di Sandro Moiso

Martin Cennevitz, Verrà il giorno. La origini del Primo maggio, Elèuthera 2025, pp. 200, 18 euro

Right behind you, I see the millions
On you, I see the glory
From you, I get opinion
From you, I get the story

(Tommy – Pete Townshend & the Who, 1968)

In tempi di insignificanti concertoni per il Primo Maggio, in cui la miseria culturale e musicale si traveste da impegno politico e sindacale, vale la pena di girare ancora il coltello nella piaga per ricordare gli eventi da cui lo show televisivo nazionale trae origine, probabilmente senza nemmeno lontanamente conoscerli.

Una giornata di lotta e mobilitazione più che una festa, quale almeno dovrebbe essere, che affonda le sue radici nella radicale determinazione degli operai immigrati, quasi tutti di origine tedesca o irlandese, che alla fine dell’Ottocento si opposero, con ogni mezzo necessario, ad uno sfruttamento capitalistico che disvelava il vero volto di quella che avrebbe dovuto essere la Land of Freedom.

Il romanzo saggio, o il saggio “romanzato”, di Martin Cennevitz appena pubblicato da Elèuthera, ma uscito in Francia nel 2023 con il titolo Haymarket. Récit des origines du 1er Mai che rende meglio l’idea di racconto che lo pervade, porta il lettore a toccare con mano sia i presupposti che lo sviluppo degli avvenimenti che portarono alla condanna e all’esecuzione di coloro che sarebbero passati alla storia come i “martiri di Chicago”: Albert Parsons, Louis Lingg, August Spies, Adolph Fischer e George Engel. Ai quali occorre aggiungere i tre condannati all’ergastolo, e in seguito graziati: Michael Schwab, Oscar Neebe e Samuel Fielden.

Per raggiungere questo obiettivo, l’autore, che lavora come insegnante a Tours, in Francia, si è avvalso degli appunti autobiografici scritti in carcere dagli stessi condannati mentre erano in attesa dell’esecuzione, oltre che di un’attenta ricostruzione dei fatti storici che formano l’ossatura della sua ricerca, dando in questo modo vita ad una narrazione corale che inizia ben prima dei fatti di Haymarkket.

La storia della città fenice, come Chicago è stata denominata dopo la sua ricostruzione in seguito al grande incendio del 1871 che ne distrusse gran parte, affonda le sue radici in un processo di spossessamento che ha inizio con la cacciata dei nativi Potawatomi che abitavano quei territori da ben prima che i Wasi’chu, gli uomini bianchi, si affacciassero sulle rive dei lago Michigan sulle cui sponda sudoccidentale sarebbe sorta.

