di Iaia De Marco

 

Francisco Soriano – Claudia Valsania, Virgilia D’Andrea. Una poetica sovversiva, Nova Delphi 2024, pp. 268, 14,25 euro

Decenni di meticolosa e riparativa storia delle donne hanno fatto riaffiorare dalle ceneri della sistematica elisione culturale letterate, scienziate, politiche, pensatrici che, in ogni tempo e pur nei limiti socialmente loro assegnati, hanno rappresentato una declinazione importante e, spesso, differente del sapere e del saper essere.

Virgilia D’Andrea (Sulmona 1888 – New York 1933) è una di queste luminose figure di donna, riscattate dalle ricerche di studiose e studiosi che muovono da una memoria d’amore scritta. Armando Borghi, compagno di lotte e di vita di Virgilia, ne tracciò un profilo così denso da rendere difficile lo scolorire nella dimenticanza, un lascito (anche) sentimentale per le generazioni future.

Il volume di Francisco Soriano e Claudia Valsania adotta dichiaratamente la prospettiva dell’espressione letteraria per ricostruire la dimensione plurima della vicenda umana di una combattente per la libertà e della sua scrittura sovversiva e desiderante (p. 9), senza trascurare gli aspetti biografici, relazionali, storici e politici, considerati nella traduzione poetica di Virgilia D’Andrea.

Di fatto, costituisce una summa degli studi e degli scritti di e su Virgilia, raccogliendo, citando e indicando pressoché tutti i materiali originali disponibili e le fonti.

L’organizzazione del testo si articola in una sorta d’introduzione in tre movimenti a cura di Giorgio Sacchetti (Brace ardente), Claudia Valsania (Un caso letterario) e Francisco Soriano (Cenni biografici) per poi dipanarsi in tredici capitoli che mettono a fuoco ciascuno un periodo, un’intenzione, una relazione, una figura, un’attività, significativi nella vita di Virgilia. Vale la pena citarne i titoli, ché da soli rendono la modalità narrativa perseguita: “La ragazza che fu”, “La vita degli altri”, “La ricerca di un altrove”, “Pietro Gori”, “Ottorino Manni”, “Veglia”, “Sante Pollastro”, “Maramaldo commenta Ferrucci”, “Michele Schirru”, “Richiamo all’Anarchia”, “Tormento”, “L’ora di Maramaldo”, “Virgilia D’Andrea e Armando Borghi”.

Le pagine dalla 73 alla 151 sono dedicate a un’antologia di articoli apparsi su Veglia, rivista anarchica da lei ideata e diretta, realizzata insieme con i suoi compagni di esilio in Francia, una rivista bella, ampia, luminosa. Che dica un poco della nostra angoscia […] Che sia l’eco di tutte le nostre voci (p.73). La pubblicazione rispecchiò il desiderio di D’Andrea, attirando numerose e importanti collaborazioni artistiche, praticando una critica sociale attraverso il gesto artistico concepito come sovversione dell’ordine costituito. L’esistenza di Veglia durerà otto numeri, dal maggio 1926 al novembre del ’27. Nel secondo, ampio spazio è dedicato ai tragici eventi legati al caso Sacco e Vanzetti, i martiri di cui aveva già onorato la memoria nel suo Torce nella notte, con il commento grafico di una xilografia di Gyula Zilzer raffigurante il volto di un uomo rappreso in una smorfia straziata e ribelle, dal titolo “Tutta la vostra voce per Sacco e Vanzetti”. Ma ciò che in questo stesso numero attira in particolare l’attenzione del lettore e della lettrice è l’articolo a firma di Emma Goldman, che traccia le biografie di alcune donne protagoniste della stagione rivoluzionaria dei movimenti di liberazione dall’oppressione zarista, gettando una luce di conoscenza che raggiunge i nostri giorni su nomi e azioni di donne, altrimenti dimenticati. Rilevante anche la presenza di un contributo di Madame Séverine, al secolo Carolyne Rémy de Guebhard, scrittrice e giornalista francese, femminista e libertaria, sempre impegnata nella denuncia e nel contrasto di ogni ingiustizia sociale, che qui scrive sulla relazione tra fascismo e imperialismo, conducendo una raffinata analisi che il ricorso a vivide metafore rende incisiva oltre che elegante.

È appena un esempio tratto dalla puntuale rassegna degli otto numeri di Veglia, tutti di estremo interesse per contenuti e intensamente moderni per forma, completati in appendice (Galleria) dalla riproduzione di alcune delle opere pubblicate o utilizzate come copertina.

Qualcuno ha scritto che l’anarchia è la più poetica delle ideologie e, dunque, Virgilia sembra essere la naturale cantora di quella che lei stessa definisce azzurra chimera. “Aveva un’anima gentile, – scrive Armando Borghi – e dava colore e vita di poesia e di pietà ad ogni cosa che le vivesse accanto” (p. 15) e Claudia Valsania afferma che “Virgilia è poetessa in quanto ha in sé della poesia il senso innato del bello e insieme del buono, l’estetica e la sua profondità etica”, ma certo ha affinato i propri strumenti espressivi sulle opere di Leopardi, Carducci, Pascoli, Rapisarda, Negri, Gori, e imparato a maneggiarli, mai con mestiere ma sempre con la tensione al coinvolgimento emotivo che convince e trascina all’impegno. La passione politica, la lotta per la libertà e la giustizia sociale, la solidarietà per gli ultimi da ultima sostanziano tanto i versi che la prosa dei discorsi e degli articoli. Nella prefazione a Tormento, silloge poetica pubblicata nel1922, Errico Malatesta scrive “Ella si serve della letteratura come di un’arma ; e nel folto della battaglia, in mezzo alla folla e in faccia al nemico […] lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta” (pp.203-204). E lei stessa, provata da una lunga malattia che l’aveva allontanata dalla militanza attiva e che, di lì a breve l’avrebbe uccisa, introducendo Torce nella notte, scrive: “Possa questo mio lavoro darmi l’illusione di colmare in parte la lacuna del mio penoso e forzato silenzio”. Per Claudia Valsania “il pensiero di Virgilia è poetico, e lo è la sua natura” e, insieme con Francisco Soriano, sembrano talmente convinti di ciò che il libro è, in qualche modo mimetico, assonante e consonante con lo spirito e la tonalità espressivi di colei a cui dedicano questo lavoro. Una certa qualità poetica, sorta di omaggio appassionato, risuona tra le pagine, un’eco che afferrano come un testimone per, a loro volta, dare colore e calore alla memoria di una esistenza lontana, breve e intensa, che torna a vibrare in chi legge. Per esempio, commentando un passaggio di Torce nella notte, scrivono: «”Le mani che strinsero le mie ebbero lo stesso calore” è un’espressione di straordinaria umanità: ci lascia percepire il significato di un irremovibile consenso e di un’eterna alleanza fra gli esseri umani» (p. 52); o anche: «in Virgilia la parola avanza tagliente come la daga di un combattente persiano» (p.53); e ancora: «Virgilia è assorta nel suo mondo letterario, nel suo immaginario poetico, mai distinto né distante dalla realtà, compiutamente immerso nell’impegno civile, nella lotta e nell’utopia di un mondo migliore. La scrittrice ha progettato e disegnato l’ignoto, con le parole che erano il riferimento di una qualità umana e letteraria fuori dalla comune visione delle cose» (p.57).

Forse Fernando Pessoa non sbagliava affermando che la letteratura, come tutta l’arte, è la dimostrazione che la vita non basta.