di Gioacchino Toni

Roberto Lasagna, Massimo Troisi. Quando c’è amore…, Prefazione di Giorgio Simonelli, Mimesis, Milano-Udine 2025, pp. 142, edizione cartacea € 14,00, edizione digitale € 9,99

L’arrivo sulla scena del fenomeno Troisi deve essere inserito all’interno del particolare contesto napoletano a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta segnato da un’intensa vivacità culturale, musicale e teatrale che ha i suoi più illustri protagonisti in Pino Daniele, Enzo Gragnaniello, James Senese, Roberto De Simone, La Nuova Compagnia di Canto Popolare insieme a tante esperienze teatrali di avanguardia che hanno attraversato la scena partenopea.

Sono anni in cui un’intera città respira l’idea di rivalsa nei confronti del Nord e della Capitale, a cui finirà per dare manforte anche il Napoli di Maradona, anni in cui l’universo partenopeo è alle prese con un’intensa, per quanto breve, illusione di riscatto destinata a spegnersi insieme alla spinta propulsiva degli investimenti pubblici che, con tutte le loro contraddizioni, avevano saputo portare un po’ di ossigeno ad un mondo desideroso di dire la sua anche fuori da quel Mezzogiorno italiano in cui la città sembrava condannata ad essere relegata.

In Massimo Troisi. Quando c’è amore… (Mimesis, 2025) Roberto Lasagana, avvalendosi di una serie di conversazioni con alcune figure che hanno collaborato con Troisi – Enzo Decaro, Pino Donaggio, Anna Pavignano e Roberto Perpignani –, analizza la produzione cinematografica dell’autore-attore partenopeo indagandone le vicende produttive, le dinamiche narrative, la costruzione dei personaggi, la messa in scena, la recitazione e l’impatto sul pubblico.

Nel corso del libro, Lasagna si confronta criticamente sia con l’ardito accostamento che, nel corso del documentario Laggiù qualcuno mi ama (2023), Mario Martone fa della produzione, delle scelte stilistiche e narrative cinematografiche di Troisi alla Nouvelle Vague francese, che con le perplessità espresse da una parte della critica, soprattutto all’uscita dei primi film, sul ricorso del partenopeo a modalità considerate eccessivamente leggere ed ironiche per affrontate tematiche sociali come quelle relative all’emigrazione.

Di certo, secondo Lasagna, il cinema di Troisi manifesta caratteristiche autoriali destinate ad essere sempre più approfondite di opera in opera ricorrendo ad una espressività caratterizzata da un indissolubile intreccio tra mimica e linguaggio che dietro ad un’apparente leggerezza si rivela capace di trasmettere in maniera poetica emozioni e riflessioni profonde imperniate sulla difficoltà di comunicare sentimenti in un intrecciarsi di incomprensioni, inquietudini, imbarazzi, malinconie, disincanti ed ironie che difficilmente il cinema italiano aveva saputo esprimerne, se non in un lontano passato.

Per quanto all’uscita di Ricomincio da tre (1981) il cinema di Troisi sia stato inserito all’interno di un generale processo di rinnovamento della commedia italiana che ha coinvolto autori come Carlo Verdone e Nanni Moretti, la proposta dell’autore-attore partenopeo presenta caratteristiche sue peculiari destinate a contraddistinguere l’intera sua produzione.

In particolare, sottolinea Lasagna, il cinema di Troisi rivela uno sguardo attento sulla realtà indagata in alcuni suoi frammenti quotidiani a partire da una lettura introspettiva venata di ironia capace di intercettare pur nelle specificità partenopee l’intero pubblico italiano che aveva imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo grazie ad alcune spassose performance televisive, insieme a Enzo Decaro e Lello Arena, nel trio La Smorfia in una serie di spiazzanti sketch, persino dissacratori in alcuni casi, indugianti su problematiche sociali solitamente assenti dalla comicità italiana precedente e, comunque, affrontate con taglio diverso rispetto ad altri autori del periodo.

