1112611513_2.jpgdi Leonardo Boff
[L’eminente esponente della teologia della liberazione ha pubblicato questo articolo su El Mundo. La traduzione è nostra]

Il pontificato di Giovanni Paolo II è risultato esteso e complesso. Gli diamo il giusto merito solamente se lo consideriamo all’interno di un vasto insieme di temi che da molto tempo impegnano la Chiesa.
Qual è la caratteristica fondamentale di questo Papato? La restaurazione e il ritorno alla rigida disciplina. Giovanni Paolo II non si è caratterizzato né in direzione della riforma né in quella della controriforma. Ha rappresentato il tentativo di arginare un processo di modernizzazione che ha fatto irruzione nella Chiesa all’altezza degli anni Sessanta, e che stava interessando tutto il cristianesimo. In questo modo è venuta realizzandosi una resa dei conti che la Chiesa sta affrontando in relazione a due gravi questioni, dalle quali è martirizzata da più di quattro secoli.

Il primo problema è legato alla nascita e allo sviluppo delle altre chiese come conseguenza della Riforma Protestante avvenuta nel XVI secolo, la quale ha fratturato l’unità dell’Episcope cattolico-romana, obbligandola a tollerare le nuove chiese, che ha interpretato come scismatiche ed eretiche.
La seconda questione deriva dalla modernità illuminista, con l’imporsi del primato della ragione, della tecnoscienza, delle libertà civili e della democrazia. Questa nuova cultura ha messo sotto scacco la rivelazione di cui la Chiesa si sente esclusiva custode e ha messo in discussione la forma istituzionale con cui la Chiesa stessa si è andata organizzando: cioè come una monarchia assolutista spirituale in contraddizione con la democrazia e il valore dei diritti umani.
In rapporto alle chiese evangeliche, la strategia del Vaticano puntava alla riconversione, al fine di restaurare l’antica unità ecclesiale sotto l’autorità del papa.
In rapporto alla società moderna, venivano avanzate critica e condanna del progetto emancipativo e secolarizzatore, mirando a ricreare l’unità culturale sotto l’egida dei valori morali cristiani.
Entrambe le strategie si sono dimostrate fallimentari. Le altre chiese sono cresciute e si sono affermate in tutti i continenti. La società moderna, con il suo portato di libertà, di scienza e di tecnica si è convertita in paradigma per il mondo intero. La Chiesa cattolica si è vista trasformare in un bastione di conservatorismo religioso e di autoritarismo politico.
E’ stata opera di coraggiosa e ispirata lungimiranza di un Papa, Giovanni XXIII, la convocazione di un Concilio Ecumenico che affrontasse entrambe quelle questioni non risolte.
E in effetti il Concilio Vaticano II (1962-65) assunse come motto di base: non più anatema ma comprensione, non più condanna ma dialogo. Rispetto alle altre chiese venne inaugurato il dialogo interconfessionale, che presuppone l’accettazione dell’esistenza delle altre realtà ecclesiali. Rispetto al mondo moderno si impose una riconciliazione negli àmbiti del lavoro, della scienza, della tecnica, delle libertà e della tolleranza religiosa.
Veniva però fallita una terza resa dei conti: quella con i poveri, che sono la maggior parte dell’umanità. Fu merito della componente latinoamericana della Chiesa ricordare che non esiste soltanto un mondo moderno sviluppato, ma anche un mondo sottosviluppato, che pone una scomodissima domanda: come predicare il Dio Padre in un mondo afflitto dalla miseria? Possiamo portare la parola del Dio in quanto Padre soltanto se siamo in grado di strappare i poveri alla miseria, convertendo questa realtà, dal male che è, in bene. Questo chiesero precisamente i settori più dinamici in America Latina, animati da profeti come Helder Camara. Lo slogan era: per i poveri, contro la povertà.
Si trattò di una svolta che spinse molti cristiani a fare il loro ingresso in movimenti sociali di liberazione e addirittura in frazioni armate, mentre numerosi vescovi e cardinali assunsero un atteggiamento di distacco nella lotta alle dittature militari e per la difesa dei diritti umani, intesi principalmente come diritti delle masse diseredate.
Giovanni Paolo II fu eletto Papa quando questo processo sociale era in corso. Il suo Pontificato fin dagli esordi si pose in antagonismo rispetto a queste tendenze che erano dominanti. Furono senza dubbio determinanti, in relazione a questa posizione che assunse, la sua origine polacca e le élite della Curia romana, messe ai margini ma non estinte dal Concilio Vaticano II. A Roma il nuovo Papa strinse accordi con la burocrazia vaticana, conservatrice per sua natura, che era del suo medesimo avviso. Si stabilì un granitico blocco storico costituito dal Papa e dalla Curia, che aveva il fine di imporre la restaurazione dell’antica identità ecclesiale e della vecchia disciplina.
