di Alessandra Daniele

La prima stagione di Better Call Saul è un capolavoro. Per certi versi persino superiore alla prima di Breaking Bad.
Può sembrare una black comedy all’inizio, in realtà è uno stupendo noir, malinconico e spietato.
Bob Odenkirk è assolutamente straordinario anche come attore drammatico. Il suo Bingo monologue del season finale è un indimenticabile instant classic. Anche Jonathan Banks giganteggia, e ha un intero magistrale episodio dedicato alla tragica backstory di Mike.
Vince Gilligan e Peter Gould hanno saputo scegliere attori non soltanto di eccezionale talento, manche capaci di diventare di fatto co-autori dei personaggi che interpretano.
Better Call Saul è una serie praticamente perfetta da ogni punto di vista, compreso quello tecnico e visuale, elegantissimo, e ispirato ai classici anni ’40.

[Seguono spoiler da evitare accuratamente se non s’è vista tutta la stagione, cosa che dovreste fare subito. Sono soltanto dieci episodi, uno migliore dell’altro]

Jimmy McGill/Saul Goodman non è mai stato un comedy relief, la sua preziosa consulenza è fondamentale per l’ascesa di Walter White, e il suo geniale, implacabile sarcasmo ha sempre suggerito una complessità di carattere astutamente dissimulata.
In Better Call Saul, prequel-spinoff di Breaking Bad, Vince Gilligan e Peter Gould lo svelano come uno dei personaggi più drammatici dell’intero universo narrativo.
2002: Jimmy McGill ha uno straordinario talento affabulatorio in grado all’occorrenza anche di salvargli la vita, però, dopo un passato di piccole truffe col nick di Slippin’ Jimmy, ha deciso di metterlo al servizio della legge, nonostante l’ambiente legale ”rispettabile” continui a sbattergli la porta in faccia, e i suoi stessi clienti, Mike compreso, lo trattino da criminale.
Jimmy però persevera, interessato soprattutto all’approvazione del fratello maggiore Chuck, che considera un esempio di rettitudine.
La sua stima però è tragicamente mal riposta.
Il terribile tradimento subito da parte di Chuck dimostra crudelmente a Jimmy ciò che Mike sa già molto bene: il confine tra legale e illegale (sottolineati da toni opposti di blu e rosso) non coincide affatto con quello tra giusto e sbagliato.
Il rigido legalitario Chuck è in realtà l’autentico main villain, e le sue motivazioni sono persino peggiori dell’arroganza classista del collega e socio avvocato Hamlin: Chuck è intensamente invidioso del talento del fratello come Salieri di Mozart in Amadeus.
Mentre è il duro killer Mike quello dal codice etico più solido.
Il catalizzatore che innesca la trasformazione di Jimmy in Saul è però la morte di Marco, suo vecchio complice e amico.
Nel suo piccolo, Marco muore come Walter White: facendo ciò che lo fa sentire vivo.
Così anche Jimmy alla fine sceglierà ciò che lo fa sentire vivo. Sceglierà di  regnare all’inferno, di diventare se stesso: non un semplice avvocato, ma neanche un semplice criminale, né Jimmy McGill, né Slippin’ Jimmy, ma la fusione alchemica e l’evoluzione dei due in qualcosa di nuovo che è più della somma delle sue parti: Saul Goodman. Criminal lawyer.
Rosso più blu: Deep Purple. Smoke on the water, fire in the sky.
Una scelta consapevole sulla quale, al contrario di Walter White, Saul non mentirà mai a se stesso.

[Chi fosse interessato ad una mia nota sul rapporto fra Mike e Saul in Breaking Bad la trova qui. Seguendo la tag si trovano altri miei post sull’ultima stagione di Breaking Bad mai apparsi su Carmilla]