di Francisco Soriano

Nella interessante pubblicazione – Le forme dell’oralità poetica. Poetiche e tecniche: modalità, esperienze, riflessioni (Zona, 2023) – degli atti del seminario tenutosi a Roma nell’ottobre del 2023, Giovanni Fontana dedica alcune note alla questione dell’oralità poetica.

La biografia di questo straordinario intellettuale testimonia la sua instancabile sete di ricerca e la propensione assidua allo sperimentalismo: una dinamica che lo spinge in spazi costantemente battuti da geniali performance. Già precursore della poetica pre-testuale, della poesia visiva e sonora, ha intensamente architettato teorizzazioni e messe in scena delle sue esperienze verbo-visive in ogni angolo del pianeta. Si è distinto negli anni per la vocazione avanguardistica e per la condivisione delle sue ricerche sulla poetica pretestuale ed epigenetica, incrociando personaggi come Cesare Zavattini, Adriano Spatola, Ennio Morricone, John Giorno.

Nella sua sterminata opera Fontana pone in rilievo la necessità inderogabile, rispetto ai tempi in cui viviamo, di rafforzare i legami con la poesia come atto di asimmetria alla cieca brutalità degli esseri umani. Innanzitutto la voce assume una funzione imprescindibile rispetto alla scrittura, nel senso che la poiesis genera «una nuova tessitura, un sistema articolato di logos, phonè e rythmos»1. Alla domanda di quale sia il ruolo della voce nella poesia sonora nell’attuale società dell’iperreale profetizzata da Jean Baudrillard, Giovanni Fontana risponde che «nella società dell’iperreale, quella che sembra moltiplicare l’effetto di realtà, ma che praticamente ce ne allontana sempre di più, tra mistificazioni e false aspettative, tra continui condizionamenti e simulacri effimeri, è sempre più forte la necessità della centralità del corpo. Dobbiamo riappropriarcene in tutta la sua materialità, a discapito del nostro corpo virtuale, nell’intento di rinforzare le relazioni di spessore umano, che appaiono sempre più esili e labili»2. Dunque la ricerca sul campo viene articolata in una dimensione intermediale in cui vengono usate tecnologie elettroniche e digitali che servono, nel recupero all’interno dell’atto performativo, del valore della voce come corpo, essenza reale e strumento di relazione etica ed estetica: «la performance poetica è un evento nomade nel cui centro vibra una voce reale in cerca di relazioni umane».

Nella prefazione Voci & voci Fontana assicura che, nell’attuale panorama mediatico, le forme dell’oralità poetica ci riservano «molte sorprese»3. Nell’ultimo intervento all’interno del testo, La voce in situazione, egli definisce con la sua geniale intuitività che cosa sia una voce»: materia corporea seppur «impalpabile», è «evanescente», è perfettamente congeniale a un «corpo pulsante», è «avvinta alle vibrazioni prodotte da strumenti vivi»4. L’irripetibilità della voce è inquietante, sorprendente, unica, palpitante, è composta da carne e da sangue, da nervi e cartilagini. Le parole di Fontana sono utili a chi vuole comprendere l’imprescindibilità della voce nelle esistenze umane, in qualche modo l’origine del proprio essere uomini e donne, corpi che si muovono in flussi vitali, in esperienze, in luoghi e spazi, nel tempo, talvolta in condizioni di assoluta atemporalità. In ogni caso la voce testimonia la presenza del corpo e «la sua natura è essenzialmente fisica, corporea». La voce è complessità, è un evento e come tale produce «riverberi disvelatori di malie», misteri, e «nell’alternanza di soluzioni tonali stacca la dominante naturale indicando le direzioni possibili del senso»5. A Carmelo Bene si riferisce Fontana quando dice che aveva ragione quando affermava che in teatro «non si può parlare ma si possono solo cantare parole incomprensibili»6. È proprio quella voce che obbedisce alla Musa, che tocca corde poliformi e che «scocca la sua freccia come amor che attacca di soppiatto»7.

L’amore per la voce è vita. In questa consapevolezza Fontana sonda le sfumature, le sfaccettature, gli infiniti e imperscrutabili distinguo, appellandosi alla sua funzione quasi benefica, «che è risonanza infinita, che fa cantare ogni forma di materia»8. Dunque è l’irritualità e la mancanza di rispetto di un canone preciso, il vincolo che asserraglia in ogni angolo del mondo, mentre altro è «dire parole in voce e voci di parolevoce». Il corpo vibra: trachea, cartilagini, cricoide, tiroide, aritenoidi, tendini, muscoli, corna, anello, laringe, lingua, micropiramidi, glottide, corde e poi fruscio, pensieri, colonne d’aria, fiato, parole, corpo, aria. In scena, dunque, il dado è tratto: l’apparato fonatorio evocante sposa il gestatorio intrigante. Il genio di Fontana va oltre la parola, quello spazio che diventa indefinito perché non è mai eguale, è tutto e il contrario di tutto, è e non è, è dove «sobbollono di glossolalici universi minori i fonemi in vista del canale oscuro di raccolta di deiezioni spurie»9. La voce è il corpo, di testa, di ventre, di fegato e di gola, sono a disegnar l’universo le corde corde.