Le caratteristiche personali di Giovanni Paolo II contribuirono a realizzare nella maniera migliore un simile progetto, grazie alla sua figura carismatica, alla sua innegabile capacità di irradiazione, alla sua abilità nel drammatizzare mediaticamente.
Con l’intento di realizzare il suo disegno di restaurazione egli si dotò degli strumenti adeguati.
Riscrisse il diritto canonico in modo da reinquadrare la totalità della vita ecclesiale, giunse a pubblicare il Catechismo Universale della Chiesa Cattolica e con esso ufficializzò il pensiero unico all’interno della Chiesa. Sottrasse potere decisionale al Sinodo dei Vescovi, sottomettendolo in toto al potere papale, così come limitò il potere delle conferenze vescovili continentali, di quelle nazionali, delle conferenze religiose a livello nazionale e internazionale, marginalizzò il potere di partecipazione decisionale dei delegati e negò piena cittadinanza ecclesiale alle donne, relegate in funzioni secondarie, sempre distanti dall’altare e dal pulpito.
In accordo con il suo principale ministro, il cardinale Joseph Ratzinger, il Papa professava una visione agostiniana della storia, per cui ciò che importa effettivamente è soltanto ciò che passa attraverso la mediazione della Chiesa, portatrice di salvezza sovrannaturale. In accordo con questa visione, ciò che passa per la mediazione degli uomini e della storia non raggiunge la divina profondità e risulta insufficiente agli occhi di Dio.
Un atteggiamento simile indusse Giovanni Paolo II a una fondamentale incomprensione della teologia latinoamericana della liberazione. Questa afferma che la liberazione è opera dei poveri tutti. La Chiesa è soltanto un’alleata che rafforza e legittima la lotta per la liberazione dei poveri. Per il cardinal Ratzinger questa liberazione è unicamente umana e carente di rilevanza soprannaturale.
E’ storicamente indiscutibile affermare che il Papa ebbe una visione in alto grado approssimativa di questo tipo di teologia, che egli interpretò attraverso la logica dei detrattori di quella e – oggi ne siamo venuti a conoscenza – a partire dalle informazioni che la CIA forniva, in particolare sull’influenza dei teologi della liberazione in Centroamerica. Egli interpretò questa teologia come il cavallo di Troia del marxismo che egli denunciava, in ragione dell’esperienza acquisita circa il comunismo nella sua patria d’origine, la Polonia. Si convinse che in America Latina il pericolo era il marxismo, quando il verace e infausto pericolo è sempre stato il capitalismo selvaggio e colonialista, con le sue élite antipopolari e reazionarie.
In Giovanni Paolo II prevalse la missione religiosa della Chiesa, non la sua missione sociale. Se egli avesse detto “appoggeremo i poveri e contamineremo la Chiesa con le riforme nel nome del Vangelo e della tradizione dei Profeti”, ben altro sarebbe stato il destino politico dell’America Latina.
Invece organizzò la restaurazione conservatrice in tutto il continente: rimosse i vescovi della liberazione e designò vescovi lontani dalla vita del popolo, chiuse le istituzioni teologiche e sanzionò i loro docenti.
C’è un’enorme contraddizione tra gli atti del Papa e i suoi insegnamenti. Fuori si presentava come paladino del dialogo, delle libertà, della tolleranza, della pace e dell’ecumenismo, e domandò perdono in varie occasioni per gli errori e le condanne ecclesiastiche del passato, e incontrò i leader spirituali delle altre confessioni per pregare, tutti uniti, per la pace mondiale. Invece, dentro la Chiesa, mutilò il diritto di espressione, proibì il dialogo e diede vita a una teologia dai forti toni fondamentalisti.
Il progetto politico-ecclesiastico a cui il Papa lavorò non ha condotto ad alcuna risoluzione in merito alle questioni dei rapporti con la Riforma, la modernità e la povertà. Piuttosto, ha aggravato quei problemi, ritardando la resa dei conti.
I limiti dello stile che ha adottato nel governare la Chiesa non hanno impedito che Giovanni Paolo II raggiungesse in grado eminente la santità personale. E’ stato santo, nel quadro di una religione “all’antica”, che vive di grande devozione per i santi e specialmente per la Madonna, per le reliquie e i luoghi di pellegrinaggio. E’ stato un uomo di preghiera, profondamente. Nella preghiera egli si trasfigurava e impallidiva, altre volte gemeva e arrivava alle lacrime. Una volta lo sorpresero nella sua cappella personale, disteso al suolo in forma di croce, come in estasi, simile agli illuminati spagnoli del XVI secolo.
A chi l’ultima parola? Alla storia e a Dio. Noi possiamo soltanto accedere alla storia, che ci dirà quale fu realmente il significato di questo papato per il cristianesimo e per il mondo, in questa fase di mutamento di paradigmi al passaggio del millennio.