di Giacomo Marchetti

Stéphane Courtois, Denis Peschanski, Adam Rayski, Boris Holban, ALLE ORIGINI DEI GAP, 3 voll. in cofanetto: Boris Holban, Ai miei compagni. La vera storia della “manodopera immigrata” nella resistenza francese raccontata dal capo militare degli Ftp-Moi di Parigi; Stéphane Courtois, Denis Peschanski, Adam Rayski, Il sangue dello straniero. Storia degli Ftp-Moi: la “manodopera immigrata” dei partigiani francesi; Centro di documentazione Wacatanca, Ftp-Moi: il ruolo dei comunisti nella resistenza europea. Introduzione a una storia rimossa, Red Star Press, Roma 2019, pp. 750, 39,00 euro

Durante l’occupazione tedesca dal 1940 al 1944, più di 1000 uomini, resistenti ed ostaggi, sono fucilati al Mont Valerién (Haut-de-Seine).
Nel giugno del 1960, il generale De Gaulle, inaugura il Memoriale della Francia combattente dove vennero giustiziati 22 dei 24 membri di uno dei più celebri gruppi di resistenti composti integralmente da immigrati – gli FTP-MOI – comandati dal comunista armeno Missak Manouchian, commissario militare degli FTP-MOI parigini.
Missak venne arrestato insieme al comunista polacco – ex-combattente delle Brigate Internazionali e a capo della resistenza parigina – Joseph Epstein, fucilato sempre al Mont-Vaérien l’11 aprile del 1944 poco più di tre mesi prima della liberazione di Parigi.
Nell’affiche rouge della propaganda nazista che ritrae alcuni membri del gruppo (dieci per la precisione, solo uomini e per la maggior parte resistenti di origine ebraica dell’Europa Orientale) sono presenti anche un comunista italiano: Spartaco Fontanot.
Questo gruppo di resistenti, che hanno svolto un ruolo del tutto significativo nella resistenza francese è stato autore di una delle più importanti azioni della resistenza parigina: l’uccisione di Julius Ritter, responsabile tedesco incaricato del lavoro coatto a benefico del Reich.
Quello della resistenza degli immigrati comunisti in Francia è una storia abbastanza misconosciuta in Italia – nonostante il notevole contributo dato dall’antifascismo italiano – , ed il lavoro del Centro di Documentazione Wacatanca, con la pubblicazione per la Red Star Press dei tre volumi raccolti in un cofanetto: “Alle origini dei Gap. Ftp-Moi: gli immigrati comunisti nella resistenza francese,” copre questa lacuna.
Il cofanetto è composto da tre volumi: un saggio introduttivo del Centro di Documentazione, la traduzione del libro di Boris Holban – comunista rumeno e responsabile militare Ftp-Moi della regione parigina – “Ai miei compagni” la storia di queste formazioni della resistenza ““il sangue dello straniero” scritta da due storici, S.Courtois, D.Peschanski e dal dirigente della resistenza A.Rayski, comunista polacco di origini ebraiche responsabile nazionale del Moi.

