di Fiorenzo Angoscini

Andrea Sceresini, Nicola Palma, Maria Elena Scandaliato, Piazza Fontana, noi sapevamo. Golpe e stragi di stato. La verità del generale Maletti, Prefazione di Paolo Biondani, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, ottobre 2017, pag. 215, € 18,00

Nella raccolta di saggi e discorsi del più eminente scrittore cinese di inizio ‘900, simpatizzante del Partito Comunista, fondatore della Lega degli scrittori di sinistra, Lu Hsun un intervento si intitola ‘Ricordo per dimenticare’, che può essere, leggermente modificato in ‘Ricordo per offuscare’, per inquadrare l’intervista, condotta a sei mani, all’ ex capo dell’ufficio ‘D’ del Sid, militare di professione, per tradizione di famiglia e vocazione giovanile.
Per evitare scorciatoie intellettualistiche, abbiniamo (con un paio di nostre ‘arbitrarie’ aggiunte) anche quanto letto recentemente in un servizio pubblicato sul settimanale di uno dei due più diffusi quotidiani nazionali, dedicato al rapper canadese Aubrey Drake Graham che, citando Albert Einstein, inizia così: “Il mondo non è minacciato (solo, nda) dalle persone che fanno il male ma (soprattutto, nda) da quelle che lo tollerrano”. Perchè, naturalmente, se non ci fossero i ‘malvagi’ non ci sarebbe bisogno degli ‘gnorri’.

Il ‘Capitano’ Maletti concede parzialmente la sua memoria, i suoi intermittenti ricordi ma, soprattutto, le sue reticenze ed omertosi silenzi. Quando non addirittura una spudorata sfacciataggine: “Generale, ma lei ha una memoria prodigiosa…Ci osserva uno a uno. Poi sorride: ‘Sì, certo. E’ chiaro. Ma solo quando mi fa comodo‘” (pag. 30, il neretto è nostro). Più volte, in termini simili, anche se con parole diverse, ma senza modificarne la sostanza, l’agente segreto ribadisce tale concetto. Oppure, indicando come sicuri testimoni ben informati, individui ormai morti.

La verità pilotata, già pubblicata la prima volta nell’aprile 2010 dall’editore Aliberti di Reggio Emilia, aveva subito sollevato entusiasti consensi,1 ma anche esplicite critiche.2
La rilettura, avvenuta dopo sette anni dalla prima uscita, permette di cogliere, ed evidenziare, pregi (ci sono) e difetti, sviste, dimenticanze, confuse frammistioni e contraddizioni esplicite presenti nel testo, ottenuto e trascritto, sostanzialmente, dalla sbobinatura di una lunga video intervista durata tre giorni, condotta nel novembre 2009 in Sudafrica, dai tre giornalisti italiani al latitante d’oro, emigrato di lusso.

L’elaborato di Sceresini, Palma e Scandaliato, ci permette di inquadrare e ricordare chi è, cosa ha fatto, perché e per quali reati è stato condannato (in via definitiva) l’ex numero due del Sid, e a capo dal 1971 al 1975, dell’ufficio “D”, quello che si occupava di controspionaggio.
L’Africa, per i Maletti (il padre Pietro e il figlio Gianadelio) è come una ‘seconda casa’, usata ed abusata.

Il generale Pietro “trascorse in questo continente gli anni più ruggenti della sua vita. Nel 1917, giovane maggiore reduce dal Carso, fu inviato nel deserto libico…Poi, nel 1935, finì in Somalia: combatté alla testa di un raggruppamento di ascari. Partecipò a numerosi scontri…Nel maggio 1937, fu proprio lui, il generale Pietro Maletti, a guidare le sue truppe all’assalto del monastero di Debra Libanos, poco lontano dalla capitale”. Eseguendo alla lettera gli ordini del vicerè d’Etiopia, Rodolfo Graziani, il teorico dello sterminio ed utilizzatore di gas tossici contro le popolazioni etiopi ed abissine, il militare italiano Maletti, passò per le armi 449 monaci.3 Mentre percorrono i circa 150 chilometri che separano Addis Abeba dalla città santa della chiesa copta di Debrà Libanòs, le truppe agli ordini del regio generale incendiano 115.422 tucul e tre chiese e ‘giustiziano’ 2523 ribelli. Secondo Angelo Del Boca “la pagina più odiosa del colonialismo italiano”. Per i suoi servigi, e criminali attività africane, il regime fascista gli ha conferito una medaglia d’oro, tre d’argento, due di bronzo: un eroe littorio, autentico colonialista.

