di Carlo Formenti (dal Corriere della sera del 25 maggio 2004)

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Ha ottenuto l’esclusiva delle opere di Philip K. Dick – un tempo autore di culto per gli appassionati di fantascienza, oggi rivalutato come uno dei grandi scrittori della seconda metà del ‘900 -; ha pubblicato gli ultimi romanzi – uno in anteprima mondiale – d’un maestro del cyberpunk come Bruce Sterling; ha esplorato – con la collana AvantPop – il confine fra letterature di genere e avanguardie letterarie: naturalmente parliamo di Fanucci che, nel giro di pochi anni, si è guadagnato l’immagine di unico editore italiano capace di prosperare sul mercato – in crisi d’identità e idee – della science fiction. Un successo ottenuto attraverso scelte editoriali che, spesso, costeggiano o si allontanano dai «canoni» di genere, in cerca di idee forti, capaci di gettare luce sulle trasformazioni epocali in corso più che di solleticare il gusto del meraviglioso.

In apparente controtendenza con tali scelte, tuttavia, Fanucci sembra ora riscoprire proprio quel gusto, almeno a giudicare dalla nuova collana «Classica», che lancia tre titoli: il Frankenstein di Mary Shelley (nella edizione del 1817, con postfazione di Oriana Palusci); Carmilla (1871), dell’irlandese Sheridan Le Fanu (presentato da Valerio Evangelisti) e I tre impostori (1895) di Arthur Machen (con una introduzione di David Trotter). Insomma: un viaggio nel «gotico» ottocentesco che offre a critici e appassionati l’opportunità di andare alle radici della moderna letteratura fantastica, quando le strade di fantascienza, horror, thriller e poliziesco non si erano ancora definite e separate.
Con il Frankenstein siamo ancora ben lontani dalla verosimiglianza e dall’efficacia romanzesca di autori come Jules Verne e Herbert G. Wells – considerati i «veri» antenati della fantascienza -, ma non c’è dubbio che il gran passo è stato fatto: l’orrido, il distante, l’ultraterreno che si respirano nelle pagine della Shelley, non sono più lo specchio di una natura visitata dallo sguardo romantico, bensì l’effetto di una hybris scientifica e tecnologica che ha già preso il posto del sovrannaturale.
L’interesse di Carmilla , classicissima storia di vampiri che consolida i canoni di un genere che verranno ricalcati quasi puntualmente dal più noto Dracula di Bram Stoker, consiste soprattutto nella «scandalosità» della storia (tanto più pruriginosa ove si consideri, come sottolinea Evangelisti nell’introduzione, la cultura vittoriana dell’autore), centrata sul carattere esplicitamente omosessuale del rapporto fra la protagonista femminile e l’affascinante vampira.
Ma è soprattutto nel romanzo di Machen – imitatore confesso di Stevenson, apprezzato dal contemporaneo Arthur Conan Doyle, annoverato fra i propri maestri da un genio dell’orrore come Philip H. Lovecraft e pluricitato da Borges – che ci avviciniamo a grandi passi alla modernità. Non solo e non tanto per il finale splatter (con scene ben più dure degli eufemistici «orrori» di Frankenstein e Carmilla), ma anche e soprattutto per l’idea della banalità-normalità di un male che si annida nelle pieghe del quotidiano.
Nell’introduzione di David Trotter si aggiunge giustamente come le radici del male, per Machen, affondino nella perdita di confini – provocata dall’esperienza moderna dell’anonimo spazio metropolitano – fra le rassicuranti categorie della cultura tradizionale: classi sociali, sostanze, razze, linguaggi, ecc. si mescolano, si ibridano, si «contaminano» generando un disgusto sempre sul punto di degenerare in orrore. Ma, in un certo senso, è proprio questo il tratto che accomuna questi tre testi piuttosto distanti fra loro negli anni, nel gusto letterario e nell’ideologia (si è più volte sottolineata la critica sociale implicita nel Frankenstein, da alcuni indicato come una metafora del nascente proletariato industriale, mentre l’aristocratica vampira di Le Fanu condivide il privilegio sociale della vittima e Machen appare refrattario a ogni lettura «politica»). Si potrebbe dire che assistiamo a tre atti di una specie di «insurrezione dei corpi», di una rivolta della materia vivente che ancorché «inanimata» (i pezzi di cadavere di cui è fatto Frankenstein, la condizione di «non viva-non morta» di Carmilla, il corpo mutilato della vittima dei Tre impostori), ci inquieta per la sua capacità di ospitare sentimenti, passioni, desideri.
Ma allora, forse, il «tradimento» di Fanucci è solo apparente, perlomeno nel senso che in questa aurora del fantastico moderno – al di qua di ogni distinzione fra generi – troviamo già il tema modernissimo della «nuda vita» tipico di una «postfantascienza» contemporanea alle prese con ibridazioni genetiche, cyborg e quant’altro.