Facciamo un quadro del contesto repressivo in cui agì la resistenza comunista.
Con la vittoria “lampo” della Germania nazista e l’occupazione della Francia, il comando militare tedesco in Francia (MBF) instaura una repressione giudiziaria feroce e già dal giugno del 1940 gli avvisi di esecuzione per persone riconosciute colpevoli di sabotaggio o di aggressione ai soldati vengono fatti affiggere in strada.
A partire dal 1941 coloro che cercano di raggiungere le Forces Françaises Libres (FFL) del generale de Gaulle a Londra o i membri dei primi gruppi della resistenza smantellati vengono tradotti di fronte a questi tribunali militari.
Alla fine del luglio del 1941, più di centosessanta pene di morte sono state pronunciate ed un quarto eseguite.
Parallelamente a questa misura giudiziaria, dal settembre del 1940, il MBF mette in atto delle altre misure repressive per sanzionare “atti gravi” e dissuadere la popolazione contro ogni atto contro le forze d’occupazione.
La MBF decide la “detenzione amministrativa”, senza processo e senza limiti di tempo per coloro che sono ritenuti pericolosi e ricorre a vari tipi di rappresaglie collettive quando non riesce a trovare coloro che ritiene essere responsabili dei supposti atti criminosi come l’estensione del coprifuoco, sanzioni finanziarie, presa in ostaggio di persone dal profilo pubblico universalmente conosciute.
Il governo collaborazionista del Maresciallo Pétain mette in atto dall’estate del 1940 una politica di “Rivoluzione Nazionale” per lottare contro i “nemici interni” (comunisti, ebrei, massoni, ecc.).
Le punte di lancia di questa repressione sono la polizia e l’amministrazione francese, al zelante servizio del Reich.
Viene attuata una riforma della polizia nazionale e dei servizi di polizia “paralleli” e “speciali” vengono creati per lottare contro l’anti-France.
La Prefettura di polizia di Parigi, dove una Brigade Spécial anticomunista era stata instaurata sotto la III Republica, è rinforzata nel 1942 da una seconda Brigade Spécial (“BS2”) incaricata di dare la caccia ai “terroristi”, autori degli attentati, in un contesto oramai diventato insicuro per l’occupante tedesco.
Sono i militanti del Partito Comunista Francese – di fatto clandestino dal 1939 – i primi ad iniziare la strategia della lotta armata dopo l’invasione dell’Unione Sovietica con l’inizio dell’Operazione Barbarossa il 22 giugno del 1941.
Forse le pagine più belle del periodo che precede il lancio della lotta armata in Francia sono state scritte da Giuliano Pajetta nel suo diario “Douce France”.
Pajetta, ex braccio di Luigi Longo – ispettore delle Brigate Internazionali durante la guerra civile spagnola – era evaso dal campo di “Les Milles” nel febbraio del 1941 – dopo essere stato internato dalla Francia repubblicana in quello del Vernet insieme a molti altri combattenti repubblicani della guerra civile spagnola – per ricostruire la rete del Partito Comunista nella parte occidentale del Sud della Francia.
Longo svolgerà questo compito fino al suo arresto (prima di evadere nuovamente) nel maggio del 1942 insieme a Renzo Schiapparelli con in tasca proprio un documento del partito che indica un salto di qualità militare nell’azione dei comunisti.
I comunisti hanno la consapevolezza che “su questo ci siamo solo noi” per dirla con Pajetta, e che a loro “la storia” affida il compito di iniziare la lotta armata contro l’occupante e “rompere gli indugi”.
La repressione contro i comunisti messa in atto da nazisti e collaborazionisti sarà feroce.
Un giornalista nel dopoguerra tutt’altro che di simpatie comuniste definirà il PCF: “il partito dei fucilati”, tale era stato il sacrificio dei comunisti durante la guerra di liberazione.
Il 21 agosto del 1941, nella metrò di Barbès a Parigi, un commando di giovani comunisti guidato da Pierre Georges (il fututo colonello Fabien) abbatte un ufficiale della marina tedesca.
Un comunicato viene fatto affiggere sui muri che annuncia le rappresaglie imminenti.
Tutte le persone detenute da o per conto delle autorità tedesche nelle prigioni come nei campi sono ritenute “ostaggi” suscettibili della fucilazione.
Vichy crea lei stessa i suoi propri codici “d’eccezione”, le sezioni speciali, per giudicare i comunisti e la MBF fa pressione affinché questi vengano rapidamente condannati a morte.
Così il 27 agosto, tre membri del PCF clandestino vengono giudicati e ghigliottinati nella prigione della Santé.
Dopo un altro attentato, il 6 settembre, il MBF fa fucilare i primi tre ostaggi, inaugurando questa pratica di rappresaglia che si succederà di settimana in settimana sul Mont-Valérien nella regione parigina.
Il 16 settembre del 1941 Hitler, ritenendo questa politica ancora insufficiente, fa promulgare un decreto sui movimenti sediziosi comunisti nei territori occupati, ordinando che dai cinquanta a cento comunisti vengano sistematicamente giustiziati per ogni soldato tedesco morto. Il 28 settembre, il MBF emette un’ordinanza conosciuta con il nome di “codice ostaggi”.
Questo codice viene applicato quando dei resistenti comunisti abbattono il Feldkommandant di Nantes e un consigliere dell’amministrazione militare di Bordeaux il 20 e il 21 ottobre.
48 ostaggi a Châteaubriant, Nantes e al Mont-Valérien, poi cinquanta altri a Souge, vicino a Bordeaux, sono fucilati. Per la prima volta Vichy partecipa attivamente proponendo delle liste di persone da giustiziare tra i militanti comunisti internati.
Con l’avvicinarsi della “Soluzione Finale” – la cui celere organizzazione viene decisa dalla conferenza di Wannsee in Germania il 20 febbraio – il profilo del nemico interno nell’Esagono prende sempre più i connotati dei “giudeo-boscevichi”, come dimostra l’esecuzione per rappresaglia di cinquantuno ebrei – su novantacinque fucilati – per la morte di 4 soldati tedeschi.
E la Francia era stata tra le due guerre uno dei poli d’attrazione per l’immigrazione polacca spesso d’origine ebraica, oltre che per quella italiana prima “politica” e poi “economica”, rifugio degli intellettuali e antifascisti sfuggiti al nazismo con l’espansione della peste bruna, spesso di origine ebraica, della Mitteleuropa.
Il 1 giugno del 1942 il generale delle SS Karl Oberg è nominato “capo supremo delle SS e della Polizia in Francia”, facendosi carico della repressione anti-partigiana, e portando avanti la politica degli ostaggi fino all’autunno dello stesso anno, in cui viene abbandonata.
La politica repressiva viene intensificata, mentre gli accordi tra René Bousquet, segretario generale della polizia di Vichy, e il generale Oberg nell’agosto del 1942, assicurano il lavoro congiunto tra la polizia francese e le forze d’occupazione.
Il 10 luglio, le SS estendono lo status di “ostaggi” ai membri della famiglie dei resistenti ricercati!
Tra l’agosto e il settembre avvengono le esecuzioni più rilevanti di ostaggi durante l’occupazione.
Le SS assicurano ugualmente la deportazione dei comunisti nei lager nazisti, previsti per rappresaglia dal MBF dal dicembre del 1941: circa milleduecento ostaggi comunisti vengono deportati ad Auschwitz il 6 giugno del 1942, mentre dopo aver fatto partire i prime cinque convogli di persone d’origine ebraica le SS organizzano le deportazioni regolari nel quadro della “Soluzione Finale” con la stretta collaborazione degli apparati di Vichy, primo anello della catena delle deportazioni.
La politica degli ostaggi ad un certo punto viene ritenuta contro-producente vista la sua inefficacia, perché gli attentanti proseguono, ma molto di più perché il Reich non vuole inimicarsi ulteriormente l’opinione pubblica considerando la sete di braccia di cui abbisogna per lo sforzo bellico da inviare in Germania e quindi non vuole che la disapprovazione verso le esecuzioni di massa nuoccia al reclutamento della mano-d’opera francese per il lavoro in Germania.
A titolo eccezionale, cinquanta ultimi ostaggi sono fucilati al Mont-Valérien il 2 ottobre del 1943, in seguito all’attentato commesso a Parigi contro Julius Ritter, responsabile tedesco incaricato del lavoro coatto a benefico del Reich.
Nell’ottobre del 1942, le SS introducono in Francia una nuova forma di repressione: la procedura di detenzione di sicurezza (Schutzhaft) che permette di deportare in Germania, senza processo, tutte le persone sospette o colpevoli di attività anti-tedesca. Dal gennaio 1943 all’agosto 1944, circa 40.000 persone sono così deportate dai campi di Campiège e di Romainville verso i campi di concentramento nazisti.
Dopo l’occupazione della zona sud nel novembre del 1942 e di fronte alla moltiplicazione delle azioni della Resistenza, i tribunali militari intensificano la loro repressione condannando sempre di più persone alla pena capitale: dal gennaio 1943 all’agosto del 1944, più di millesettecento persone vengono fucilate.
Alla fine del 1943, nella prospettiva di un imminente sbarco alleato e temendo l’apertura di un “secondo fronte” alle spalle delle loro truppe a partire dal maquis, i tedeschi radicalizzano la loro politica anti-partigiana.
Ormai adottano una strategia di “guerra totale” contro la Resistenza e contro la popolazione che ritengono gli dia ospitalità, così ai processi sommari ed alle deportazioni, si aggiungono delle “operazioni di pulizia” condotte dai militari e dalla polizia contro il maquis e le zone reputate “infestate da bande terroriste”.
Nella propaganda collaborazionista, i resistenti sono dipinti come marionette al soldo di Stalin, mentre le forze dell’ordine collaborazionista danno la caccia ai partigiani e ai refrattari al servizio di lavoro obbligatorio (STO).
Nell’estate del ’44 la ferocia nazista s’accresce, commettendo dei veri massacri come nel villaggio di Oradou-sur-Glane o di Maillé.