Nella sua produzione cinematografica, Troisi mantiene l’idioma napoletano e la mimica con cui il pubblico italiano lo aveva conosciuto nelle apparizioni televisive. Con il suo film di esordio, Troisi propone una commedia che guarda con inedita e spiazzante franchezza alla fragilità esistenziale di un giovane campano costretto a guardare avanti con amarezza ed insoddisfazione dopo la tragedia del grande terremoto irpino e che decide di spostasi senza progettualità in un’altra città, semplicemente desideroso di cambiare aria almeno per qualche tempo. Più volte il protagonista del film, Gaetano, si trova a rifiutare l’etichetta dell’emigrante che, in quanto napoletano, gli viene costantemente appiccicata, come a voler ribadire «il bisogno di una generazione di trovare un ascolto nuovo, che contempli i vissuti più intimi, le dimensioni relazionali, i problemi psicologici» (p. 30).

Se pochi anni prima Nanni Moretti aveva messo inscena lo scombussolamento di una generazione che aveva perso i punti di riferimento politici e ideologici, Troisi con «Ricomincio da tre segue un tragitto con i tempi dell’attore comico portatore di un desiderio di fuga dalla realtà di casa; in esso, l’essenzialità drammaturgica, il rigore e i toni disadorni della messa in scena, appoggiano una vena malinconica e proletaria, dove la comicità dell’attore trova guizzi nel testo dai risvolti surreali». (p. 30).

Troisi ama, con il cinema, la possibilità di scardinare con l’autoironia e con un linguaggio sempre più padroneggiato le convenzioni, lavorando sull’affinamento dei gesti, dei dialoghi, della parola, disegnando personaggi che rivelano nel rapporto con il contesto il bisogno di sottrarsi agli stereotipi e ai condizionamenti familiari (Ricomincio da tre, 1981), ma dando finalmente una visibilità e un’attenzione sentita alla figura dell’insicuro, dell’indeciso, quando non addirittura dell’inetto principalmente nel campo delle relazioni affettive (Scusate il ritardo, 1983) (p. 17).

Nella sua veste di sceneggiatore, interprete e regista, Troisi dribbla dunque i cliché mettendoli alla berlina per affrontare il disagio esistenziale e sociale di un giovane napoletano, Gaetano, e con esso di una generazione, ricorrendo al registro della commedia venata di note romantiche e malinconiche.

La proposta di Troisi è di raccontare, con l’indolenza scossa del suo personaggio memorabile, la condizione esistenziale fluida e l’incertezza dei tempi attuali, la complessità del rapporto tra i sessi, muovendosi in una polemica delicata fatta di ironia e sentimenti ovverosia librandosi su aspetti intimi, coltivando il garbo e la passione intellettuale per il Sud e tuttavia allontanando lo sguardo dalle linee accreditate che vogliono la rappresentazione cinematografica del Meridione in linea con i toni folcloristici o con le conformità ai cliché gangsteristici-mafiosi. Troisi non soltanto racconta il contesto da cui Gaetano prende le mosse ma lo analizza e denuncia il bisogno di evasione ironizzando sul luogo comune dell’emigrante che si rivela uno schema/pregiudizio persistente gettato addosso al giovane in cerca di nuovi orizzonti in cui ritrovarsi (p. 31).

Dopo il cortometraggio televisivo Morto Troisi, viva Troisi! (1982), un finto reportage sulla propria morte, con Scusate il ritardo (1983) Troisi ribadisce la scelta autoriale di mantenere sostanzialmente il medesimo personaggio, che ormai tende a coincidere con sé stesso, al centro delle vicende, mettendolo a nudo e allargando le tematiche trattate alla morte, con cui inizia il film, la malattia, la perdita e la complessità dei rapporti tra gli individui derivata tanto dalle fragilità dei soggetti che dall’universo entro cui questi si trovano a vivere.

