di Sara Picardi e Franco Pezzini
Dora Maar, che da una foto di Man Ray diventa un viso meditabondo coronato dalla mani, l’occhio sinistro verdazzurro nel bianco e nero del resto; una giovane donna col vezzoso cappellino sghembo alla moda d’un tempo, le mani posate l’una sull’altra – ma la destra sta mutando in un’infiorescenza – con una colonna sullo sfondo a evocare il passato; un volto (femminile? A evocarlo è “Eastern Promises” di Howard Shore) che emerge fissando di sottecchi dalle sfaccettature di una figura geometrica solida, irregolare; una Giovanna d’Arco con cotta di maglia e gli occhi bassi, malinconici; una giovane nuda fino alle cosce, la cui armonia morbida si squadra in forme geometriche come quelle che lo sguardo di lei e il sole sul mare vanno a definire all’intorno. E un’altra accosciata, azzurrina, i capelli che sembrano fuoco e chissà se c’entrano i fili pendenti in alto sull’altro lato; una Lydia Deetz (da Beetlejuice) in rosso con bambola e incredibili occhi; un ritratto di Karin Maria Boye sovrastante uno scoglio, ma la sagoma dal lato sinistro è una sorta di riflesso; un torso spigoloso di donna, senza braccia come una statua antica e cavi retrostanti a mo’ di androide… Per non parlare di una straordinaria Carmilla 70, con una rosa in mano, l’abito verde Hammer e l’espressione maliziosamente soave. Potremmo riempire così pagine e pagine a inseguire la fantasia di Emanuela Milleri (qui il sito) nelle sue tavole. Dove si coglie il senso di una ricerca – anche attraverso ritorni tematici, e vivide simboliche interiori.
Il mondo dell’arte sta lentamente sanando le proprie radici patriarcali e, come spesso accade nella storia umana, lo fa attraversando l’estremo opposto: un’intensa riscoperta dell’arte femminile e della figura della donna nella storia della creatività. Assistiamo dunque non solo allo sbocciare, ma alla meraviglia della fioritura di artiste femminili che finalmente trovano voce. Ancora più potente è incontrare quelle che, con la propria voce, riescono a raccontare sé stesse e, insieme, le altre donne, intrecciando una narrazione che da personale si fa antica, universale e perenne. Una voce che, pur nascendo dall’esperienza femminile, supera però i confini di genere e può appartenere a chiunque.
Emanuela Milleri è una di queste voci: unica, con un’identità inconfondibile, tanto nello stile quanto nei contenuti. Coerente e riconoscibile, come solo i veri artisti sanno essere, trova la propria identità formale attraverso la creazione di alter ego che non sono sé, ma che parlano probabilmente di lei. Non a caso i soggetti sono principalmente pittrici, muse, personaggi storici o immaginari che diventano specchi obliqui attraverso cui raccontarsi e raccontare l’universo femminile tutto.
Uno degli aspetti che colpisce, frequentando le proposte sgranate via via sulle sue pagine social, è la conoscenza appassionata di vastissime panoramiche d’artisti – anche dimenticati o minori – frequentati con la bussola della Bellezza. Le sue suggestioni di opere pittoriche accompagnate spesso da riferimenti musicali (mai scontati), forniscono due elementi rilevanti anche sulla sua produzione come artista: da un lato l’eclettismo che la spinge verso filoni anche molto distanti ma mai modaioli, con il gusto di uno studio appassionato e la capacità di far innamorare gli interlocutori di nomi e opere da cui attinge spunti e lezioni; dall’altro il nesso con la musica. Molti dei lavori delle sue tavole hanno titoli di canzoni, che la accompagnano nel processo creativo non per tradurre i versi in immagini, ma creando un legame, anche dissonante, con l’essenza del brano musicale. Oggi questo abbinamento può non apparire raro: l’originalità sta qui negli esiti specifici.
Emanuela è un’artista visiva, ceramista e fumettista italiana che vive in Toscana. Si è laureata con lode in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università di Siena e per sedici anni è stata Vicepresidente di una cooperativa che si occupava di catalogazione, archiviazione e gestione dei Beni Culturali. In seguito ha deciso di dedicare la sua vita alla creazione artistica, ispirata dalla passione per la Storia dell’Arte e in parallelo per il cinema. La sua ricerca verte principalmente su artisti straordinari attivi nella prima metà del Novecento e spesso trascurati dalla divulgazione di Storia dell’Arte: per fare qualche nome, Stanisław Ignacy Witkiewicz (più noto come drammaturgo e scrittore), Emilio Pettoruti, Léon Spilliaert, André Lhote, Jean Metzinger (anche scrittore e poeta), Stanisław Szukalski (anche scultore), Pavel Fëdorovič Čeliščev (anche costumista e scenografo), Jurij Annenkov… autori eclettici, dalla grandiosa forza immaginale.