Uno dei processi più spettacolari contro un gruppo di resistenti inizia alla fine del mese di febbraio del 1944, si tratta di un “gruppo” del FTP-MOI” al capo del quale vi è un armeno comunista – scampato al genocidio armeno perpetrato dal nascente stato turco – Missak Manouchian.
Smantellato dalla polizia di Vichy alla fine del 1943, questi uomini rappresentati in una famosa “affiche” di propaganda nazista come semplici banditi: “Des Libérateurs? La Libération par l’armée du crime!” in cui vengono mostrate le foto di dieci membri del gruppo – tra cui il comunista italiano francesizzato nel nome Fontanot – insieme alle foto dell’”arsenale” di cui disponevano e di alcune azioni del “gruppo”, 22 verranno condannati a morte e fucilati al Mont-Valérien.
Il quotidiano “Le Matin” del 19-20 febbraio, in prima pagina, a titoli cubitali titola l’articolo principale: “il tribunale militare tedesco giudica 24 terroristi che hanno commesso 37 attentati e 14 deragliamenti” aggiungendo “Un armeno, Missak Manouchian, dirigeva questa turba internazionale che assassinava e distruggeva per 2.300 franchi al mese”, instillando l’idea che i resistenti fossero della specie di sicari pagati da Mosca. Un altro quotidiano, “le Petit Parisien”, qualche giorno dopo riprenderà il tema dei sicari con una vignetta satirica.

Per ciò che concerne il movimento comunista in Italia, l’esperienza della guerra civile spagnola maturata nelle Brigate Internazionali prima e tra le fila della resistenza francese saranno fondamentali per la formazione di quadri politico-militari per la lotta di Liberazione in Italia, in particolare per l’esperienza gappista in città che sarà l’apripista alla lotta “senza quartiere” all’occupante nazista e al fascismo.