di Sara Picardi e Franco Pezzini
Per un blog votato alla critica dell’immaginario dominante e a una riflessione culturale, artistica, politica, sociologica e filosofica “d’opposizione” l’attenzione a un’arte visionaria rappresenta un passo di immediata coerenza: sia quando ciò riguarda autori già consacrati alla pubblica fama, la cui opera contribuisce a decostruire retoriche di potere più o meno tossiche, sia quando ciò riguarda autori “nuovi”, che stanno lavorando e lottando per ottenere riconoscimenti. Autori spesso ma non necessariamente a vocazione fantastica, e che attraverso una visionarietà propria e magari febbrile suggeriscono nuovi approcci, permettono di far fermentare idee, traghettano a riflessioni innovative e non scontate. Nell’ambito di questa serie non a caso titolata Visionaria, lo step conduce a una mostra attualmente aperta a Milano, sui lavori di Cosimo Carola.
La stanza. Un habitat su misura. Rifugio o prigione. È il luogo in cui inevitabilmente ci si confronta con le proprie ombre, con l’intimità più cruda.
Perché è lo spazio del mondo in cui possiamo davvero restare senza veli. Non solo metaforicamente, spogliandoci delle maschere che indossiamo fuori, ma anche nel gesto reale del denudarsi, lasciando cadere ogni indumento per dare voce all’animale interiore che ci accompagna per tutta la vita.
Le stanze vedono molto più di quanto immaginiamo. Custodiscono visioni, pensieri, gesti che affiorano solo lì. Quando la mente, libera, comincia a viaggiare senza il timore del giudizio di tutto ciò che è esterno. Nel 1929, Virginia Woolf pubblica il celebre saggio Una stanza tutta per sé, in cui afferma che una donna, per scrivere, ha bisogno di indipendenza economica e di uno spazio personale. Ma quella “stanza” è anche una potente metafora: non è il talento a mancare, ma l’opportunità di esprimersi, di avere un luogo in cui esistere davvero. È questa stessa urgenza che attraversa la ricerca artistica di Cosimo Carola: la conquista di uno spazio, fisico, simbolico, intimo, dove potersi scoprire.
Nella mia stanza ci sono tante piccole porte, segreti accessi allo stupore. Alcune chiuse, mai aperte, altre spalancate al Mondo aspettano di essere attraversate. E come l’anima trattiene luci e ombre, così la mia stanza segretamente protegge tutte le cose vissute.
Ed è proprio La Stanza il tema della mostra di Carola, ospitata dal 24 aprile al 15 maggio 2025 presso Stazione Arte Contemporary, in via Filippino Lippi 10 a Milano, galleria che accoglie artisti da tutto il mondo, offrendo loro la possibilità di trovare un luogo, una voce, una soglia. In questo caso, dunque, è una stanza che ospita una stanza.
Quello raccontato da Cosimo Carola in questa mostra/installazione della sua ultima produzione è un luogo insieme reale e metaforico. Nei suoi dipinti acrilici a tema, l’artista ritrae, dopo averla attraversata con la lente lisergica del surreale, proprio l’ambiente in cui oggi vive e crea a Milano. Un atelier personale dalle pareti cerulee, che diventa spazio di evocazione e trasformazione: qui prendono forma ricordi, turbamenti, spettri che affiorano come in una narrazione dickensiana dal passato, dal presente e dal futuro.