Il figlio Gianadelio, sin dalla più giovane età, respira e cresce in un’atmosfera intrisa di grigio-verde e camicie nere. Mentre il padre, figlio di un militare, lo vorrebbe artigliere, il futuro agente segreto sceglie la fanteria, nei cui reparti rimarrà sempre fino a raggiungere il grado di generale. Nonostante la dichiarata allergia fisica alla stoffa delle uniformi. Allievo in Accademia, nelle scuole militari -suoi commilitoni: Vito Miceli ed Eugenio Cefis – e di guerra (Cesano, Modena, Civitavecchia, Milano, e Car di Como), distaccato in Val Camonica durante i primi mesi del secondo conflitto mondiale. Poi, Sicilia nel Reggimento fanteria della Divisione Aosta, già ‘comandata’ dal padre, e posto a capo della Compagnia arditi reggimentali.

Catturato il 26 luglio 1943, giorno successivo alla caduta del regime dopo le decisioni assunte dal Gran Consiglio del fascismo, viene internato in campi di prigionia gestiti da statunitensi.
Dopo la cattura nei pressi di Petrosino, mi condussero nei campi di concentramento americani, passai gli ultimi mesi di guerra in prigionia. A volte mi trovai davanti gli inglesi, altre i francesi, soprattutto durante i trasferimenti. Ma la gran parte del tempo la trascorsi sotto il controllo americano, in Tunisia, Algeria e Marocco”. E’ rimesso in libertà, da Camp Liotei di Casablanca, nell’agosto 1945.

E, forse, come spesso sostengono psico-sociologi moderni, il ‘recluso’ Maletti viene colpito da una sorte di Sindrome di Stoccolma e ‘prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice’. Statunitense.
Conseguentemente, “vi posso raccontare di due esperienze formative, diciamo così, negli Stati Uniti. Nella prima occasione, fui assegnato alla Scuola di fanteria di Fort Benning, in Georgia, dove presi parte al cosiddetto corso avanzato di fanteria, durato circa un anno, dal 1949 al 1950. Ritornai negli States sette anni dopo, nel 1957, per frequentare la Scuola di Stato maggiore di Fort Leavenworth, in Kansas: ero insieme a un altro ufficiale italiano, e facevamo parte di un gruppo di settanta elementi provenienti da tutti i paesi del blocco occidentale…Poi, nel 1963, fui nominato addetto militare all’ambasciata italiana in Grecia”.

Anche in questo ‘estratto’ si può notare l’abilità oratoria ed omertosa dell’intervistato: ammette, rivela, la presenza di un altro ufficiale addestrato dagli amerikani senza indicarne il nome. Perché? Un agente da nascondere, coprire, occultare?
E dopo l’addestramento politico militare a casa dello Zio Sam, la trasferta nella penisola ellenica.
Nel periodo della sua permanenza presso l’ambasciata d’Italia ad Atene, i Colonnelli (aprile 1967) rovesciano il legittimo governo ed instaurano la dittatura militare. Un anno dopo (16 aprile 1968) un gruppo di studenti fascisti (gli stessi che gridano: Ankara, Atene, adesso Roma viene) , tra cui Mario Merlino, ospiti del Kyp, il servizio segreto greco, agenzia d’oltremare della Cia, in occasione del primo anniversario del putch partecipa ad un viaggio-premio (con contributo economico del Sid) e di studio delle strategie poliziesche repressive del regime.

