Da tempo ci siamo abituati alle mosse furbettine dell’editoria e/o dello showbiz, che disseppelliscono dall’oblio (il loro oblio, beninteso) autentiche chicche, riconfezionandole per le sterminate masse dei consumatori a cui vogliono vendere spettacolo. Ci siamo abituati senza neanche protestare tanto perché, se ci si trova davanti a un libro che ha il faccione bolso di George Clooney in copertina e un capolavoro sotto la copertina, beh, il gioco vale la candela. Così, mercé le piroette hollywoodiane a cui Steven Soderbergh ha sottoposto il testo, abbiamo nuovamente il piacere di vedere ben esposto in libreria uno dei classici della fantascienza di tutti i tempi, autentico masterwork non soltanto della letteratura di genere ma della letteratura tutta, come ben intese il primo adattatore cinematografico, Adrej Tarkovskij: è finalmente di nuovo tra noi Solaris, uno degli apici letterari del Novecento, parto del genio di Stanislaw Lem.
Non sono un esperto di fantascienza e non dispongo dei mezzi critici per effettuare valutazioni azzardate rispetto al genere. Certo è che, in qualità di semplice lettore, ciò che mi sento di dire a proposito di Solaris è che qui siamo di fronte a un portale da cattedrale gotica della coscienza umana. Arditissimo sogno che parla di sogni (individuali, collettivi, finanche extraumani), Solaris si spalanca a coloro che vogliono oltrepassare la soglia pericolosa che sembra dividere la psiche dalla coscienza, per entrare in un regno indescrivibile persino dai più sontuosi raggiri di cui è capace un linguaggio, letteratura in primis. E’ questo tentativo di atterraggio su un pianeta inesplicabilmente al di fuori dei nostri parametri cognitivi e linguistici che ha tentato Stanislaw Lem (il vecchietto nella foto): atterraggio pienamente riuscito. E qui ci si ferma: poiché la scoperta non tanto dei climi, quanto della materia stessa di cui è fatto questo pianeta di sogno diviene una questione metafisica.
La questione metafisica è, a priori, una materia di sogni: abbisogna di un culto preliminare, di un feticismo dell’ambiguità e dell’errore. Altrimenti si crede che pensare o cantare le storie della metafisica predisponga all’abito talare o faccia inclinare verso la pedofilia pretesca. Non è così, ovviamente, e tutta la storia della fantascienza è lì a dimostrarlo. La fantascienza, come del resto certo thriller, è l’erede diretta della tradizione che, dalle Scritture Sacre in giù, ha tentato di raccontare all’uomo la totalità dell’uomo. Soltanto la letteratura può riuscire in un’operazione simile, che le leggi fisico-matematiche non consentono, per esempio, alle scienze (che si tratti del teorema di Godel per la logica o della termodinamica per la fisica o dell’entropia per la cosmologia, il risultato è lo stesso). Poiché l’Inqualificato, l’Inespressibile, l’Invalicabile (che non sono esattamente la stessa cosa rispetto a un triangolone occhiuto) violano ogni legge, è la letteratura che si autopredispone al racconto-al-di-là-delle-leggi. E’ poi uno strano destino, umano troppo umano, che la letteratura, nel caso delle Sacre Scritture, pensi di dettare leggi.
Tutto questo noioso preambolo mira a raccontare la non-trama del romanzo di Lem. Solaris è il titolo del capolavoro e il nome del protagonista principale del libro. Si tratta di un pianeta extrasolare, che supera la massa terrestre di un buon 20% e che l’uomo del futuro (un futuro distantissimo da noi, si intuisce) ha isolato nel cosmo per studiarlo, poiché esso viola la legge. Quale legge? Quella gravitazionale. Solaris è dunque, a partire dalle prime pagine, un fuorilegge: un fuorilegge cosmico. Esso si sottrae al governo gravitazionale dei due soli che lo illuminano (uno rosso; l’altro azzurrino), riuscendo a modificare gli equilibri. Come ci riesce? Ci riesce perché è vivo. Ricoperto di un plasma colloidale che aumenta o diminuisce la propria densità, la capacità di riflettere la luce, i propri movimenti di subsidenza e di marea, Solaris dimostra inequivocabilmente una vita monadica: è un pianeta leibnitziano, una sorta di essere ciclopico che appare chiuso rispetto a ciò che gli è esterno, e che si esprime con figurazioni magmatiche che esprimono un aldilà della matematica (nemmeno le equazioni più complesse riescono a spiegare le sue evoluzioni), risultando al tempo stesso un minerale vegetale animale intelligente, ma di un’intelligenza incomprensibile, forse autosuperatasi in pura coscienza. Quando Chris Kelvin, solitario messo inviato dalla nave Prometheus, approda alla base stanziale che gli uomini hanno costruito su Solaris, scopre che l’intera stazione è catturata da una sorta di colonizzazione psichica a cui il pianeta ha sottoposto gli umani che tentano di studiarlo: Solaris interpreta le tracce mnestiche inconsce degli uomini, realizzando i fantasmi, i desideri e le angosce in carne e ossa.
Solaris è una delle massime allegorie possibili che il genere fantascientifico e la letteratura tutta possono realizzare. Si tratta, come è ovvio, di un’allegoria aperta, che sfugge alla chiusura dei significati e racconta, per come si può raccontarlo, l’oggetto stesso della metafisica: la coscienza che supera i nomi e le forme, e che intride la vita psichica e quella materiale di qualunque essere appaia nel nostro universo. L’enciclopedica storia dell’interrogazione che l’uomo ha formulato intorno a Solaris, con le sue miriadi di risposte che mimano l’intera tradizione filosofico-scientifica, appare in muta dialettica con le forme allucinanti ed estatiche che si coagulano e si sciolgono sulla superficie e nelle viscere del pianeta vivente (la descrizione dei mimoidi e dei longhi, formazioni geologico-fluide di Solaris, è probabilmente la resurrezione più accecante, in pieno Novecento, della tradizione della letteratura romantica tedesca).
Romanzo interpretabile a più livelli, il cui principale è certamente il piano alchemico che servirebbe a comprendere le ultrasignificazioni dei cangianti colori irradiati dal pianeta, Solaris non è affatto la storia delle emozioni provate da anime brutte o belle che siano, come aveva compreso bene Tarkovskij (nella foto): questa è una Upanishad fatta romanzo, l’allegoria del silenzio e della presenza semplice che sperimentiamo durante il sonno senza sogni.
Stanislaw Lem – Solaris – Mondadori – 14,60 euro