di Nino Buenaventura

DSC_0187[A seguire post poetico di fine anno tra Messico e Italia]

Piuttosto, io

Voi, siete porci

inequivocabilmente seri!

Grufolate ai piedi

della quercia sociale,

masticando i deboli

grugnendo di cravatte.

 

Piuttosto, io

capigliatura da matto,

pazzoide a piedi scalzi

solco l’asfalto

tra le cuspidi arricciate

dell’esistenza

rimanendo assolto

nelle forme voluttuose

della bellezza,

della libertà.

 

Afferro vorace il seno

di colei che,

come mela silvestre,

mitiga la fame;

 

In lontananza

la folla si increspa.

Ci attende


In principio erano canti

In principio erano canti,

poi arrivarono i tuoni.

I fragorosi lampi delle vostre industrie!

Lembi di terra e carne

lacrime in polvere

si innalzarono a epitaffio,

inciso sul gelido sorriso.

In principio era il canto di una giovane donna,

il suo esistere sommesso.

Fu un attimo e si chiuse nel silenzioso timore

di chi la dignità

la nasconde gelosa

ai grandi signori, agli alti funzionari…

ai loro diritti.

Avete stuprato valli,

sventrato mari,

crivellato i nostri cuori d’argilla.

Ne avete profittato

tassi alti dal nostro misero ruspare.

Servirebbero parole ancor più forti,

per descrivere.

Versi e versi per enumerare.

Io proprio non li ho!

Tu che straparli

delle stagioni di una volta,

puoi sentire ora la pioggia

che cade in Medio Oriente?

Bologna, Ottobre 2015

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Ripulisco lo zaino dalla polvere del Messico

sciacquo il mio viso dalla dignità ribelle

Cerco uno spazio alle mie mani,

un angolo che non sia straniero nel mio stesso cuore.

Riprendo i costumi

Odio gli usi

Singhiozzo i luoghi comuni

Mi lancio nella banalità di una sera,

nella difficoltà di infilarsi le solite stesse scarpe.

Infine

mi prostro alla mancanza

della strada

del coraggio.

Di un continente che quieto e dignitoso

si posa sull’arroganza delle carte geografiche.

 

Firenze, 22/8/2015


Tornerai, Rivoluzione

La tua immagine si compose

macchiando lentamente l’orizzonte,

avevi terra negli stivali

e c’erano i calli sulle tue mani,

avevi i capelli lunghi e neri,

un tatuaggio in náhuatl sulla spalla.

Mi chiedesti:

“Che fai qui,

tra le pietre di questo deserto?”

“Aspettavo il passaggio dell’aquila

aspettavo che scorresse l’acqua

aspettavo lo sguardo del serpente.”

ti risposi.

Mi guardasti con il viso saggio

le tue braccia come morte

apristi le labbra,

uniche bacche rosse in un mar color castagna,

e dicesti:

“I campi sono recintati,

i serpenti come carogne

crocifissi sul filo spinato.

Le aquile volano

lontano dallo sguardo della gente

e il fiume è deviato a raffreddare acciaio.”

“Alzati!

Molto tempo ho dovuto nascondermi

molto tempo mi hai aspettata.”

Appoggiasti la tua mano sopra il mio petto:

“L’ombra dell’aquila è dipinta

sulla mia pelle scurita dal sole,

il mio corpo non ha padroni

e dal mio cuore ancora fluisce un fiume”

Mi alzai e ti seguii,

più o meno come fa

la polvere nel vento.

Messico, dicembre 2014

revolution

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