Alcuni dei partecipanti alla gita oltremare, avevano preso parte (come uditori) al famigerato convegno dell’Hotel Parco dei Principi (maggio 1965) dedicato alla ‘Guerra Rivoluzionaria’, la cui seconda parte del titolo, che in moltissimi tendono a dimenticare, è: “Il terzo conflitto mondiale è già cominciato”.4 Che fosse stata dichiarata ‘la guerra’, e che fascisti, militari e ‘servizi’ la stessero conducendo (ognuno con le proprie armi, mezzi e strumenti) sono a dimostrarlo gli attentati dell’aprile alla Fiera di Milano e stazione Centrale, di agosto sui treni e dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura, i tentativi di golpe (dicembre 1970) e tutte le altre iniziative (Freccia del Sud-Treno del Sole: luglio 1970, Peteano, Questura di Milano, Piazza della Loggia, golpe bianco, Italicus, stazione di Bologna, loggia Propaganda 2) per fermare l’avanzata Bolscevica. Con ogni mezzo necessario5 e con la scia di morti che hanno provocato.

Nel settembre dello stesso anno del golpe, colui che “si adoperò, a partire dal 1972, per sottrarre agli inquirenti le persone inquisite” (Istruttoria Salvini) rientra in Italia ed assume “il comando del Ventiduesimo reggimento fanteria Cremona” con “un battaglione dotato di carri armati americani M47 e di veicoli corazzati per fanteria M113, anch’essi americani ma prodotti dalla Oto Melara”. Maletti può dimostrare quanto appreso negli stage formativi seguiti in America a fine anni cinquanta-inizio sessanta.

Dal novembre 1968 al novembre 1970, direttore dell’ufficio addestramento dell’esercito. Nello stesso periodo compie viaggi ‘turistici’ in Jugoslavia “per rendermi conto delle bellezze naturali del paese, delle sue diversità etniche e delle condizioni di strade e ponti”. Un turista particolare, verrebbe da pensare… ”Niente di ufficiale”, puntualizza immediatamente.
Sempre nel novembre 1970 inizia il corso annuale, presso il Centro Alti Studi Militari, con viaggi di istruzione a Parigi, Normandia, Londra e Tunisia (auspice l’Eni). Non può partecipare ad un altro viaggio-studio in Svezia “perché su richiesta del generale Miceli, allora capo del Sid, il Ministero mi trasferì presso quel servizio prima che il corso del Casm fosse concluso”.

Così, il 15 giugno 1971 viene nominato responsabile dell’ufficio “D” (Controspionaggio) del Servizio Informazioni Difesa, e ci rimane fino al 30 ottobre 1975. Ed è qui, che compie il suo ‘magistero’, inteso come opera di maestria. Ed è per queste opere che viene, prima arrestato (28 febbraio 1976) per falso ideologico in atto pubblico e favoreggiamento personale (organizzazione e realizzazione fuga) nei confronti di due imputati per la strage alla Banca dell’Agricoltura, Guido Giannettini (Agente ‘Z’) e Marco Pozzan (l’uomo di Freda a Padova) quindi condannato, in via definitiva ad un anno con la condizionale, interamente condonato.

Un’altra condanna definitiva, a 9 anni di reclusione, la ‘merita’ nel 2003 per sottrazione di documenti riservati appartenenti al dossier (redatto nel 1974-75) Mi.Fo.Biali (Miceli, Foligni, Libia) relativo ad un traffico di petrolio con la Libia.6 Documenti finiti misteriosamente nelle mani di Carmine Mino Pecorelli (prima ‘nemico’, poi ‘sopportato’ di Maletti), piduista, fondatore dell’agenzia di stampa Osservatorio Politico Internazionale, poi spregiudicato ed ambiguo giornalista-editore-proprietario del settimanale, in odore di finanziamenti da parte del ‘Servizio’, Osservatorio Politico che ne pubblica ampi stralci. Pecorelli viene ucciso con quattro colpi di pistola la sera di martedì 20 marzo 1979. Curiosamente, Maletti che non è più, ufficialmente, un effettivo del ‘servizio’, viene ‘casualmente’ informato dell’omicidio Pecorelli, da un agente in servizio, il ‘suo’ capitano Labruna.