Una prima serie di tavole, “La Stanza”, proietta in qualche modo tali suggestioni sull’orizzonte del mito. In una stanza che richiama immediatamente ai colori di quella dell’autore, soffitto bianco e muri color cielo, l’autorappresentazione lo mostra grande quasi come Alice nel Mondo di Meraviglie esonda dalla casetta: non per titanismi superomistici ma in quanto soggetto primo, mitico del quadro, e delle suggestioni evocate. L’idea del movimento vi è resa con una pluralità di braccia e talora di gambe: il risultato è una sorta di Centimano o, come ne Il pittore (2025), di Ciclope con un terzo occhio aperto in mezzo alla fronte, quattro braccia occupate a dipingere. Così Il quadrifoglio (2025) lo vede dotato di ben sei braccia intente a intercettare e raccogliere, come in una ricerca di fortuna, quadrifogli che entrano in volo della finestra. In Cuore sacro (2025) il Nostro ha di nuovo quattro braccia intente a reggere e custodire una sorta di versione laica del Sacro Cuore – tre cuori, più le fiamme di un quarto guizzanti su una mano. Ne Il Minotauro (2025) regge invece in grembo come un bimbo la creatura eponima: le due figure sono collegate alla bocca da una sorta di cannuccia da cui il Minotaurino beve un liquido rosso (sangue?). Braccia e gambe tornano a moltiplicarsi – in apparenza sette e tre – in Ipocondria (2024), dove un uomo con le occhiaie si allontana provato dalla piccola porta: e oltre la soglia, qui come nei precedenti, le prospettive appaiono vertiginosamente falsate, a suggerire forse un senso di straniamento.
Le suggestioni cui Carola attinge sono molto varie, dal mito greco al devozionismo barocco (il cuore fiammeggiante) a istanze indiane – non solo nella molteplicità di braccia dal sapore vagamente induista, ma nella postura ascetica di Cuore sacro: tutto ciò a suggerire non senza una vaga ironia l’alta dignità della ricerca artistica, lo sforzo immane di darvi seguito, la libertà assoluta che essa pretende (l’autoritratto è quasi nudo, tranne per un succinto slip) e insieme una qualche sana misura di provocazione. Il mito parla in fondo delle origini di ciò che vediamo e siamo, del substrato alle basi della storia e del quotidiano.
Ma per comprendere anche meglio la poetica dell’artista, dobbiamo passare a un’altra serie di disegni esposti in mostra, dal titolo “Le ombre”, e che raccontano principalmente il suo passato. Su fogli bianchi, in una semplicità del bianco e nero che non deve ingannare, troviamo la stessa stanza dell’altra serie: e a tracciarvi silhouette è la stessa sagoma dell’artista o altre a lui legate. Così in Ombra 1 (2025) il Nostro sosta come in attesa, in Ombra 2 (2025) tiene per mano un bambino che forse è stato lui stesso, mentre Ombra 3 (2025) appartiene a una figura femminile appoggiata all’asta della flebo e Ombra 4 (2025) sembra evocare una scena di violenza tra ragazzi. Altra violenza e stigmatizzazione, quella di Ombra 5 (2025), un ragazzo umiliato con orecchie d’asino. A evocare le fatiche e dolori del passato: in quelle ombre Carola fissa come istantanee il ricordo delle sfide – appunto bullismo, amore, malattia – che la vita ha posto drammaticamente sul suo cammino.
L’artista nasce a Napoli il 24 settembre 1979 e cresce a Secondigliano, quartiere della periferia nord, noto ben oltre i confini della Campania per la sua complessità: un luogo di coesistenza di famiglie economicamente fragili e realtà criminali spietate. Uno scenario distante anni luce da quello in cui si muove nel presente, ma che ha indubbiamente segnato il suo sguardo sul mondo. In quel contesto, la ferocia era quotidianità inscritta nei gesti e nei toni, nelle piccole cose, quelle che pesano per i bambini. E l’infanzia di Cosimo coincide con un’epoca in cui Secondigliano era ancora più isolata, parte di una Napoli pre-globalizzata, lontana dal boom turistico. Crescere lì significava, il più delle volte, restare intrappolati in un destino già scritto. Una dinamica che Carola rifiuta, e a cui si oppone con successo, scrivendo da sé la propria storia.
Cosimo è l’unico figlio maschio in una famiglia numerosa e onesta. Inizia a lavorare giovanissimo per supportarla economicamente, scegliendo la fabbrica al posto della scuola superiore. Ma poco prima dei vent’anni comprende che non può rinunciare al sapere, di cui è assetato: tale è la sua urgenza che, pur lontano dai banchi di scuola, continua a studiare da autodidatta, seguendo un corso per corrispondenza di disegno e sviluppando un talento che forse gli apparteneva da sempre.
