C’era molta attesa per l’uscita della serie Netflix tratta da L’Eternauta, il capolavoro del fumetto di fantascienza scritto da Héctor Oesterheld, disegnato da Francisco Solano López, e pubblicata sul periodico argentino Hora Cero Suplemento Semanal dal 1957 al 1959, poi ristampato nel 1961 su testata omonima. Come il mate o i tanghi di Carlos Gardel, questa serie a fumetti è diventata un vero e proprio simbolo dell’identità argentina, in senso culturale, politico e sociale. In questo la versione filmata diretta da Bruno Stagnaro e interpretata da Ricardo Darín nel ruolo del protagonista Juan Salvo, con la consulenza per la sceneggiatura dello stesso nipote di Oesterheld, non smentisce affatto le proprie radici e proprio questi aspetti probabilmente non sono stati compresi dai critici (non pochi) che l’hanno attaccata, rinfacciandole la lentezza, il ritmo posato, la visione corale, e preferendole altre serie apocalittiche di origine statunitense – L’Eternauta, secondo loro, ha perso la sua originaria singolarità ed è diventata ormai scontata, inutile, una fra le tante. Niente di più sbagliato. L’Eternauta, molto semplicemente, ha rifiutato di svendersi ai canoni hollywoodiani della narrazione e ha scelto di restare per atmosfera, scenari e cadenza, profondamente argentina: perfino il gioco di carte che gli amici si trovano a giocare all’inizio della mortale avventura, significativamente, non è il poker ma il truco, gioco quasi sconosciuto fuori dall’America Latina. Un’autenticità che le evita, per esempio, tutti i luoghi comuni fritti e rifritti in cui cadono gran parte delle altre serie fantascientifiche, più o meno catastrofiche, statunitensi, anche quelle che erano apparentemente partite bene come The Last of Us – della cui prima stagione avevo su queste pagine parlato positivamente ma che ho interrotto già alla prima puntata della seconda stagione dopo un patetico incipit fatto di ridicoli stereotipi: rapporto conflittuale padre-figlia, “brutalismo” femminista di maniera, immancabili e noiosissime storie di lesbiche, ecc. ecc. – e che sottolinea invece più della rappresentazione indiscriminata della violenza, ossessione tipicamente nordamericana, il rapporto di unione e di solidarietà delle comunità che fronteggiano la catastrofe. Altri critici, di opposto orientamento, non nordamericanofili ma invece troppo puristi, non hanno invece apprezzato i cambiamenti della serie rispetto al fumetto: che sia ambientato, per esempio, nell’Argentina contemporanea e non in quella degli anni ’50, che i protagonisti siano tutte persone di mezza età, se non anziane, e il trentenne Juan Salvo del fumetto abbia qui almeno trent’anni di più, una compagna matura e una figlia adulta. Alla prima obiezione risponde efficacemente lo stesso regista: Oesterheld usava la metafora fantascientifica per parlare della sua attualità, dell’Argentina del suo tempo; Stagnaro ha voluto mantenersi coerente con tali propositi non facendo dell’archeologia visiva ma denunciando – come avrebbe fatto Oesterheld – il presente, l’Argentina alla deriva di Javier Milei. Un taglio profondo sull’attualità che implica inserire anche una prospettiva storica: l’eco della dittatura di Videla, la tragedia dei desaparecidos – che colpì lo stesso Oesterheld con le sue quattro figlie e i loro compagni, tutti legati ai Montoneros, la frangia marxista dei peronisti – e questo giustifica l’età matura dei protagonisti, gli incubi ricorrenti di Juan Salvo che si rivede giovane, disperato combattente abbandonato in una trincea delle Malvinas sotto le incursioni inglesi e che quarant’anni dopo deve imbracciare ancora le armi, ma questa volta per una causa. “Se si vuole essere fedeli a tutto, non si è fedeli a niente”- aggiunge il regista Stagnaro. Una prospettiva che ritengo sia un arricchimento rispetto al fumetto così come il tentativo di spiegazione “scientifica” dell’origine della nevicata mortale – imprecisata nel testo originale – il “collasso” delle fasce di Van Allen, come spiega Tano (César Troncoso), l’ingegnere elettronico: “È un anello di particelle radioattive che circonda la terra ed è sostenuto dalla forza magnetica dei due poli; è come uno scudo che protegge la Terra da venti solari e altri agenti. Ma se i poli si annullano le particelle radioattive ci piovono addosso”. I fiocchi di neve che cadono su Buenos Aires sono particelle radioattive provenienti dalle fasce di Van Allen. Il malfunzionamento delle bussole che risultano fuori asse, lo porta a sospettare che è in atto un’inversione dei poli magnetici terrestri che ha alterato il campo geomagnetico. Secondo la sua teoria, una forza sconosciuta ha innescato un’inversione dei poli, indebolendo temporaneamente la magnetosfera. Di conseguenza, quella che sta cadendo sulle loro teste non è semplice neve ma “frammenti della fascia di Van Allen in tempo reale”.