Nel 1833 Chicago contava trecentocinquanta abitanti. Sette anni dopo, ce ne sono quattromila in più […] Nel 1850 a Chicago risiedono trentamila persone, e in città cominciano ad arrivare immigrati tedeschi […] Nel 1860, piu di centomila persone abitano in città. Ventimila sono tedeschi. Chicago è sempre più rumorosa […] Via via che il paese si copre di binari, strade, ponti, veicoli, manifatture e fabbriche, le foreste arretrano e la selvaggina scompare. La città si libera ogni giorno di tonnellate di rifiuti che discendono su chiatte i fiumi Chicago e Calumet per essere gettati nel lago Michigan. Nel porto galleggiano pesci morti.
[…] Potawatomi significa «Coloro che conservano il fuoco». Il fuoco, quell’antichissimo segreto che aveva illuminato il cuore della nazione amerindia, che ora brucia nei forni e nelle caldaie di Chicago. Il fuoco che portando a ebollizione l’acqua produce il vapore e aziona le turbine. Il fuoco che aggregando le particelle di argilla in mattoni permette di erigere edifici. Il fuoco che fondendo il minerale dà forma ai ponti, alle ferrovie, agli attrezzi, alle macchine. Le acciaierie hanno bisogno del fuoco primordiale. Ma hanno bisogno anche dell’acqua. E del carbone che si estrae dalla terra. Occorrono sempre più fabbriche, acqua e miniere per fondere, trasformare, edificare, produrre, vendere…per plasmare un nuovo mondo.
Siamo nel 1870. La città si è espansa ancora. Ora raggiunge le trecentomila persone. E questa crescita sembra inarrestabile. Ma nell’ottobre 1871 Chicago si trasforma in un immenso braciere. Le case di legno bruciano come fiammiferi. La popolazione fugge precipitosamente davanti alle fiamme. L’incendio devasta la citta, uccide un centinaio di persone e ne lascia piu di centomila in mezzo alla strada, perlopiù lavoratori poveri. Il sindaco Roswell B. Mason dichiara la legge marziale per impedire sommosse e saccheggi. La solidarietà si mobilita, soprattutto in Europa. La Chicago Relief and Aid Society raccoglie 5 milioni di dollari. Ma alcuni ricchi industriali, come George Pullman o Marshall Field, vengono accusati di distoglierne una parte a profitto delle loro imprese. Il cinismo trionfa. Chicago e il grande Athanor1 del capitalismo. Vi si forgiano le più grandi fortune. E proprio come la fenice, Chicago non puo perire. Il fuoco l’ha fatta nascere. Il fuoco la farà rinascere.
La città diventa un immenso cantiere. Verrà ricostruita in pochi anni. Attenendosi alla loro concezione igienista e razionalista, gli urbanisti tracciano le strade a scacchiera, lasciandosi alle spalle la sporcizia dei vecchi quartieri. Ma i venti, gli stessi che avevano attizzato le fiamme del grande incendio, si ingolfano in quelle strade e sembra che non facciano altro se non portare freddo. Perché l’aria di Chicago rimane viziata. I porti e i macelli fanno planare sulla citta un odore nauseabondo. Il fumo grigiastro e la fuliggine hanno nuovamente invaso la città, sporcando tutto, ingrigendo le facciate, ostruendo i polmoni. Nel 1873 una nuova crisi colpisce il paese. La banca Jay Cooke & Co. fallisce, migliaia di fabbriche chiudono, la disoccupazione esplode. Con 5 centesimi al giorno, a malapena gli operai riescono a sopravvivere. Talvolta i salari non vengono neppure versati. E quelli che sbuffano vengono immediatamente rimpiazzati. L’inverno del 1873 è particolarmente rigido. Un vento glaciale soffia sull’Illinois. Ma un altro vento spazza Chicago. A dicembre, quasi ventimila persone convergono verso il municipio per reclamare il denaro della Chicago Relief and Aid Society che è stato rubato. Alcuni striscioni minacciano: «Pane o sangue». Vogliono cibo, vestiti, alloggi… riceveranno manganellate. Il sindaco manda la polizia e la manifestazione viene dispersa con la violenza. Gli operai comprendono ben presto che non ci si può limitare a chiedere quella dignità e quel futuro migliore che reclamano2.

E’ un quadro, quello tratteggiato da Cennevitz, che non può non rinviare immediatamente a La situazione della classe operaia in Inghilterra di Friedrich Engels (1845), al di là delle differenti posizioni teoriche del francese e del sodale di Karl Marx e in cui al posto di Chicago si parla di Manchester. Ma occorre partire da questa ricostruzione, in cui la distruzione dell’ambiente, che quasi sempre ricade principalmente sulle spalle dei poveri, si accompagna a quella dei nativi e delle vite dei proletari immigrati in nome dell’accumulazione capitalistica, per comprendere le origini di un movimento operaio combattivo e determinato cui sia lo Stato che i padroni e i loro infami giornali dichiararono una guerra spietata e senza quartiere ec he proprio con i fatti di Haymarket Square raggiunse il culmine.

Gli operai e i loro rappresentanti coinvolti e condannati in seguito erano tutti, escluso Albert Parsons, immigrati giunti negli Stati Uniti dopo la Guerra di secessione, forse attratti, oltre che dalla promessa di trovar lavoro, anche dalla diffusione di un’idea di libertà individuale e sociale che una volta giunti sul suolo americano avrebbero rapidamente scoperto essere nient’altro che una miserabile invenzione, un’autentica, con linguaggio odierno, fake news.