Stavolta il protagonista, Vincenzo, non abbandona Napoli ma nuovamente siamo in presenza del difficile rapporto tra un uomo e una donna diversamente fragili. Anche in questo film l’attore-regista si rivela abile nel trattare questioni complesse inserendo momenti di fine ironia e di alta comicità. Indimenticabile l’imbarazzata e seria conversazione sul letto con la partner in cui Vincenzo non riesce a staccare l’orecchio dalla radiolina che annuncia il Cesena in vantaggio sul Napoli.

Non ci resta che piangere (1984) vede Troisi e Benigni nelle vesti di registi ed attori di un film in costume, alla cui sceneggiatura collabora Giuseppe Bertolucci: una sorta di divagazione che il Nostro si concede rispetto al suo personale percorso autoriale. Nella pellicola, che ottiene un enorme successo ai botteghini, la complicità dei due mattatori funziona alla perfezione in un succedersi di situazioni comiche surreali in cui i due restano in perfetto equilibrio senza che uno si sacrifichi al ruolo di spalla all’altro.

All’apice della notorietà, dopo aver recitato in Hotel Colonial (1987) di Cinzia TH Torrini, Troisi torna alla regia con il film Le vie del Signore sono finite (1987), alla cui sceneggiatura lavora insieme ad Anna Pavignano, con una colonna sonora scritta e interpretata dall’amico Pino Daniele. Ambientata in epoca fascista e attraversata da momenti in sagace critica ed ironia nei confronti del regime, l’opera è incentrata attorno a un protagonista, Camillo, da lui stesso impersonato, incapace di relazionarsi senza ricorrere a menzogne.

Con una leggerezza che non suona mai come superficialità, Le vie del Signore sono finite espone alla derisione l’Italia fascista innescando con l’ironia dell’autore – questa volta accompagnata scopertamente da sfumature malinconiche – la sua critica a un contesto drammatico come quello del paese sotto la dittatura. Un paese che avrebbe bisogno seriamente di una iniezione di umanità, di una cura per le menti, mentre lo sguardo irriverente dell’autore si dedica nel film all’amicizia e alla sofferenza per amore, temi umanissimi che sopravvivono nello sguardo pieno di delicatezza di un film in cui Troisi si confronta con la Storia del ventennio fascista e riesce a divertire parlando di un personaggio che a un certo punto verrà ritenuto un miracolato quando recupererà l’uso delle gambe (p. 69).

L’ultima prova che vede Troisi alla regia è Pensavo fosse amore… invece era un calesse (1991) e nuovamente lavora al soggetto e alla sceneggiatura insieme ad Anna Pavignano affidando le musiche a Piano Daniele. Stavolta l’ambientazione è meno popolare rispetto ai precedenti film, ma ancora una volta l’autore-attore-regista guarda alle difficoltà dei rapporti di coppia a ridosso del matrimonio programmato. Tommaso, interpretato dallo stesso Troisi, è, ancora una volta, un uomo profondamente insicuro, per quanto più maturo rispetto ai protagonisti dei film precedenti, così come insicura è la promessa moglie che, però, a fronte dell’immobilismo e del fatalismo dell’uomo, riesce, tra mille sofferenze, a prendere una decisione forte che impatterà sulla vita di entrambi.

Le scosse e le sorprese attraversano questa commedia melancomica in cui Troisi mette in campo le riflessioni sulla coppia con la spiccata attitudine a declinare i tormenti sentimentali in passaggi di comicità che non solo esprimono il retrogusto amaro della maschera comica ma disinnescano ogni posa. […] Con il linguaggio e con le reazioni del cuore di Tommaso è tutto un mondo che si pretende immobile a scoprire che attorno le cose cambiano, che anche quando non si vuol ferire o colpire non è possibile rimanere estranei, che il petto si gonfia e il batticuore sale e che persino la fine di un amore richiede comprensione e rispetto dell’altro (p. 90).