Ma è l’amore per il cinema e la narrazione attraverso le immagini che l’ha richiamata anche all’orizzonte del fumetto. Come autrice unica ha pubblicato per l’illustre editore britannico Markosia Enterprises i graphic novel The Horizon Cafe (2020) e The Evil Deer (2021). Il primo è stato definito un “noir-cyberpunk decadente” tra anni Trenta e futuro, una storia d’amore che muta in dramma di vendetta, fortemente onirico e labirintico alla Lynch nello svilupparsi dal finale e procedere come un gioco di specchi; il secondo si presenta con un più forte passo surrealista a metà tra ipotetici anni Cinquanta e fantasie settecentesche. Tavole smarginate, vignette incastonate in altre, un ricorso insieme vivido e delicato al colore; un’eleganza estrema delle figure – soprattutto femminili – e una fantasia nel complesso surreale: elementi che chi ama le sue tavole no comics riconosce come connotanti la sua fantasia. Ancora, è prevista l’uscita del suo primo racconto “all ages” Luna and a Special Night per l’editore americano Scout Comics e Simon & Shusters. Però attualmente l’autrice si sta prendendo una pausa dai fumetti col concentrarsi su altri tipi di produzione.
In particolare tavole a guazzo, inchiostro e grafite su carta e opere in ceramica che riprendono un po’ le geometrie solide di tante sue immagini a pittura, coi tagli netti di certe figure di regine dei mazzi di carte. Certo si tratta di un cosmo ben lontano da quello patinato a cui ci ha abituati la società contemporanea dove la donna è sì regina, ma solo se perfettamente acconciata secondo i desideri dello sguardo maschile.
Le donne raccontate da Milleri, invece, risultano attraenti in altri modi: hanno nasi pronunciati, sguardi taglienti e lascivi, ma mai compiacenti. Non cercano di sedurre per essere accettate: lo fanno perché sono portatrici di carattere, spessore, profondità. Sono individui, talvolta pure maschili, che non si conformano, che non chiedono il permesso, e che per questo, ancora oggi, continuano a fare paura al mondo.
Attraverso la sua interpretazione, incontriamo figure enigmatiche e magnetiche come Bastet, Dora Maar, la sposa di Frankenstein, Medusa e certe vampire: donne “mostruose” e libere, spaventose anche in qualità di padrone di se stesse. Molte fissano lo spettatore con uno sguardo che sfida e rivendica.
Accanto a queste, compaiono figure ingiustamente sottovalutate, come Gala Dalí, senza la quale Salvador, il genio visionario e pittore eccelso, forse non sarebbe mai diventato l’icona che conosciamo. Gala fu per lui molto più di una musa: fu agente, stratega, compagna, madre simbolica e figura di riferimento assoluto. È a lei che si deve gran parte del successo del surrealista catalano, che la venerava al punto da firmare alcune opere con entrambi i nomi: “Gala Salvador Dalí”.
Ma gli acquerelli dell’artista toscana, con la loro morbidezza, ritraggono anche androidi troppo umani, più degli umani stessi, e icone pop del mondo del cinema e dei fumetti che mantengono la loro riconoscibilità pur passando attraverso il filtro dello stile personale dell’artista.
Più in generale la sua produzione figurativa – piana o modellata – privilegia composizioni in senso lato “metafisiche” dove la figura femminile, spesso ispirata agli anni Quaranta e Cinquanta, si rapporta a elementi geometrici, talora con cavi innestati o pendenti dall’alto. Le sue figure hanno spesso una connotazione malinconica, con arti mutili come in reperti archeologici. Le figure, di tavole o ceramiche, sono solidi irregolari, prismi sfaccettati di geometrie tutte interiori, mix di cilindri e tronchi di piramide da cui emergono volti. Frequente è la presenza di fiori. Suggestivo è l’elenco delle serie prodotte: “Gouaches & Watercolors” (donne spesso inserite in contesti astratti, cubisti ma non privi di elementi naturali come conchiglie, gatti, cavalli, farfalle), “Androids” (che sviluppa in senso originalissimo la vocazione all’artificiale, metallo o marmo che sia), “Muses” (una galleria di figure femminili eccellenti: Eva, Circe, Jeanne Hébuterne, Lauren Bacall…), “Fan Art” (dove si occhieggia al pop con delicata eleganza, da Irma Vep a vari soggetti di Tim Burton).
Un elemento connotante è la presenza di linee come gocce che scendono dagli occhi: rughe d’espressione, o forse lacrime anche solo implicite di un qualche sospetto di malinconia. In questo senso citare per analogia il paradigmatico luccicone di Pierrot è insieme congruo e falsante, perché qui mai troviamo soluzioni kitsch: l’eleganza delle tavole di Milleri, rafforzata da un uso sofisticato del colore e di una ariosa base bianca di fondo, dà conto di una libertà e una fantasia che trascende i distinguo tra regni diversi – con una tentazione costante verso il minerale –, comunicando però insieme un’empatia sincera. Che si tratti di Dora Maar o di Jeanne Hébuterne le malinconie suggerite in quell’ombra di lacrime, a dispetto di suggestioni metalliche o marmoree, sono quelle della vita che conosciamo, degli amori e dei dolori di persone autentiche.
Nell’era dell’arte digitale, bastano pochi secondi per generare un’immagine accattivante e anatomicamente impeccabile ma nessuna intelligenza artificiale potrebbe impiegare linee, acquerelli, equilibri e posture con la sensibilità e l’intenzione che caratterizzano il lavoro di quest’artista. Non esiste prompt capace di restituire l’intensità emotiva dei suoi ritratti, né di intuire il simbolismo struggente degli occhi ‘piangenti’ che abitano molte delle sue figure.
Perché sono opere in cui l’universale si specchia nell’individuale, e l’individuale si dilata fino a farsi universo. Storie di un’unica donna che si fa moltitudine, e di una moltitudine che si frantuma in una sola voce, irripetibile.