Mentre Marx ed Engels avevano chiesto ai rappresentanti dei lavoratori e agli operai tedeschi emigrati in America del Nord di combattere in funzione dell’evoluzione di un più moderno sistema di relazioni sociali e di lavoro3, questa non aveva fatto altro che ingigantire gli appetiti degli industriali del Nord senza l’obbligo di mantenere in seguito alcuna promessa. Compresa quella, fatta agli schiavi “liberati” di donare loro «quaranta acri di terra e un mulo» per dare inizio ad una nuova vita come piccoli proprietari e coltivatori di terre, di cui invece si sarebbero appropriati i carpetbagger4. Come scoprirà Samuel Fielden, dopo aver percorso in lungo e in largo gli stati del Sud alla ricerca di un lavoro giornaliero.

Le sue speranze si scontrano rapidamente con la dura realtà. Dopo aver lavorato per qualche tempo in una fabbrica di cappelli di Brooklyn e in un’officina tessile di Providence, finisce poi in una fattoria dell’Ohio per raggiungere infine Chicago, dove partecipa alla costruzione dell’Illinois and Michigan Canal. […] Nell’autunno successivo, s’imbarca su un battello a ruota e scende lungo il Mississippi verso sud, dove l’inverno offre più opportunità di guadagnare un po’ di denaro come
lavoratore giornaliero. Missouri, Tennessee, Arkansas, Mississippi, Louisiana… quello che era un fervente antischiavista scopre che da nessuna parte l’ex schiavo ha ottenuto i 40 acri e il mulo promessi dagli unionisti. Molti anni dopo, racconterà l’esperienza di un nero da poco liberato che aveva incrociato in Tennessee. Come molti altri, anche lui aveva proposto i suoi servizi a un proprietario terriero nella speranza di una giusta remunerazione. Una volta effettuato il lavoro, l’ex schiavo aveva dovuto rimborsare il prestito e il cibo degli animali da tiro, la locazione del terreno e gli attrezzi, così che si era ritrovato debitore ed era stato costretto a lavorare gratuitamente per il suo ex padrone. Il mito della grande nazione libera e fraterna crolla. Samuel Fielden riparte per Chicago. Al suo ritorno, lavora alla ricostruzione della città in gran parte devastata dall’incendio del 18715.

I miti di giustizia, uguaglianza e libertà connessi all’immagina dell’America si sgretolano in fretta agli occhi di chi debba sopportarne leggi (inique) e rapporti e orari di lavoro. Ed è in questo contesto che si svilupperà un vasto movimento di richiesta dela giornata lavorativa di otto ore che sarà uno dei primi ad unificare una classe operaia ancora divisa per nazionalità, categorie e sindacati di mestiere più simili alle corporazioni medievali che a quelli moderni, che da lì prenderanno le mosse. Nulla da stupirsi quindi se tra i “martiri” l’americano Parsons6 sarà anche membro della Massoneria cui erano collegati i Knights of Labor, una delle prime organizzazioni dei lavoratori americani, di cui faceva parte.

Durante la guerra di Secessione, dal 1861 al 1865, Chicago diventa un centro nevralgico dell’economia e le sue fabbriche si dimostrano indispensabili per sostenere lo sforzo bellico degli unionisti. Il Nord ha bisogno di viveri e di armi per le sue truppe; di carne e di acciaio. Ha bisogno della carne dei mattatoi di Chicago per arrivare alla vittoria. E gli stabilimenti Armour lo aiuteranno. In tempi rapidi, l’uomo d’affari Philip Armour mette in piedi un sistema che assicurera una redditività massima alla sua impresa.
[…] Le mobilitazioni operaie si vanno addensando in varie fabbriche, ma soprattutto in questi mattatoi. Grazie alla guerra di Secessione e al suo imperioso bisogno di viveri, i padroni hanno ceduto qualche acro di terra. Bisogna pur mostrare che la guerra non serve solo ad arricchire i Vanderbilt, gli Armour, i Carnegie, i Rockfeller o i Morgan. Occorre provare che non si muore per niente sui campi di battaglia. E’ necessario che la vittoria dell’Unione sia quella del popolo che lavora per una certa idea di America, per una certa idea di giustizia e libertà. Così, dopo la vittoria del Nord, molti Stati adottano ufficialmente la giornata di otto ore, incluso il Congresso per tutti i dipendenti statali. Ma queste misure non diventeranno mai esecutive 7.

