di Raffaele K. Salinari

PoliticaMonAmour

[Pubblichiamo l’introduzione di Raffaele Salinari a Lina Picci Solani, Politica mon amour. Passione semiseria di una donna del Novecento, Edizioni Punto Rosso, 2013, pp. 188, € 9,00.]

Per certe vite la politica è un vento impetuoso, irresistibile, che ti solleva e ti porta dove vuole, anche dove non vorresti o in luoghi che nemmeno conoscevi ma che, in virtù del suo misterioso potere, subito ti appartengono, diventano parte di te, della tua esperienza. Per altri è un «corredo genetico», come dice una sapida frase del libro, a cui non si può sfuggire, che viene in modo altrettanto arcano, carsico, tramandato attraverso le generazioni. Per altre ancora, come quella dell’autrice, è entrambe le cose.

Questa biografia per immagini, luoghi e avvenimenti, si alimenta allora della luce ardente che molti di noi hanno voluto prendere in mano per esplorare il labirinto della vita, e con la quale si sono a volte bruciati irrimediabilmente, come falene, o irrimediabilmente ne sono stati illuminati, per sempre. A partire dall’infanzia tratteggiata con le tinte tumultuose degli anni Sessanta, che coloravano di bianco e di rosso (e di nero) le grandi speranze della democrazia e della ricostruzione, del boom economico e delle lotte sociali, si arriva alle sfumature psichedeliche degli anni Settanta e Ottanta, alle grandi manifestazioni studentesche e operaie, sino alle estreme propaggini dell’oggi: una luce tagliente, cinica, come sembra essere la modernità disincantata e volgare, forse disperante, del tempo presente.

La donna che scrive queste memorie io l’ho incontrata in quella parentesi africana di cui a un certo punto si parla: lo Zaire del dittatore Mobutu, nel quale entrambi cercavamo il nostro riscatto per sdebitarci, ingenuamente ma sinceramente, dei debiti che anche noi avevamo contratto con quel continente. Leggendo mi sono ricordato che avevo sentito per la prima volta parlare di Africa durante la rivoluzione congolese: quando a tavola tra mio padre e mio nonno si discuteva con aria seria di Lumumba, di Ciombè, dei Russi, dell’Onu e degli Americani. Congo, le vibrazioni conturbanti che emanava quel bisillabo furono per me l’Africa, la quintessenza di un continente che un giorno avrei visto; lo decisi allora mangiando gli spaghetti, anzi le «mezze zite» di mia nonna Teresa.

L’empatia immediata che suscita il libro di Lina (così si presenta e noi rispettiamo il suo pseudonimo) deriva proprio da questa possibilità di immedesimarsi, non tanto e non solo nei singoli episodi storici, quanto nella visione, nello sguardo col quale narra, attraverso di lei, noi tutti, da allora ad ora. Leggendo il libro ci si chiede: quante volte l’ho incontrata senza saperlo? Quante volte le nostre strade si sono incrociate, magari ci siamo anche conosciuti e poi dimenticati in quegli anni turbinosi della giovinezza, del ’68 e del ’77, della musica rock e delle stragi, delle Brigate Rosse e di Kossiga Boia! Ma forse anche nei girotondi, o semplicemente durante la fila per le primarie del centro sinistra (con trattino, senza?…).

Ma, affinché alla Storia non manchi nulla, mentre Lina ci accompagna verso il progressivo avanzamento dell’Ombra che oggi sembra appannare quasi tutto, quasi però, ecco che, dalle fenditure aperte nel vecchio palazzo in rovina della Rivoluzione, la bellezza degli ideali di sempre balena in miraggi inediti, riflessi negli occhi dei figli così amorevolmente curati e amati. Perché, se questo libro ha uno scopo, e lo ha, è quello della memoria come strumento potente, essenziale, per ricostruire il presente attraverso il passato; e allora non leggerete (anche) un ironico e divertente rosario di ciò che avrebbe potuto essere e che mai più sarà, anzi: l’esperienza del passato si riverserà sul presente per aprire ancora e ancora le porte della speranza, dell’azione concreta, delle nuove sfide, ma a patto che si sogni come allora, come quando la TV era pubblica e in bianco e nero e il mondo a colori, vaso incantato dei valori che stanno dentro a tutto ciò che succede, incancellabili, solo che continuiamo a riconoscerli.