sterling.jpgdi Bruce Sterling
Se i poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo, gli scrittori di fantascienza sono i suoi buffoni di corte. Noi siamo Pazzi Saggi che fanno capriole, pronunciano profezie e si grattano in pubblico. Possiamo scherzare delle Grandi Idee perché le nostre sgargianti origini nelle riviste popolari ci fanno apparire innocui. Come scrittori di SF abbiamo ogni ragione di godercela: abbiamo influenza senza responsabilità. Pochissimi si sentono in obbligo di prenderci sul serio, e tuttavia le nostre idee penetrano nella cultura, si diffondono in maniera invisibile come una radiazione di fondo.

Ma la triste verità è che la fantascienza negli ultimi tempi non ha divertito molto. Tutte le forme di cultura popolare attraversano momenti di depressione. Se la fantascienza dei tardi anni Settanta era confusa, ripiegata su se stessa, stantia, non c’è da stupirsene.
William Gibson è uno dei nostri migliori messaggeri di un futuro migliore. La sua breve carriera lo ha già consacrato come uno dei più importanti scrittori degli anni Ottanta. Il suo stupefacente primo romanzo, Neuromante, che ha vinto tutti i premi del settore nel 1985, ha dimostrato la sua impareggiabile capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L’effetto è stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la sf dal suo letargo dogmatico. Uscita dall’ibernazione, sta sbucando dalla sua caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi. E noi siamo magri, affamati, e non dell’umore migliore. D’ora in poi le cose andranno in maniera diversa.
L’antologia che avete fra le mani contiene tutte le opere brevi scritte finora da Gibson. È raro poter assistere allo sviluppo straordinariamente rapido di un grande scrittore.
La strada che intendeva seguire era già visibile nella prima storia pubblicata, Frammenti di una rosa olografica, del 1977. I segni distintivi di Gibson sono già presenti: una complessa sintesi di moderna cultura pop, alta tecnologia, tecniche letterarie d’avanguardia.
Il secondo racconto di Gibson, Il continuum di Gernsback, ce lo mostra mentre prende di mira il padre fondatore della tradizione fantascientifica. È una denuncia devastante della “scientifiction” nella sua tradizione di miope tecnocrazia. Vediamo qui uno scrittore che conosce le sue radici, e si sta preparando a una radicale trasformazione.
Gibson ha dato la prova più matura delle sue capacità nella serie dell'”Agglomerato”: Johnny Mnemonic, New Rose Hotel e l’incredibile La notte che bruciammo Chrome. La pubblicazione di questi racconti sulla rivista Omni mostrò un livello di concentrazione e immaginazione che diede uno scossone all’intero genere fantascientifico. Queste storie densissime e barocche meritano di essere lette più volte, per la loro cupa e implacabile passione, per i dettagli intensamente precisi.
Il trionfo di questi pezzi sta nella loro capacità di evocare un futuro credibile. Un compito difficilissimo, che molti scrittori di fantascienza hanno evitato di affrontare per anni. Questo fallimento intellettuale spiega lo spaventoso proliferare di storie sul dopo-olocausto, di fantasie di spada-e-magia, e di quelle onnipresenti space opera in cui imperi galattici crollano molto opportunamente nella barbarie. Tutti questi sotto-generi sono il prodotto del desiderio impellente da parte degli scrittori di non occuparsi realisticamente del futuro.
Ma nelle storie dell'”Agglomerato” vediamo un futuro ricavato in maniera riconoscibile e dolorosa dalle moderne situazioni sociali. È multiforme, sofisticato, globale nella sua visione. Deriva da una nuova serie di punti di partenza: non dalle formule trite dei robot, delle astronavi, del moderno miracolo atomico, ma dalla cibernetica, dalle biotecnologie, dalla rete informatica, per dirne solo alcune.
Le tecniche estrapolative di Gibson sono quelle della fantascienza classica e pura, ma il modo in cui le sviluppa è tipico della New Wave. Al posto dei soliti tecnici spassionati e degli eroi tutti di un pezzo della fantascienza tecnologica, i suoi personaggi sono una ciurma di perdenti, truffatori, reietti, emarginati e schizofrenici. Vediamo questo futuro dall’interno, come è vissuto, non semplicemente come arida speculazione.
Gibson mette fine a quel fertile archetipo gernsbackiano, Ralph 124C41+, il raffinato tecnocrate che dalla sua torre d’avorio sparge la benedizione della superscienza sulle masse. Nelle opere di Gibson ci ritroviamo nelle strade e nei vicoli, nel regno della lotta per la sopravvivenza, dove l’alta tecnologia è un ronzio costante, “come un esperimento impazzito di darwinismo sociale, inventato da un ricercatore annoiato che tiene perennemente premuto l’acceleratore.”
La scienza, in questo mondo, non è la fonte di bizzarre meraviglie, ma una forza onnipresente, diffusa, implacabile. È un flusso di radiazioni mutagene che si diffondono fra una folla, un Autobus Globale stracarico che si inerpica a tutta velocità lungo una salita esponenziale.
Queste storie ci dipingono un ritratto immediatamente riconoscibile del destino moderno. Le estrapolazioni di Gibson mostrano, con enorme nitidezza, la massa nascosta di quell’iceberg che è il mutamento sociale. L’iceberg scivola in questo momento con sinistra maestosità sulla superficie del tardo ventesimo secolo, ma le sue proporzioni sono immense e oscure.

Molti scrittori di fantascienza, posti di fronte a questo mostro in agguato, hanno alzato le mani al cielo, predicendo il disastro. Anche se nessuno potrebbe accusare Gibson di ingenuo ottimismo, egli ha evitato questa scappatoia. Questo è un altro tratto distintivo della scuola emergente di scrittori degli anni Ottanta: la noia dell’Apocalisse. Gibson non perde tempo ad agitare il dito o a torcersi le mani. Tiene gli occhi bene aperti, e, come ha notato Algis Budrys, non ha paura di rimboccarsi le maniche. Queste sono cospicue virtù.
Un altro segno ci mostra che Gibson è parte di un consenso crescente nella sf: prova ne è la facilità con cui collabora con altri scrittori. Tre di queste collaborazioni compaiono in questa antologia. La razza giusta è un raro esempio di horror spumeggiante di folle surrealismo. Stella rossa, orbita d’inverno è un altro pezzo sul futuro prossimo, con uno sfondo meravigliosamente dettagliato e autentico; con il suo punto di vista globale, multiculturale, tipico della fantascienza degli anni Ottanta, Duello è una storia brutale e terribile, con la combinazione di bassifondi e alta tecnologia che è tipica di Gibson.
Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura fantascientifica per farvi entrare l’aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura degli anni Ottanta, con la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e tecnologia. Ama i meandri più insoliti e immaginifici della letteratura ufficiale: Le Carré, Robert Stone, Pynchon, William Burroughs, Jayne Anne Phillips. Ed è un cultore di quella che Ballard chiamava acutamente “la letteratura invisibile”: quel flusso incessante di rapporti scientifici, documenti governativi, pubblicità specializzata, che plasma la nostra cultura senza che ce ne accorgiamo.
La fantascienza ha vissuto di rendita per un lungo inverno. Gibson, insieme a una schiera di nuovi scrittori dotati di inventiva e ambizione, ha risvegliato il genere e l’ha lanciato alla ricerca di nuovi percorsi. E questo è un gran bene per noi tutti.