perfetto per gli Stati Uniti, se con esercito s’intende anche l’industria bellica e para-bellica che è la spina dorsale metallica dell’impero USA.
Un sistema politico-economico e mediatico basato sul warfare, una vera e propria fabbrica di guerre fatte in serie, il cui altoforno che non può mai essere spento, e pretende d’essere continuamente nutrito divorando un paese dopo l’altro, ora punta all’Iran.
Tutta l’area è ormai una fornace di conflitti concentrici, come gironi dell’inferno in terra.
Le immagini televisive di devastazione provenienti dalle zone di guerra sono terribili quanto sinistramente familiari. E non soltanto perché ne arrivano di simili da quasi 30 anni. Sono anche il genere di scenari che siamo abituati a vedere nelle serie e nei film post-apocalittici USA, della guerra eterna e “necessaria” che raccontano.
Cambiando canale si cambia scenario: metropoli illuminate, paesaggi tropicali, salotti colorati pieni di vip.
L’impressione che ne deriva è che la struttura del nostro universo sia simile a quella d’un palinsesto televisivo, dove ogni scenario è strettamente confinato all’interno della narrazione che lo rappresenta, con rare possibilità di mescolarsi ad altri purché già simili per qualche episodio crossover, e nessuna possibilità di filtrare nella nostra realtà quotidiana.
Ovviamente questa è un’illusione.
Gli universi post-apocalittici che vediamo nelle news appartengono al nostro mondo, e sono spesso molto più vicini di quanto pensiamo.
Cambiare canale è inutile.
Come votare.

Il Movimento Due Facce corteggia ancora lo zar di tutte le ruspe, ma se non è già al governo col PD lo dobbiamo solo a Renzi. Grazie al Cazzaro.
Mentre i partiti si concentrano sulle meschine acrobazie per tornare alla solita Grossolana Coalizione aggirando il risultato elettorale, a pochi chilometri da qui l’apocalisse è già cominciata.

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