Ma, in definitiva, i poeti cantano? Fontana cita ancora Carmelo Bene, il quale dice che i poeti non recitano, cantano, e che «la scrittura è trascinata via dal suo letto di carta. E il corpo ne fa musica. Il corpo. Dunque. Canta la scrittura. La ricanta. La plasma. La modifica. Plasticamente in ghirlande»10. Dalla punteggiatura e dallo scrivere a singhiozzi si esprime tutta la convulsa immediatezza, in un continuo di alternanze che conducono tutte alla sintesi di un equilibrio che potrebbe apparire solo puro disordine. È il punto estremo della ricerca dove la voce si estende non come pura vibrazione ma impura vibrazione, contaminata: affoga nel testo e dal testo emerge. Fontana ci fa capire in questo frangente il momento topico della sua ricerca, che nella sequenza di mutazioni «pendolari» lo status è quello del «laboratorio perenne». Anche per questo non può esservi un punto di arrivo, né l’alternanza di pagine che si sfogliano, né numeri a piè di pagina, né pagine tracciate di inchiostro perenne. C’è invece un processo alchemico «in cui conta il fare» senza limiti temporali in flusso, questo sì, perenne.

Una bella definizione di poesia, difficile e quasi impossibile, la diedero i fratelli Ilse e Pierre Garnier, come ci segnala ancora una volta Giovanni Fontana: «i Garnier plasmavano il soffio. […] uno dei fondamenti della poesia era il “respiro”. Le “souffle”. Respiro che “trasforma il corpo in luce”»11. A riflettere bene il respiro è davvero quell’elemento di comunione fra corporeità e incorporeità, realizza la metamorfosi e la mutazione del sangue pesante in fluido etereo. Visto che – continua Fontana – il respiro-souffle consuma i corpi, l’universo poetico è dato dallo svuotamento dell’universo stesso. «È necessario allora reinventare il corpo. Scrive Pierre: Io chiamo poesia la conoscenza del respiro». «Poi. Respiro, dunque l’universo è […]. E se l’universo è, posso reinventarmi»12. Nella ricerca delle forme della poesia e dunque della sua essenza questo è un momento cruciale, dove la nuova arte del suono è tenuta a superare le barriere linguistiche e riscoprire l’energia del linguaggio: «La “Sonie” deve rinunciare all’espressione per trasformarsi in energia pura»13. Pierre Garnier nella sua teoria di consumazione dei corpi, cioè «combustione dei corpi», ha pensato a Giordano Bruno, che parlava infatti di «spiritus» come «soffio vitale», «come respirazione universale». Infatti lo stesso Garnier comprende quanto sia ineludibile l’importanza del respiro come sostanza sonora e facendolo con il magnetofono si pone agli antipodi della poesia sonora, senza accontentarsi, attendendo che il nuovo universo tecnologico gli dia una mano a scoprire una nuova civiltà di onde e vibrazioni come mezzo di comunicazione diretto. Nel percorso della pesantezza e della mediazione del linguaggio si va verso l’idea stessa di oggetto sonoro, in un «mondo situato oltre i limiti del suono», dove «la parola si sfuma prima di essere detta»14.

Il processo sperimentale intrapreso da Giovanni Fontana ci rende consapevoli, in ultima analisi, che anche la registrazione e il documento devono essere, senza altre possibilità, viatico creativo e strumento di modellazione acustica. Il miracolo che articola la nostra esistenza poetica è nel «flusso inarrestabile» che convalida, ancora una volta, l’idea del «perennemente in atto».


  1. Cecilia Pavone, Intervista a Giovanni Fontana, teorico della poesia epigenetica, in Artribune.  

  2. Ibid.  

  3. Giovanni Fontana (a cura di), Le forme dell’oralità poetica. Poetiche e tecniche: modalità, esperienze, riflessioni, Zona, Genova 2023, p. 9.  

  4. Ivi, p. 99.  

  5. Ibid.  

  6. Ivi, p. 101.  

  7. Ibid.  

  8. Ibid.  

  9. Ivi, p 104.  

  10. Ibid.  

  11. Ivi, p. 106.  

  12. Ibid.  

  13. Ivi, p. 107.  

  14. Ivi, p. 108.