Sentitosi raccontare della promessa sposa colta in atteggiamenti amorosi con un altro, Tommaso afferma: “Perché siete tutti così sinceri con me?! Cosa vi ho fatto di male io?! Chi vi ha chiesto niente? Queste non sono cose che si dicono in faccia. Queste sono cose che vanno dette alle spalle dell’interessato. Sono sempre state dette alle spalle”. Per certi versi in questa affermazione è possibile cogliere una delle caratteristiche principali della poetica di Troisi. In questo film, come nei precedenti, l’autore sembra obbligare i suoi protagonisti a fare i conti con uno sguardo sincero: li scopre, li denuda, li mette di fronte ad uno specchio che, per quanto possa rivelarsi impietoso, resta pur sempre amorevole e solidale nei loro confronti, perché l’ironia e la comicità di Troisi non giungono mai al dileggio e alla cattiveria.

Troisi non manca di raccontare con leggerezza e ironia un personaggio le cui perplessità e insicurezze sono inquietudini avvinghiate alla vita che si traducono in ansie e in un atteggiamento generale verso l’esistenza e la quotidianità con (e senza) gli altri. La sua mimica e la sua gestualità coniugano le reminiscenze eduardiane del suo dialogare afasico in un gustoso compendio sui dubbi amorosi che manifesta tutta l’autenticità e il proposito dell’artista di maturare come uomo di cinema. Le sequenze sono impaginate come quadri di umanità privi di coloritura effettistica e armonizzate dalla musicalità interna di un racconto che segue l’irrompere nella vita ordinaria del sentimento amoroso quasi fosse non esattamente una malia ma un malanno, un virus contagioso che influenza i comportamenti individuali e sociali. […] Il travaglio sentimentale diventa cinema dell’anima in questo sguardo amorosamente disincantato capace di grande leggerezza nell’accogliere le voci delle persone comuni intente a parlare delle loro vicissitudini sentimentali; diventa intenso pathos nelle svolte, come quella del matrimonio mancato, che la canzone Quando di Pino Daniele accompagna fino al finale in cui Troisi si affida a un nitido movimento della macchina da presa per lasciare la coppia al rispettoso dialogo che sfuma (ed è come se non volesse mai staccare) sui titoli di coda (pp. 93-94).

Nell’interpretazione di Troisi ne Il postino (1994) di Michael Rardford, il cui soggetto è stato liberamente derivato da un romanzo di Antonio Skármeta, si vorrà vedere il testamento di un artista che sembra rivelarsi oltre la finzione. Certo, la sua tragica scomparsa a ridosso dell’ultimo ciak ha contribuito a portare a vedere direttamente l’attore in questo suo ultimo personaggio. Resta pertanto difficile valutare il film prescindendo dal fatto che lavorando ad esso se ne è andato uno degli artisti più importanti che hanno attraversato il cinema italiano gli anni Ottanta.

Troisi, grazie alla sua sensibilità di interprete ironico e intenso, è intenzionato a perlustrare nuove direzioni nel suo percorso artistico e Il postino affronta dimensioni poetiche e universali rese linguisticamente moderne e metaforicamente disvelanti, asseconda le ambizioni di un artista che ha saputo raccontare l’amore ma anche immergersi, grazie alla fisicità straordinaria della sua recitazione e la sincerità delle sue scelte registiche, in prospettive sociali e culturali che il suo cinema ha affrontato privilegiando le (dis) avventure interiori dei personaggi (p. 104).

Il volume di Roberto Lasagna si rivela un’attenta analisi dell’opera cinematografica di Troisi capace di evitare quel processo beatificazione che non di rado si accompagna alle scomparse premature. Non è facile guardare criticamente ai film di Troisi perché incombe su di essi la perdita in giovane età di un autore-attore che, con le forme della commedia disincantata, ironica e malinconica, ma capace anche di smuovere il riso, ha saputo toccare, con i suoi personaggi, corde evidentemente condivise da tanti in un Paese avviato, proprio in quegli anni Ottanta, a perdersi in un pantano falso quanto patinato. Se con altri autori è più facile mantenersi distaccati nell’analizzarne le opere, con Troisi tutto sembra farsi più complesso. È come se nello scrivere dei suoi film ci si sentisse un po’ imbarazzati e reticenti come i suoi personaggi. E come loro si è mossi dal desiderio di poter semplicemente dire che si amano certe cose, senza doverne dare spiegazione.