Il giovedì successivo il settimanale ‘spazzatura’ doveva proporre ai lettori un servizio esplosivo contro Giulio Andreotti. Maletti sostiene che Pecorelli gli confidò di come Licio Gelli, per conto di Andreotti, gli offerse una ‘mancia’ per non far uscire quel numero della rivista. Che, per la sopraggiunta scomparsa dell’autore, non venne provvidenzialmente stampato. Giulio Andreotti, condannato in primo grado all’ergastolo, quale mandante dell’omicidio, viene assolto in Appello.

Nel mese di aprile del 1980 Maletti inizia la sua latitanza-trasferimento-esilio in Sudafrica. Dal ‘paese dei diamanti’, rientrò in Italia solo una volta, marzo 2001, per testimoniare al quinto processo per la strage di Milano: “Dietro la strage c’era l’ombra della Cia…Gli americani sapevano tutto. Conoscevano i neofascisti e li incoraggiavano. Furono loro a fornire l’esplosivo…Sono qui perché amo la patria”. Dopodiché, indisturbato, grazie ad uno speciale salvacondotto (rilasciato da chi?) secondo il quale nessuno avrebbe potuto arrestarlo nonostante le condanne, tornò nel paese dell’Africa meridionale, dove tutt’ora si gode il suo personale buen retiro.

La ricostruzione dei tre giornalisti ricorda (oltre a quanto già riportato) alcune situazioni delicate: la vicenda dell’aereo ‘Argo 16’, il taxi di Gladio. Nome in codice di un aereo Douglas C 47 dell’Aeronautica Militare italiana precipitato a Marghera il 23 novembre 1973, causando la morte dei quattro membri dell’equipaggio e sfiorando un disastro ambientale (la caduta si verificò molto vicino ad un bunker per lo stoccaggio del fosgene nel polo petrolchimico). Secondo fonti giornalistiche e l’opinione di Francesco Cossiga, abbattuto per vendetta dai ‘servizi’ Israeliani.

E poi: lo svuotamento, da parte del padre del neofascista Gianni Casalini (per il Sid, fonte “Turco”) del deposito di Venezia – pieno di esplosivo di origine americana proveniente dalla Germania, quasi sicuramente utilizzato per il massacro del 12 dicembre 1969 – grazie all’imbeccata di un capitano dell’arma, Manlio Del Gaudio.
L’ammissione, ermetica e semi-omertosa, nonché deviante dell’ex capo dell’ufficio ‘D’ che in Piazza Fontana “erano in quattro”, senza naturalmente specificare chi fossero quei quattro.

La quasi inutile intervista ad Ivano Toniolo, ‘rintracciato’ dai tre autori in Angola dopo la loro missione sudafricana, fascista della cellula padovana di Ordine Nuovo e che, secondo Casalini, era stato il suo complice nel posizionare gli ordigni sui treni (8-9 agosto 1969).
Il ruolo dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni, soprattutto del suo numero due (come Maletti) braccio destro del ‘capo’ Federico Umberto D’Amato, Silvano Russomanno, “Aveva militato nelle SS italiane, credo”.
La sera del 12 dicembre 1969, Russomanno venne mandato a Milano: il suo compito era quello di gestire le prime indagini. E forse, ha ipotizzato qualcuno, i primi depistaggi” .7

La ricostruzione del falso arsenale comunista di Camerino. Allestito dai carabinieri…
Ma…in ordine sparso, sono da ricordare anche certe sviste, dimenticanze e affermazioni, non proprio minori e non sempre ‘neutrali’. Ne evidenzieremo alcune.
Già in prefazione (non degli autori) un’affermazione stonata quando si paragona il 12 dicembre 1969 all’11 settembre 2001.

