di Sandro Moiso

Hans Rickeit, The Squirrel Machine, Eris, Torino 2017, pp. 190, € 16,00

L’ambientazione vittoriana della fiaba poco educativa, recentemente pubblicata in italiano da Eris Edizioni, rinvia sicuramente, per le autentiche diavolerie tecnologiche rappresentate nelle bellissime tavole di Hans Rickeit, all’immaginario steampunk. Ma, in realtà, nello sfogliare, osservare, leggere e divagare sulle sue pagine i riferimenti più prossimi sembrano essere piuttosto “L’arte dei rumori” di Luigi Russolo, i “Quaderni di un mammifero” di Erik Satie, il cinema onirico di David Lynch e il delirio erotico-libertino del “divin marchese” De Sade.

Potrebbe apparire strano che nell’elencare i possibili riferimenti per un’opera a fumetti manchino completamente i riferimenti ad autori e lavori che si muovano nel settore dei comics, ma la potenza espressiva e simbolica, oltre che onirica, delle tavole di Hans Rickeit è tale da superare qualsiasi paragone con altri disegnatori. Al massimo, per certi aspetti del rapporto tra corpo e macchina , si potrebbe ancora fare riferimento a “Tempi moderni” di Charlie Chaplin e al “Tetsuo” di Shinya Tsukamoto oppure al teatro della crudeltà di Antonin Artaud. Ancora film e teatro, ancora autori visionari seppur di epoche differenti.

L’unico autore di fumetti cui Rickeit sembra essere debitore è sicuramente Winsor McCay che con il suo Little Nemo, pubblicato sul supplemento domenicale del New York Herald tra il 1905 e il 1911 e successivamente su quelle del New York American tra il 1911 e il 1913, raggiunse agli inizi del XX secolo vertici simili, sia per complessità e bellezza delle tavole che per dimensione onirica. Cosa che spinse il pubblico dei tempi a costringere McCay a riprendere ancora il suo personaggio tra il 1924 e il 1927 (nuovamente sul New York Herald).

L’autore, statunitense, è nato nel 1973 a Ashburnham, Massachusetts, in quella parte di America dove sembrano essersi concentrati tutti gli incubi dei Padri fondatori e del loro puritanesimo. E proprio dagli incubi e dai suoi sogni il cartoonist americano ammette di trarre gran parte dei suoi materiali, fin dalle short stories e dai cortometraggi che hanno agli inizi caratterizzato il suo percorso artistico ed espressivo. Così, tenendo conto che Rickeit si è anche esibito talvolta con la musicista Katt Hernandez,1 si può affermare che il disegnatore americano, pur avendo scelto il cartoon come suo principale strumento d’espressione, sia nei fatti un artista multimediale.

D’altra parte le vicende di The Squirrel Machine sono difficilmente narrabili dal punto di vista di una logica consequenziale oppure “romanzesca”, mentre il flusso delle immagini che rivelano poco per volta le vicende dei due protagonisti, i fratelli Edmund e William Torpor, e di coloro che li circondano, appartengono di più al mondo del sogno o dell’improvvisazione musicale, quando questa abbandona la partitura per rivelarci mondi e sonorità, impressioni e sensazioni inaspettate. Talvolta deliziose e talvolta inquietanti.

Il titolo stesso può essere tradotto in italiano sia come La macchina scoiattolo, con un richiamo alle macchine che sfruttano i corpi morti degli animali presenti nelle vicende narrate, sia come La macchina (molto) eccentrica, più adatto il secondo a definire gli strumenti utilizzati ed inventati (forse soltanto sognati?) dai fratelli Torpor e la “macchina narrativa” costruita dall’autore.

Addentratevi in questo mondo con la mente aperta e senza nutrire aspettative. Datevi tempo per entrarci dentro, tenendo questo libro poggiato sul comodino. Leggetene una manciata di pagine prima di addormentarvi, come per un rito preparatorio. Vi è mai successo di sognare di cadere e durante la caduta rendervi conto di essere in un sogno, e ricordarvi di aver già sognato più volte quella caduta nella vostra vita, e al risveglio ricordarvi nel dormiveglia il sogno con chiarezza «sapendo» che il «ricordo» dei sogni precedenti non era che parte di un sogno che stavate facendo per la prima volta? Gli attori dell’opera di Hans sono in caduta continua, e nella caduta ogni cosa è uguale”. Così afferma E. Stephen Frederick in una sorta di introduzione al testo e non potrebbe riassumere meglio la sensazione che si prova leggendolo.