Il riferimento ai macelli di Chicago è importante sia dal punto di vista economico che politico e, forse soprattutto, simbolico. Non soltanto lì si sviluppò nei fatti il lavoro “a catena” che poi avrebbe raggiunto la sua forma più smagliante con la catena di montaggio di Taylor e Ford, ma anche perché da lì sarebbero scaturite le mobilitazioni, e la repressione poliziesca, che avrebbero portato ai fatti di Haymarket Square del 4 maggio 1886. Ma il fatto che ancora oggi rappresentino uno dei luoghi di lavoro più pericolosi per numero di incidenti tra i dipendenti di tutto il territorio degli Stati Uniti non fa altro che rafforzare l’immagine di uno sviluppo capitalistico che è sempre passato come un rullo compressore su ogni forma di vita, umana e animale, senza alcun rispetto per l’ambiente e la società.

Anche per questa chiarezza di visione, forse, il movimento de lavoratori statunitensi, ancor prima di darsi organizzazioni politiche e sindacali comuni, si attrezzò militarmente dando vita a milizie armate aventi il compito sia di proteggere le manifestazioni e gli scioperi che di reagire adeguatamente alla violenza dello Stato, delle milizie private e della polizia.

Negli Stati Uniti, l’appartenenza a una milizia era una cosa piuttosto comune dopo la guerra d’Indipendenza e testimoniava del patriottismo dei suoi aderenti. A Chicago, le milizie operaie tedesche, irlandesi o ceche prendono slancio dopo il grande sciopero del 1877, in risposta alla repressione feroce condotta dalle guardie private assoldate da Marshall Field o George Pullman. Soltanto a Chicago, la Lehr und Wehr Verein8 conta diverse centinaia di membri suddivisi in quattro sezioni che si riuniscono ogni settimana per la formazione, per le esercitazioni e talvolta persino per le simulazioni di scontri. Su pressione degli imprenditori piu ricchi, la Corte suprema dell’Illinois vieta le sfilate armate che non abbiano avuto l’autorizzazione del governatore. Alcuni gruppi vengono sciolti e altri passano alla clandestinità9.

E’ anche per questo che i giornali di Chicago più vicini agli interessi degli industriali si scatenano, in ogni occasione, nell’indicare i militanti rivoluzionari come individui da eliminare oppure giungendo a suggerire di avvelenare i poveri per superare la crisi suscitata dall’eccessiva disponibilità di manodopera impossibilitata a trovare impiego.

Così, ogni volta, l’azione degli agenti della Pinkerton, della polizia o della guardia nazionale si fa sempre più violenta, causando morti e feriti tra i manifestanti, Che pure vanno avanti con le loro richieste, adeguandosi al livello di scontro messo in atto dalla parte avversa. Ma anche se tra le differenti organizzazioni politiche e sindacali non c’è sempre accordo sull’uso o meno della violenza, non sarà questo a guidare i giudici nel condannare gli otto militanti cicagoani.

Perché per il padronato non si tratta soltanto di una questione di posizioni politiche espresse o di azioni effettivamente svolte, ma solo ed esclusivamente di classe. E chi appartiene a quella proletaria, se resiste agli abusi anche soltanto esprimendo le proprie idee, deve essere punito duramente, schiacciato, eliminato una volta per tutte. Come già era successo ai contadini tedeschi e al loro capo riconosciuto: Thomas Muntzer.

August Spies, ad esempio, secondo il procuratore che conduce l’accusa «sarebbe un “barbaro”, un “selvaggio”, un “analfabeta”, un “anarchico ignorante dell’Europa centrale” incapace di “comprendere lo spirito delle libere istituzioni americane”», così nella sua risposta, il militante di origini tedesche, oltre a citare Goethe, Paine, Jefferson ed Esopo «Fa riferimento anche a Muntzer che, accusato di aver capeggiato una “banda di contadini saccheggiatori e assassini”, pagò con la vita l’essere insorto contro l’ingiustizia. A distanza di secoli, gli stessi epiteti vengono ancora utilizzati dai potenti per calunniare coloro che hanno osato sfidarli»10.

Così il processo, condotta iniquamente e vergognosamente sotto lo sguardo attento dei maggiori imprenditori di Chicago, potrà avere un solo finale, nonostante i rinvii, gli appelli e le mobilitazioni oltre che lo sforzo degli avvocati difensori e in particolare dell’avvocato Black, eroe rispettato della Guerra di secessione. Forse, come oggi a Gaza, per aver per un attimo smascherato i potenti e i loro vili scherani.