Un ‘altra sottolineatura fuori luogo è indicare “servizi segreti deviati” portando come testimonianza anche quella di Vincenzo Vinciguerra8 il quale precisa: “La linea terroristica veniva eseguita da infiltrati, da persone che stavano all’interno degli apparati di sicurezza dello Stato. Dico che ogni singolo scandalo, a partire dal 1969, ben si adattava a una matrice organizzata: non parliamo di elementi deviati, ma dello Stato e dell’Alleanza atlantica”.
Sempre a supporto di ‘deviazione statale’, quando ricordano gli avvenimenti terroristici (pag. 22) del periodo 1969 (Piazza Fontana) – 1980 (Stazione Bologna) ‘dimenticano’ i sei morti e i 66 feriti dell’attentato compiuto contro la ‘Freccia del Sud-Treno del sole’ (22 luglio 1970) e la strage del treno Italicus (4 agosto 1974, due mesi dopo Piazza della Loggia) che provocò la morte di 12 viaggiatori e il ferimento di un’altra cinquantina.

Un’altra ‘giustificazione a posteriori’ che, ‘servizi’, fascisti, complici e conniventi, nonché utili idioti e furbastri di ogni specie, tentano di spacciare (lo fa anche Maletti nell’amichevole colloquio), è quella relativa al non prevedibile esito dello scoppio e non volontarietà di provocare morti, cercando di accreditare la scopo dimostrativo della bomba, perché la banca, solitamente, a quell’ora è chiusa. “Milano, piazza Fontana. Il 12 dicembre è un venerdì. La Banca Nazionale dell’Agricoltura, a pochi passi dal Duomo, quel giorno resta aperta più del solito” (pag. 71) “La strage è avvenuta per caso” . (pag. 82)

Un volgare, e poco intelligente tentativo di ribaltare la realtà delle cose. Il venerdì pomeriggio la BNA resta sempre aperta per il mercatino degli agricoltori:9 lavoratori della terra, allevatori, produttori di sementi, materie prime e mangimi bilanciati, mediatori, agronomi, periti agrari e veterinari si incontrano nella sala della banca per partecipare alla borsa merci dei prodotti agricolo-zootecnici. L’allegato articolo del 13 dicembre 1969 del Corrierone lo certifica e conferma. 10
Così come stupefacente è la motivazione per cui né Giannettini, né Pozzan (i due esfoliati da Maletti) non possono essere gli autori del posizionamento della bomba. Alla sua tesi, ribattono:“Come fa ad esserne sicuro? La strabiliante risposta: “Entrambi erano dei pavidi” . (pag. 80)

Altre affermazioni ‘sensazionali’ sono quelle relative alla fede anarchica di Mario Merlino: “…gli anarchici Mario Merlino…” (pag. 177) e al filosovietismo di Giangiacomo Feltrinelli.
I sovietici, ai quali Feltrinelli stava a cuore…” (pag. 169).
Che il Circolo 22 Marzo di Roma fosse un organismo anarchico è una ‘verità’ assoluta, che fosse infiltrato da fascisti (Merlino) e poliziotti (Salvatore Ippolito) è, purtroppo, un altro reale dato di fatto. Questo non promuove Merlino a militante anarchico.
Sulla appartenenza ‘terzomondista’ e, quindi, non ‘sovietista’ di Feltrinelli, c’è abbondante materiale (e il suo curriculum) che lo certifica.

Ma quello che andava sicuramente evitato è quanto riportato a pag. 199. “Ha scritto qualcuno: ‘La giustizia è come un timone. Dove lo giri, va‘”.
La definizione è di Lao Tze, filosofo e scrittore cinese ma, soprattutto, utilizzata come titolo di uno dei primi contributi ‘rumorosi e teorici’ (anche se firmato Fronte Popolare Rivoluzionario) di Franco Freda ritenuto dall’ultimo processo, anche se non più punibile perché già precedentemente assolto, tra gli autori della strage di Piazza Fontana.

