di Walter Catalano

«L’esistenza è un affar pieno di senza,

Di rinunce, d’affanno e d’astinenza,

Ma io dico al lettore che ha sapienza

Quest’adagio ripeti: Pazienza e Fantascienza».

L’autore di questi versi amaramente ironici ci ha lasciati il 15 dicembre del 2018 dopo una breve e improvvisa malattia. Giuseppe Lippi è stato il più coerente intellettuale organico del nostro paese. Organico, si badi bene, non ad un partito, ad un’ideologia o a una classe sociale, ma organico al Fantastico stesso, inteso come visione del mondo e categoria filosofica. Già i versi citati sono molto espliciti in proposito ed enunciano una coesa dimensione esistenziale più ancora che estetica, richiamando da vicino il piglio ugualmente ironico e tragico, permeato di cultura raffinata e popolare insieme, che era stato di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, le figure letterarie a lui forse più affini, che tra l’altro lo avevano preceduto alla direzione di Urania, il maggiore periodico italiano dedicato alla fantascienza e alla narrativa fantastica.

Lippi è rimasto alla conduzione della storica rivista mondadoriana perfino più a lungo di loro, dal 1990 a un paio di anni fa, quando qualcuno ha deciso che un curatore era superfluo per tutte le pubblicazioni da edicola della casa editrice e lo ha allontanato, determinando il crollo esponenziale della qualità della rivista ridotta ormai al fantasma di se stessa. Lippi nel frattempo si era occupato, sempre per Mondadori – dopo aver curato per decenni tutti gli Oscar fantastici – della splendida collana illustrata I Draghi, dove aveva tradotto e curato i volumi dedicati a Edgar Allan Poe, a Clark Ashton Smith, ai fumetti horror di Creepy (in italiano lanciato nei primissimi anni ’70 sotto il nome di Zio Tibia) – suo ultimo lavoro – e ovviamente all’autore di cui da sempre era stato il massimo cultore e traduttore italiano: H.P. Lovecraft. La sua edizione di tutti i racconti dello scrittore di Providence, uscita nel 1989 in quattro volumi, è quella definitiva, così come le sue traduzioni: molti altri ci si sono provati, ma nessuno l’ha mai eguagliata.

Anche sul piano interpretativo attinente al discusso autore statunitense la posizione di Lippi è stata ineccepibile: pur cercando forme di dialogo piuttosto che di scontro, e non opponendosi apertamente alle strumentalizzazioni politiche da sempre in atto nei riguardi di Lovecraft (e di Tolkien, e del fantasy e horror in generale), non si è mai confuso con il bestiario fascio-tradizionalista dei fantasisti evolomani, sempre pronti a sfruttare ogni minima occasione per ritagliarsi la loro pretesa e presunta area di egemonia culturale, e ha mantenuto una sua posizione distinta e autonoma, non conflittuale ma mai connivente nei loro confronti. D’altra parte non avrebbe potuto essere altrimenti, Lippi aveva iniziato la sua carriera a Trieste negli anni ’70, collaborando con il Festival del Cinema di Fantascienza e con La Cappella Underground, per la quale aveva curato due rassegne cinematografiche e due cataloghi fondamentali: Fant’Italia – la prima esposizione organica del gotico e del peplum cinematografico italiano – e Fant’America – dedicata ai classici di Todd Browning e Lon Chaney, e fondando Il Re in Giallo, la prima fanzine interamente dedicata all’horror e al weird. Ma soprattutto era stato insieme a Vittorio Curtoni e Danilo Arona una delle colonne portanti di Robot, la più importante rivista da edicola di fantascienza, che aveva voluto e saputo affrontare il tema anche da un punto di vista critico, sociale e politico, scatenando le prime accese polemiche contro i fantafascisti.

Negli anni seguenti Giuseppe Lippi, che era uomo pacifico e spiritoso, aveva preferito sostituire qualsiasi forma di polemica con un sorriso, talvolta tenero, talvolta bonariamente sarcastico, spesso enigmatico. E con quel sorriso ce lo ricorderemo sempre; più poveri, molto più poveri, costretti a fare a meno del suo gusto, del suo umorismo, della sua cultura.

 

PS. L’intera redazione di Carmilla si associa al dolore per la morte di un vecchio amico. (V.E.)