di Paolo Bruschi
Oggi, 15 agosto 2017, cade il centenario della nascita dell’Arcivescovo salvadoregno Oscar Romero, ucciso a San Salvador il 24 marzo 1980 dagli squadroni della morte. Ai suoi concittadini aveva promesso: “Se sarò ucciso, risorgerò nel mio popolo”.
Il National Security Archive (Nsa1 ) è un ente non governativo che negli Stati Uniti si occupa di pubblicare documenti politici desecretati, inclusi quelli della Cia e dell’Fbi.
Uno di questi atti, declassificato nel 1992, è un telegramma ricevuto dal Dipartimento di Stato, datato 21 dicembre 1981, proveniente dalla propria ambasciata in El Salvador. Il titolo recita “Assassinio dell’arcivescovo Romero” e si tratta di una delazione fatta da un membro dei servizi segreti salvadoregni a un pari ruolo americano: “L’omicidio di monsignor Romero fu pianificato in una riunione presieduta dal maggiore Roberto D’Aubuisson. Durante l’incontro venne estratto a sorte, tra alcuni partecipanti, il privilegiato che avrebbe ammazzato l’arcivescovo.”
Roberto D’Aubuisson Arrieta, classe 1943, era uno dei tanti militari salvadoregni che, dopo essersi diplomato nell’accademia del suo Paese, a partire dal 1965 studiò alla School of the Americas (Soa2 ). Uno dei tanti, ma probabilmente un prediletto e un predestinato, se è vero che fu istruito a Washington, Fort Gulick (Panama) e Taiwan, e tornato in patria fece una rapida carriera all’interno dell’Ansesal (Agencia Nacional de Seguridad Salvadoreña – i servizi segreti salvadoregni), di cui negli anni settanta divenne capo.
La School of the Americas è un collegio militare nato nel 1946 a Panama per volere del Dipartimento di Stato Usa, trasferitosi poi a Fort Benning, in Georgia, nel 1984.
Questa strana istituzione possiede almeno un paio di caratteristiche distintive: la prima è che non addestra (salvo rarissime eccezioni) soldati statunitensi, ma soltanto ufficiali stranieri appartenenti a forze armate e di polizia latinoamericane. Molti allievi, al termine della preparazione, vengono iscritti direttamente sul libro paga della Cia.
La seconda si deduce dagli atti delle commissioni d’inchiesta nazionali e internazionali istituite in diversi Paesi dopo le relative dittature e stragi del secondo dopoguerra, e dai processi conclusi o in corso: sono milioni le denunce, sporte soprattutto attraverso la mediazione di organizzazioni per i diritti umani, in relazione a cittadini torturati, violentati, assassinati, fatti sparire o costretti all’esilio come risultato delle azioni compiute da ufficiali formati alla Soa.
Da queste fonti emerge con chiarezza come l’istituzione sia stata, e in qualche modo sia ancora oggi, una scuola di coercizione, dittatura e terrorismo: uno degli strumenti più potenti utilizzati dagli Usa per garantirsi una duratura ingerenza politica ed economica in America Latina.
Nel 1996 l’Nsa portò alla luce alcuni manuali in uso alla Cia e all’esercito all’interno del collegio. In quei testi si giustificava l’opportunità dell’estorsione mediante tortura e addirittura delle esecuzioni extragiudiziali (omicidi arbitrari, per essere chiari). Il fatto è ben noto allo stesso Congresso americano: ormai da diversi anni, molti deputati si battono perché la Soa chiuda i battenti, non esitando a definirla una vergogna nazionale.
Durante la sua attività, la School of the Americas ha addestrato circa 65.000 militari latinoamericani a tattiche di comando e tecniche di combattimento, compresa la guerriglia urbana e la guerra psicologica. Dal Messico, scendendo per tutto il continente fino a Capo Horn, non esiste nessun governo che dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi non abbia usufruito di professionisti formati da tal collegio. E non si tratta di soldati semplici, ma di ufficiali e generali che hanno ricoperto ruoli chiave nelle rispettive forze armate, forze di polizia, unità speciali e sevizi segreti, compresi dittatori e capi di Stato. Solo per citare alcuni di questi ultimi: Rioss Mont in Guatemala, Leopoldo Galtieri e Roberto Eduardo Viola in Argentina, Hugo Banzer Suárez in Bolivia, Juan Velasco Alvarado in Perù, Guillermo Rodriguez in Ecuador. Tutti presidenti golpisti dei loro relativi Paesi, protagonisti di dittature talvolta spietate e delitti accertati.
La Commissione per la Verità, istituita dall’Onu nel corso degli accordi di pace avuti luogo dopo la guerra civile in El Salvador (1980-1992), ha stabilito che due terzi dei militari coinvolti nei crimini perpetrati durante il conflitto fratricida fossero usciti dalla Soa. Il piccolissimo Stato centroamericano, nonostante le dimensioni e il trascurabile ruolo geopolitico, risulta incredibilmente secondo, dopo la Colombia, nella classifica degli ufficiali formati dal collegio (quasi 7.000).
Per il governo di Washington, giustificare tale ingerenza e tale prassi della violenza è sempre passato da un’unica, confortevole argomentazione: la lotta al comunismo, la cosiddetta politica del containment. Una spiegazione ritrita e ormai non più plausibile.
Gli Stati Uniti uscirono dal secondo conflitto mondiale in una condizione assai privilegiata: oltre alle immense aree di influenza stabilite a tavolino a partire da Yalta, gli Usa da soli esprimevano circa la metà della ricchezza del pianeta, mentre tutte le altre maggiori nazioni, sia vincitori che vinti, avevano subito distruzioni dei loro apparati produttivi talvolta esiziali.