E Marco Nozza ricorda: “Nello scatolone del Viminale numero 19 (nero) e 51 (rosso) c’erano molti ritagli di giornale…e la cosa più sbalorditiva era che su quei pezzetti di carta un pennarello nero aveva tracciato, vistosamente e vibratamente, il segno inconfondibile di quelle tre lettere Fpr…mentre noi pistaroli avevamo scarsa dimestichezza con quella sigla, gli Affari riservati mostravano di averne molta, fin troppa…parlavamo sempre di pista veneta, pista nera, di neofascisti padovani e trevigiani, mai parlavamo di Fpr, ossia Fronte Popolare Rivoluzionario”.11
In poche righe, è svelato un arcano. Chi doveva e poteva sapere, sapeva. Faceva, o aveva fatto.

Al termine di queste note, riflettendo sui modi, scopi ed esiti della lunga intervista, ci ritorna un ammonimento di Bertolt Brecht: “Chi ai nostri giorni voglia combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità, deve superare almeno cinque difficoltà. Deve avere il coraggio di scrivere la verità, benché essa venga ovunque soffocata; l’accortezza di riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l’arte di renderla maneggevole come un’arma; l’avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace; l’astuzia di divulgarla fra questi ultimi. Tali difficoltà sono grandi per coloro che scrivono sotto il fascismo, ma esistono anche per coloro che sono stati cacciati o sono fuggiti, anzi addirittura per coloro che scrivono nei paesi della libertà borghese”.12 .
Infine poche considerazioni ‘editoriali’. Ci ha stupito non trovare nessun rimando alla prima edizione. Così come ci è sembrato strano che si sia eliminato l’indice ragionato dei nomi principali e
l’indice dei nomi (sempre utilissimo) ed è stata ridotta ad una paginetta scarsa (termina al 26 ottobre 1962 con la morte di Enrico Mattei) la cronologia, prima ricca di ben 10 pagine.
Misteri di un libro sui…misteri?

Per cercare di comprendere meglio la situazione, le dinamiche precedenti e conseguenti che hanno portato alla strage di Piazza Fontana, il contesto politico in cui è maturata, da chi è stata compiuta, chi e come ha favorito e coperto gli organizzatori ed esecutori, suggeriamo la lettura (o rilettura) di una serie di opuscoli, dossier, inchieste condotte da collettivi o comitati politici a ridosso di quell’avvenimento. Evidenziando, esclusi i primi due, quelli di G.C. Feltrinelli, e gli ultimi due, la data di pubblicazione. Praticamente da subito, erano stati individuati e si sapeva chi erano i responsabili. Negli anni e nei decenni, successivi, grazie soprattutto all’intelligente, meticoloso e preciso lavoro di alcuni giornalisti d’inchiesta: Marco Nozza (Il Giorno), Camilla Cederna (L’Espresso), Giulio Obici (Paese Sera), Marcella Andreoli (L’Avanti!), Mauro Brutto (L’Unità), Corrado Stajano (Il Mondo e Tempo Illustrato) e tutto il collettivo che animava e partecipava all’attività del ‘bollettino di controinformazione democratica’ del movimento dei ‘giornalisti democratici’ di Milano, si sono potuti aggiungere particolari e nuovi elementi, ma la sostanza era quella subito individuata.
Molti altri contributi: articoli, inchieste, pubblicazioni a stampa di case editrici prestigiose e di giornalisti ufficiali, sono più facilmente reperibili e, forse, più conosciuti di quelli sotto ricordati. Solo per questo non li elenchiamo.