Dopo l’esplosione dell’ordigno e la susseguente sparatoria su Haymarket Square: «I poliziotti sono scioccati. Quasi settanta agenti colpiti, sei dei quali gravemente, e uno di loro e morto sul posto. Sono stati colti di sorpresa. Sono andati in panico e hanno sparato in ogni direzione, colpendo anche i loro colleghi. Alcuni sono persino fuggiti. E ora, dopo l’umiliazione, in questi uomini abituati a essere temuti cresce il risentimento»11.

Fermiamoci qui, anche se la ricchezza di dati e di personaggi che circondano i protagonisti degli avvenimenti sono davvero tanti ed occorre ricordare come la lotta per la liberazione delle donne e la lotta di classe siano necessariamente e indissolubilmente intrecciate, come ha modo di riflettere Emma Goldman in una delle pagine di Cennevitz in cui viene descritta la sua visita, nel settembre del 1898, all’ormai morente Schwab, per la tubercolosi contratta durante la detenzione.

Sono ormai molti minuti che Emma Goldman tace. Anche lei ripensa alla sua giovinezza, quando all’età di tredici anni deve cominciare a lavorare, mentre avrebbe dovuto studiare […] Dovunque ritrova l’atmosfera feudale dei laboratori di manifattura nei quali le donne diventano prede. Quando, davanti agli occhi servili degli operai, che subito abbassano lo sguardo sul loro lavoro, qualche ragazzina viene trascinata via dal padrone, tutti sanno bene cosa significa. Una madre trattiene le lacrime sotto le palpebre affaticate, la mascella di un padre si contrae, un fratello stringe i pugni nelle tasche. Emma Goldman ha quindici anni quando un caporeparto la violenta. Lei pensa con disgusto a quell’ «incontro fisico brutale e doloroso»12.

La forma di romanzo-saggio permette a Cennevitz di dare vita a una ricostruzione storica di parte che non ha bisogno della presunta obiettività di una ricerca scientifica che troppo spesso ha dimostrato la sua parzialità e neppure di una oggettività paralizzante per il pensiero e per l’azione, contro la quale ha strenuamente lottato Emilio Quadrelli nel corso del suo lavoro13. Suggerendo così, indirettamente, che la storiografia di oggi e domani o sarà radicale e destrutturante oppure altro non potrà fare che certificare l’irrimediabile continuità del modo di produzione dominante. Una radicalità che non va, però, confusa con la semplificazione di carattere ideologico, ma rappresentare un punto di vista “altro” rispetto al discorso scientifico dominante. Anche nei confronti di quello che si pensa essere di “sinistra”.

Da questo punto di vista vale la pena di sottolineare, all’interno del libro di Cennevitz e dei fatti storici narrati, come i tre “ergastolani”, che tali furono per aver accettato di scrivere una lettera in cui prendevano le distanze non solo dall’attentati, cui tutti si dichiararono comunque estranei, ma soprattutto dalla professione di violenza esercitata in alcuni articolo e volantini pubblicati nei giorni precedenti il 4 maggio, mai furono visti dagli altri condannati e da buona parte del movimento anarchico dell’epoca come dei traditori. Prova ne sia la commossa visita di Emma Goldman al capezzale di Michael Schwab di cui si è già parlato poc’anzi. All’interno di un proletariato che ancora ricordava come fosse “l’arte della dissimulazione tanto necessaria nella vita” dei poveri14, motivo per cui una posizione intransigente nei confronti dell’avversario, ma ben diversa da quelle espresse frettolosamente dalle ideologie degli ultimi decenni per separare i “puri” dai traditori”, non poteva dimenticare che la militanza politica soggiace a leggi che sfuggono materialmente a quelle dell’ideologia e al suo preteso e freddo razionalismo etico.

Così, più che il Primo Maggio ufficiale, oggi devastato e prostituito dall’azione dei sindacati ufficiali e dai media, a ricordare i martiri di Chicago possono essere piuttosto azioni come quelle citate, tra le tante altre, alla fine del libro.