Decide così di iscriversi all’Istituto d’Arte Palizzi di Napoli, dove consegue il diploma e si distingue come studente particolarmente brillante, sia nelle materie artistiche che in quelle teoriche. Ogni mattina lascia il quartiere per raggiungere le aule dell’ex convento nei pressi di Piazza del Plebiscito – ora popolate da creativi come lui – e ogni pomeriggio vi fa ritorno, portando con sé nuove consapevolezze. Quelle aule diventano per lui un primo rifugio, ma non ancora il proprio posto nel mondo.
Una volta diplomato, Cosimo decide di lasciare Napoli. La pur amata città natia (e forse soprattutto il quartiere) inizia a stargli stretta, troppo densa di retaggi culturali retrogradi, specialmente per un giovane artista che ha da poco preso coscienza della propria omosessualità. A Milano, tra sacrifici e tanto lavoro, trae boccate d’ossigeno con la sua instancabile dedizione all’arte, e costruisce un nuovo spazio: un luogo in cui finalmente poter abitare se stesso.
Quella stanza è il cuore pulsante della sua poetica. Cosimo invita lo spettatore a entrarvi senza più vergogna: è uno spazio dove si mostra disarmato. Al centro delle sue tele Carola si autoritrae nudo o seminudo, non a caso. E nel ritrarsi non solo si racconta ma si scopre, si rivela anche a se stesso, dando vita così a uno sguardo nuovo, capace di vedere “oltre”. Di qui le altre serie di tavole della sua produzione, non tutte ora esposte a Milano: “Ritratti e autoritratti”, dove tra potenza visionaria e suggestioni queer inanella una serie di immagini folgoranti, ora a colori vivaci; “Mettiti in posa anche tu”, parata di fastose icone di regine in crossdressing, tra cui campeggiano autoritratti in abiti cinquecenteschi più o meno fantasiosamente rivisitati, in ammiccamenti paralleli al fumetto e all’arte rinascimentale; mentre “Periodo analitico” conduce i propri esiti ancora più lontano, da Eden (2023) con Adamo ed Eva piegati surrealmente come origami, La capanna (2019) e Cupido (2021) che sembrano giocare con il mito di Ermafrodito, alcune immagini vividamente anticlericali su papa Ratzinger – Lussuria (2013), L’avaro (2012) –, i geniali Il Bacco (2021), In crisi per la crisi (2014), Dolcissimo ragazzo (2014) e una serie di tavole dove già si prefigura l’autobiografico protagonista de “La Stanza”. Le tavole danno conto di una poetica omoerotica in termini molti liberi ed eleganti, ironici e a tratti giocosi. Un’altra serie, “Le conseguenze dell’amore” presenta toni più surreali e dolenti.
Ennesima serie della sua produzione, “La Foresta”, prende le mosse da una citazione di Jack London, “Ucciso o essere ucciso, mangiare o essere mangiato, era la legge”. Le tavole sono splendide: il protagonista – sempre autoritratto – vi deve fronteggiare diversi pericoli e bestie variamente naïf ma ciò che colpisce è la vivida fluidità dei suoi movimenti, scappi o venga sbranato. È con il corpo che si relaziona col mondo, e il corpo è nudo.
Nella citata tavola Il pittore la figura presentava un terzo occhio: è l’occhio della veggenza, che lo rende capace di affrontare la propria arte. Rimbaud scriveva che “Il poeta si fa veggente” ed è forse così per tutti gli artisti. Questa capacità di entrare in contatto con l’Altrove proviene necessariamente dall’essersi confrontati con meandri interiori oscuri e terrificanti. Ci si fa veggenti imparando ad ascoltare il proprio inconscio, nonostante — o piuttosto grazie a — il dolore che ci si porta dentro.
Ed è solo quando si ha il coraggio di forare il sipario che la sofferenza cala all’altezza degli occhi, che si diviene consapevoli e capaci – grandi e nudi – di fissare senza paura la verità. Come fa Cosimo Carola nelle sue tavole.