di José Ángel Leyva

Poesia ed educazione[Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale messicano La Jornada Semanal del quotidiano nazionale La Jornada del 15 dicembre 2013. Traduzione all’italiano di Fabrizio Lorusso]

La poesia insiste sempre e comunque sulla sventurata condizione umana, sul suo senso erroneo e la sua esistenza effimera. L’educazione si consolida come un sistema operativo, utilitario, pragmatico, formatore del “successo” e del consumo. Come dice Shakespeare nel suo Hamlet: “Qualcosa puzza di marcio in Danimarca”. “Perché ci piaccia la poesia bisogna cambiare il sistema educativo”, predicava il titolo del quotidiano La Jornada del primo agosto 2013. Parole del ricercatore universitario de El Colegio de México Anthony Stanton. La frase pesa di più in un paese in cui la filosofia è stata espulsa dal sistema educativo a livello secondario e i filosofi si sono mobilitati per recuperare il loro posto; almeno così sostiene il filosofo Gabriel Vargas. Un paradosso se si rievoca l’esclusione dei poeti dalla Repubblica ideale di Platone. André Gide espone la tematica nel suo romanzo Los inmoralistas (Gli immoralisti): “Lei sa perché non si legge più poesia né filosofia?”, chiede un personaggio a un altro.

Dinnanzi all’ignoranza della risposta, continua: “Perché la filosofia ha abbandonato la poesia come risorsa estetica e sensibile del suo linguaggio e la poesia, a sua volta, ha scartato la riflessione e l’esperienza come parte del suo discorso; però allo stesso tempo entrambe hanno lasciato in disparte la vita, la vita concepita a un certo punto nell’antichità come un’opera d’arte, con un tutto integrale”. In Messico possiamo costatare che non si educa per formare cittadini coscienti dell’esistenza e dei bisogni degli altri, dell’altro, ma secondo l’idea dell’educazione per trionfare, per possedere e per imporsi sugli altri. Com’è possibile parlare di democrazia in un paese con una popolazione in gran parte caratterizzata da analfabetismo e agrafia? Si tratta quindi di una democrazia analfabeta?

L’educazione nelle e per le competenze, come risposta all’era dell’informazione, sembra rispondere più al senso del mercato e della produzione, più all’efficienza del lavoro, che a quello che segnala Noam Chomsky come capacità linguistica per interpretare e attivare la realtà del soggetto, le sue possibilità comunicative, le sue capacità e competenze. L’aspetto culturale, pertanto, resta minimizzato di fronte all’importanza dell’individuo come parte di un sistema produttivo e di consumo. Così la lettura come esercizio critico, come strumento di trasformazione, di arbitrio, è ignorata.

La letteratura non solo non conserva il suo posto come motore linguistico dell’insegnamento, ma nemmeno lo fa come base dell’umanesimo e di una società immaginativa e critica. Ai livelli più bassi rimane la filosofia, ma più in basso ancora la poesia, essendo considerata come non pratica, difficile da comprendere e inutile per la vita lavorativa e professionale, per quel che è tecnico e quotidiano. Nel suo Método fácil y rápido para ser poeta (Metodo facile e rapido per diventare poeta) Jaime Jaramillo Escobar si scaglia contro i vati che sono soliti evidenziare il carattere improduttivo e l’inutilità della poesia. Magro favore facciamo alla poesia se sbandieriamo un pensiero di questo tipo, se non chiariamo che lo è rispetto al mercato, che è immensamente utile e necessaria per sviluppare le capacità umane, per imparare e appropriarsi della storia emozionale, per riconoscerci nel linguaggio, per costruirci un linguaggio.

Le nostre comunità indigene hanno da poco cominciato a rivendicare le loro lingue originarie, a esercitarle nella scrittura e a dare segnali della loro forza nella poesia. Non come espressioni esotiche dentro un mondo in cui si parla e si comunica e in spagnolo, in cui domina lo spagnolo, ma come autentiche opere che propongono poetiche diverse e affascinanti. In America Latina domina lo spagnolo perché così risulta dalla prospettiva del mercato editoriale. Le grandi imprese iberiche mantengono il loro dominio quasi assoluto sulle nostre nazioni americane, ma chiudono le loro porte alle case editrici latino americane e, di conseguenza, ai traduttori di questi paesi. Per il settore editoriale iberico solo è valido il modo di parlare del suo paese. Con un mercato così grande, la poesia potrebbe lasciare non pochi benefici ai poeti e migliorare la capacità di lettura dei nostri cittadini in America Latina.

L’educazione si concepisce ancora dentro a quella logica delle due culture che Charles Percy Snow descrisse ormai tanto tempo fa: la cultura umanistica e la cultura della scienza e della tecnologia. Un divorzio che privilegia l’utilizzo della conoscenza come dispositivo di dominio e alienazione, ma non come strumento di saggezza, immaginazione, ricerca e formulazione di domande. Alcuni anni fa in una conversazione con l’allora rettore della Universidad Intercontinental, el teologo Sergio César Espinosa, sostenevo che il proposito di ogni università dovrebbe essere quello di formare buoni cittadini prima che professionisti di successo.

Insistevo sul fatto che la maggioranza delle istituzioni educative, private o pubbliche, alzavano il successo professionale come una bandiera. Però, si chiedeva il rettore, perché formare ragazzi che sono capaci solo dal punto di vista tecnico, abili ad accumulare ricchezza, se poi mancano di etica e di principi civili? Perché una ricchezza, poche volte ottenuta onestamente, se per godersela bisogna vivere blindati, con la scorta, perseguitati dalla paura?

La poesia, come la filosofia, danno alle nostre comunità la capacità di riflettere, di chiedere, di vedere quello che non vedono, di scoprire altre dimensioni del tempo, di riconoscersi negli altri, di comprendere la libertà e il valore della parola. È improbabile che i sistemi educativi cambino per accogliere la poesia e la filosofia come cammini di lettura, come potenze intellettuali ed estetiche. Quel lavoro, per fortuna, lo svolgono i poeti stessi, facendosi ascoltare nei festival, alle fiere del libro, negli spettacoli e nelle presentazioni. C’è poesia alle porte delle scuole, delle università e delle case, per le strade, senza che si debba spiegare la sua presenza, la sua utilità pratica, semplicemente c’è, con la domanda sempre pronta, perché poeti?

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