5 ottobre 1970. In piena notte, una violenta detonazione frantuma centinaia di vetri nella zona intorno a Union Park. Un anno dopo un precedente attentato con caratteristiche simili, i Weathermen attaccano di nuovo a colpi di dinamite la statua che omaggia i poliziotti caduti a Haymarket Square. L’esplosivo recide di netto una gamba di bronzo che viene ritrovata cento metri piu in la, mentre la statua giace sul dorso lungo la strada, rivolgendo il suo ridicolo gesto di autorità alle impassibili stelle.

1° maggio 2020. A Islamabad i manifestanti non sono numerosi quel giorno. A causa della pandemia di coronavirus, ma anche perché ci vuole molto coraggio per scendere in strada in Pakistan. Alla testa del raduno, una decina di donne rimangono immobili in un piccolo cerchio di gesso bianco tracciato sull’asfalto. Alcune sono velate, altre no. Tutte indossano un’ampia djellaba e una mascherina chirurgica, e inalberano un cartello su cui campeggia uno slogan o il ritratto di un prigioniero politico del quale chiedono la liberazione. Una di quelle donne brandisce un grande pannello rosso sul quale compaiono otto volti che vengono dal passato, quelli di Parsons, Spies, Schwab, Fielden, Neebe, Fischer, Engel e Lingg.
Perché anche nel crepuscolo di un venerdi nero appare sempre un orizzonte luminoso su cui s’intravedono forme di vita piu degne ancora da conquistare.


  1. Athanor (o Atanor) in alchimia è il termine che viene usato per designare il forno il cui calore serve a eseguire il procedimento della digestione alchemica [N.d.T.].  

  2. M. Cennevitz, Verrà il giorno. La origini del Primo maggio, Elèuthera 2025, pp. 12-16  

  3. In proposito si vedano: K.Marx, F. Engels, De America vol.1°. La guerra civile, a cura di E. Forni, Silva Editore, Roma 1971; K. Oberman, Joseph Weydemeyer. Pioniere del socialismo in America 1851- 1866, Edizioni Pantarei, Milano 2002; F. A. Sorge, Il movimento operaio negli Stati Uniti d’America 1783–1892, Edizioni Pantarei, Milano 2002 e H. Schlüter, La prima internazionale in America. Un contributo alla storia del movimento operiao negli Stati Uniti, edizioni Lotta Comunista, Milano 2015.  

  4. Carpetbagger, letteralmente colui che porta una borsa di tessuto dozzinale, è un peggiorativo usato dagli abitanti del Sud degli Stati Uniti per descrivere gli opportunisti e i profittatori che dopo la guerra civile calarono come avvoltoi dal Nord e che furono percepiti come sfruttatori della popolazione locale per il proprio guadagno finanziario, politico o sociale, approfittando dello stato caotico dell’economia locale dopo la guerra. Di fatto, il termine carpetbagger fu spesso applicato a tutti i “nordisti” che erano presenti nel sud durante l’era della Ricostruzione (1865-1877).  

  5. M. Cennevitz, op. cit., pp. 178-179.  

  6. Albert «era fiero dei suoi antenati, passeggeri del secondo viaggio del Mayflower, e dei suoi avi eroi della guerra di Indipendenza. Suo padre dirigeva una modesta fabbrica di scarpe a Montgomery, in Alabama, e aveva sposato una metodista devota che gli avrebbe dato dieci figli. Albert era il più giovane, e quando all’età di cinque anni diventerà orfano, sarà suo fratello William, di vent’anni più vecchio, ad accoglierlo nella sua casa. Sarà l’amorevole zia Esther, una schiava che lo alleva come una madre, a occuparsi di lui,[…] ed è dunque in Texas che Albert crescerà.» (Cennevitz, p. 20)  

  7. Ibidem, pp. 55-57.  

  8. Milizia composta da operai di origine tedesca e militanza socialista o anarchica  

  9. Cennevitz, op. cit., p. 114.  

  10. Ibidem, pp. 135-136.  

  11. Ivi, p. 122.  

  12. Ibid., pp. 88-89.  

  13. Si veda in particolare: E. Quadrelli, György Lukács, un’eresia ortodossa introduzione a G. Lukács, Lenin, DeriveApprodi, Bologna 2025.  

  14. Citazione tratta dalle memorie di un affittuario agricolo francese del diciannovesimo secolo ora in J. C. Scott, Il dominio e l’arte della resistenza, elèuthera editrice 2021, p. 17.