Una caduta del lettore e della sua immaginazione in un vortice di macchine sonore che sembrerebbero tratte direttamente dagli intona-rumori di Luigi Russolo, se non fossero invece realizzate con teste di maiali, carcasse di vacche e piccoli scoiattoli morti o meccanizzati. Un vortice in cui la caduta, seppur tragica nel finale, è pur sempre estremamente liberatoria. Una caduta in cui le storie di ragazzine vittoriane, destinate a perdere l’innocenza e la vita, si accompagnano alle vicende di una sorta di affascinante e maledetta Circe campagnola, a giovani amanti che si accoppiano tra improbabili ingranaggi oppure che fanno l’amore tra milioni di lumache, e a quelle della madre dei due fratelli, sospesa quest’ultima tra una perversa attività creativa, la malattia mentale e il puritanesimo di facciata più rigido allo stesso tempo.

Un mix di situazioni in cui il “delitto” artistico ci attende sempre appena dietro la porta, come nella migliore musica contemporanea e nell’improvvisazione che la caratterizza. Un viaggio in cui Rickeit, come un hobo americano degli anni Venti, salta da un treno in corsa ad un altro, da una carrozza all’altra, senza preoccuparsi che noi, gli inseguitori, si riesca davvero a stargli dietro e non si finisca invece stritolati dalle ruote dell’ingranaggio. Annullamento che, però, potrebbe rivelarsi piacevole poiché di incubi inquietanti si tratta, ma mai terrorizzanti.

L’arte è pericolosa. O dovrebbe esserlo. Il suo scopo non è quello di tranquillizzare.
E’ lo stesso Rickeit ad affermarlo in una recente intervista rilasciata in occasione del Napoli Comicon 2017,2 in cui ha rivelato anche altri aspetti del suo lavoro: “Ai miei occhi le macchine sono sia estensioni delle persone che replicanti. Per me le persone sono oggetti, oggetti con il dono della consapevolezza. Non so da dove venga la loro scintilla vitale ma sono tutti oggetti preziosi e c’è poca differenza. Il confine tra persone e cose è labile.”

In queste premesse sta probabilmente il segreto della complessità e, allo stesso tempo, dell’attrattiva esercitata da The Squirrel Machine sul lettore: una sorta di metafora della ricerca e della libertà di espressione artistica in cui, proprio come succede ai due fratelli protagonisti del fumetto, l’autore è semplicemente un tramite che non crea, ma che si limita a “fare” ciò che la realtà o i sogni di cui si alimenta gli suggeriscono. Fino alle più estreme conseguenze.
Dando così vita ad un vertiginoso viaggio nel perturbante e nel gotico americano, quell’autentico magma di desideri, paure e rimozioni che si agitano appena sotto la superficie di tanta letteratura (da Poe ad Hawthorne o all’attuale Ligotti), pittura e musica popolare statunitense.

A questo punto, per concludere il discorso, si rende però necessario tornare con la mente a Isidore Isou, fondatore del Lettrismo e precursore dell’Internazionale Situazionista, che negli anni ’50 immaginava una nuova architettura in grado di “far emergere i desideri dimenticati e la creazione di desideri totalmente nuovi” utilizzando “In luogo dei vecchi materiali poveri e limitati (legno, mattone, metallo) – altri totalmente – “nuovi: fiori, libri, legumi, comete, meteore, farfalle o elefanti, o parti di cadaveri o esseri viventi“.3 Assunto, allo stesso tempo artistico, politico e psichico, che Rickeit, con le sue immagini, sembra realizzare compiutamente, anche se forse inconsapevolmente.

Una perfetta lettura per le vacanze di chiunque abbia ancora tempo per il sogno, anche ad occhi aperti. Una sorta di livre de chevet da tenere sempre a portata di mano per far fronte alla calura e alla noia estiva. Da riprendere a leggere in qualsiasi punto e da qualsiasi pagina, procedendo in avanti oppure all’indietro come forse ogni buon libro dovrebbe permettere di fare al lettore. Magari in attesa che, in un prossimo futuro, le edizioni Eris vogliano offrirci la versione italiana di un’altra magnifica opera di Rickeit: Cochlea & Eustachia (di cui si propone un assaggio con la tavola riprodotta qui a fianco).


  1. Nata nel 1974 ad Ann Arbor nel Michigan, la violinista si è dedicata fin dagli esordi alla musica microtonale e all’improvvisazione e vive oggi a Stoccolma pur mantenendo forti legami con gli ambienti artistici di Boston e Filadelfia  

  2. http://www.panorama.it/cultura/fumetti/hans-rickheit-the-squirrel-machine-intervista/  

  3. Mirella Bandini, L’estetico e il politico, Officina Edizioni, Roma 1977, pag.47