Giangiacomo Feltrinelli, La politica al primo posto. “Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia!”, Libreria Feltrinelli, Milano, 1968;

Giangiacomo Feltrinelli, La politica al primo posto. “Estate 1969: la minaccia incombente di una svolta radicale e autoritaria a destra, di un colpo di Stato all’italiana. Le ragioni e i modi con cui si tenterà di imporre un regime autoritario in Italia, Libreria Feltrinelli, Milano, 1969;

La strage di stato. Controinchiesta, La nuova Sinistra-Samonà e Savelli, Roma, giugno 1970

Crocenera Anarchica, Le bombe dei padroni. Processo popolare allo stato italiano nelle persone degli inquirenti per la strage di Milano, Biblioteca delle collane ‘Anteo’ e ‘La Rivolta’, La Fiaccola edizioni, Ragusa, agosto 1970;

Vincenzo Nardella, Noi accusiamo! Contro requisitoria per la strage di stato, Jaca Book, Milano, 1971;

Milano e Roma-12 dicembre 1969. La strage di stato voluta dai padroni. Pinelli assassinato, Umanità Nova, 20 ottobre 1971;

Fotostoria 1969-1972 . Dalla strage alle elezioni. Da Valpreda a Feltrinelli. Il fascista, sicario della strage, è certamente tra queste foto. Giochi di potere intorno a un processo pericoloso: 16 assassinati-2 suicidati-5 provocatori-4 ammazzati-634 testimoni-180 giornalisti-21 fotografi-Inoltre: spie, commissari, presidenti, generali, fascisti, ministri, sicari, maggioranze silenziose e loquaci, Sapere Edizioni, Milano, Anno I, n° 1- marzo 1972;

Valpreda è innocente: la strage è di stato. Giustizia proletaria contro la strage dei padroni. Guida al processo a cura del Soccorso Rosso. Numero unico edito dal Comitato Nazionale di Lotta sulla strage di stato-Soccorso Rosso-presso LIDU, piazza Santi Apostoli, 49 Roma, senza data (ma 1972);

Chi è nella Cia. Who’s who in Cia. L’elenco completo dei 3.000 agenti militari e civili del Servizio Segreto americano operante in oltre 120 stati, Napoleone Editore, Roma, 1972

Padova: Comitato di Documentazione Antifascista, Il silenzio di stato, Edizioni Sapere, Milano, febbraio 1973;

Maquis, mensile d’informazione politica militare internazionale, Chi farà il vero colpo di stato? La strage della guerra psicologica, n.1 giugno 1974, Milano;


  1. http://ilblogdinandomainardi.blogspot.it/2011/05/recensione-di-piazza-fontana-noi.html  

  2. http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-piazza_fontana_noi_sapevamo..php  

  3. Studi recenti, condotti all’inizio degli anni novanta, indicano in 1.400-2.000 i morti della strage  

  4. E. Beltrametti (a cura di) La guerra rivoluzionaria. Il terzo conflitto mondiale è già cominciato, Atti del primo convegno organizzato dall’ Istituto Pollio, Giovanni Volpe Editore, Roma, 1965  

  5. Elio Franzin, Mario Quaranta, Gli attentati e lo scioglimento del parlamento, Pamphlets-Diffusione sbl, Padova-Roma, 1970  

  6. Mario Foligni, fondatore di un Nuovo Partito Popolare, voleva contrastare, da destra, la Democrazia Cristiana  

  7. Gabriele Fuga, Enrico Maltini, Pinelli. La finestra è ancora aperta, Colibrì Edizioni, Paderno Dugnano (Mi) dicembre 2016  

  8. ‘Soldato politico’, come ama definirsi, già militante di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale, autore reo confesso dell’azione di Peteano-Frazione Sagrado (Go) del 31 maggio 1972, quando, in seguito all’esplosione di un’auto bomba, persero la vita tre carabinieri, oltre a due feriti  

  9. https://www.ildeposito.org/archivio/canti/piazza-fontana-luna-rossa  

  10. http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d9f21347a581  

  11. Marco Nozza, Il pistarolo,. Da Piazza Fontana, trent’anni di storia raccontati da un grande cronista, Introduzione di Corrado Stajano, il Saggiatore, Milano, novembre 2006  

  12. Bertolt Brecht, Scritti sulla letteratura e sull’arte, Einaudi, Torino, 1973