Già durante il conflitto, analisti politici ed economici americani misero le mani avanti, cercando di progettare il mondo del dopoguerra e pensandolo in funzione del mantenimento dei loro interessi. Nel nuovo organigramma ogni contesto geopolitico avrebbe dovuto assumere un ruolo e un compito specifico. Non stiamo parlando di chiacchiere o ricostruzioni fantasiose, ma di studi, circolari e memorandum espressi in particolare dal Dipartimento di Stato, messi nero su bianco e assai articolati: e puntualmente, fatta la giusta sintesi, portati a compimento.
Da quei documenti si evince come il destino pensato per il Terzo Mondo (di cui l’America Latina era considerata parte) fosse adempiere alla sua “naturale” funzione di fonte di materie prime e avamposto delle imprese multinazionali statunitensi, che inoltre vi avrebbero aperto i loro mercati e imposto i propri prodotti.
Il problema maggiore nel garantirsi questo tipo di subordinazione era rappresentato dal fastidioso anelito di certe nazioni alla democratizzazione: un Paese sottosviluppato che si emancipa e ridistribuisce diritti e ricchezze al suo interno, magari nazionalizzando alcuni settori produttivi, sarebbe stato un ostacolo al “padrinato” americano, ai suoi investimenti e ai suoi profitti.
L’azione migliore, dunque, era soffocare sul nascere i venti di cambiamento: senza esporsi troppo in prima persona, venne ritenuto vantaggioso stringere alleanze con le zelanti oligarchie locali e con politici corrotti, reazionari e possibilmente violenti, formando all’uopo generali, milizie e paramilizie, appoggiandole e finanziandole. Sarebbero state loro a sporcarsi le mani agli occhi del mondo.
Da questa logica non era esclusa nessuna nazione, per quanto irrilevante sulla carta geografica: la sua emancipazione avrebbe insinuato in America Latina il seme malato del paragone e dell’emulazione, diventando un pericoloso esempio da seguire. Perché in democrazia tutto sommato non si sta male, e il miglioramento delle condizioni di vita si sarebbe potuto trasformare in un’epidemia.
Quando l’insofferenza della popolazione cominciò a traboccare, il destino del Pulgarcito de America (Pollicino, come è chiamato dalla sua gente El Salvador), uno Stato povero, arretrato e grande come la nostra Emilia Romagna, che apparentemente a nessuno poteva nuocere, fu dunque pesantemente indirizzato al prezzo di decine di migliaia di vite umane. Sorte non dissimile è toccata al Nicaragua e più in generale un po’ a tutta l’America Centrale, che ha dovuto soffrire per decenni le vessazioni di governi corrotti e pilotati come burattini.
Ma torniamo a D’Aubuisson.
In El Salvador gli “squadroni della morte” cominciarono a svilupparsi negli anni sessanta proprio in seno all’Ansesal. La loro attività divenne sistematica e spietata a partire dagli ultimi anni settanta fino al termine della guerra civile (1992).
È stato appurato che una volta entrato nei servizi segreti, D’Aubuisson fu il grande riorganizzatore e collante di tali gruppi: bande paramilitari formate da agenti dei servizi o di polizia in borghese, esponenti dell’esercito e civili, questi ultimi emanazione del latifondismo più reazionario.
Il loro scopo era identificare, intimidire, torturare e all’occorrenza eliminare chi veniva considerato (anche a fronte di un semplice sospetto) sovversivo o comunista. Quasi ogni unità regolare dell’esercito o della polizia ne aveva a disposizione una con la quale si divideva i compiti più repressivi.
Tali organizzazioni avevano la cifra stilistica della tortura eccentrica, che portava nella maggior parte dei casi alla morte: tagliavano ai maschi i genitali e glieli infilavano in bocca, violentavano le donne e terminato il divertimento strappavano loro i feti, se incinte. Spesso infierivano poi sui cadaveri, decapitandoli ed esponendo le teste a qualche metro di distanza in bella mostra. Quando questi animali agivano, non guardavano in faccia nessuno: non risparmiavano neppure i bambini. Evidentemente comunisti lo si inizia a diventare molto presto.
Nel periodo in cui gli squadroni si affacciarono nel panorama politico, El Salvador era un Paese arretrato e depresso. Per dare un’idea di quale fosse la situazione: secondo il censimento del 1961, il 73 per cento della popolazione era senza acqua potabile, il 99 per cento senza energia elettrica, il 57 per cento analfabeta. La maggioranza dei cittadini conduceva una vita di sussistenza e i tre quarti delle terre risultavano in mano al 2 per cento dei salvadoregni, nemmeno dieci famiglie.
Negli anni ’70, dopo quasi 40 anni ininterrotti di dittature, golpe militari e governi fantoccio, ce n’era abbastanza perché l’indignazione e il desiderio di una riscossa iniziassero a formarsi e organizzarsi: nacquero così sindacati, associazioni di contadini, comunità di base cattoliche e fecero la loro comparsa anche le prime formazioni di guerriglia rivoluzionaria. Voci critiche verso il governo si levarono anche da parte di esponenti della Chiesa cattolica e in particolare dai gesuiti. Stava emergendo, insomma, una coscienza sociale.
Il triennio 1977-1979 fu segnato da una costante escalation delle violenze, che non risparmiò neppure la parte più progressista dello stesso clero, accusato di simpatizzare con la guerriglia e come tale perseguitato. Emblematico, a questo proposito, uno dei motti preferiti degli squadroni della morte: “Sii patriota, ammazza un prete”.
El Salvador precipitò nel caos, nella violenza, nel terrore. E infine nella guerra civile.
(Fine della prima parte – la seconda sarà pubblicata domani 16 agosto)