L’estrema qualità visiva e di scrittura conferma anche per questa serie il balzo in avanti di Netflix che ha realizzato ultimamente produzioni assai originali e fuori dai canoni abituali, come, in campo western, la bellissima American Primeval, o in quello noir, l’altrettanto sorprendente Ripley, tratta dal primo romanzo di Patricia Highsmith dedicato all’amorale Tom Ripley. Come quelle citate, anche L’Eternauta si discosta con vigore dagli stilemi correnti e corrivi: chi l’ha criticata, chi ha parlato di flop, di mancanza di ritmo, di occasione mancata, di noia, semplicemente è del tutto assuefatto a tali stilemi e non riesce ad apprezzare niente di quanto sfugga a temi, personaggi, situazioni e ritmi banalmente convenzionali. In realtà queste incomprensioni ci sembrano, se non analoghe, certo non del tutto dissimili da quelle che colpirono direttamente Oesterheld e la sua riscrittura del 1969 di El Eternauta, pubblicata sul settimanale argentino Gente y la Actualidad (e in seguito tradotta su varie pubblicazioni a fumetti come Linus, El Globo, alteralter, Il Mago, Charlie Mensuel, Métal Hurlant) e disegnata non più da Solano López, ma dall’assai più estremo e sperimentale Alberto Breccia. Qui lo sceneggiatore – divenuto nel frattempo responsabile della comunicazione dei Montoneros, e la cui funzione di autore partigiano si rese evidente anche nelle altre opere realizzate in quegli anni, come La guerra degli Antares, una serie simile all’Eternauta ambientata in un’Argentina alternativa ricca e prosperosa in cui il peronismo non è mai finito, ed Evita, vida y obra de Eva Perón, una biografia a fumetti dedicata a Evita Peròn – accrebbe i riferimenti politici, fece un’aperta critica al regime dittatoriale a cui il peronismo di destra dell’ultimo Peròn e dei governi retti dopo la sua morte dalla moglie Isabelita, stava aprendo la strada nel paese e denunciò in metafora l’imperialismo statunitense – il dettaglio simbolico degli invasori che collocano la loro base operativa nella Plaza del Congreso di Buenos Aires, per esempio – enfatizzando l’idea che la salvezza dei cittadini sia un’impresa collettiva. Nonostante il risultato di sorprendente qualità grafica e narrativa, la nuova versione di El Eternauta non piacque. I lettori inviarono lettere alla redazione della rivista per protestare contro i cambiamenti nel personaggio e il contenuto rivoluzionario della storia, motivo per cui la direzione di Gente decise di sospendere la serie. Una decisione che costrinse Oesterheld e Breccia a sintetizzare la storia e a inserire ampi chiarimenti scritti, con l’obiettivo di dare al fumetto un finale coerente. Nonostante questa brutta esperienza, Oesterheld volle far rivivere il personaggio dopo il colpo di Stato del 1976 per aumentare ulteriormente il suo impegno politico. Il progetto, intitolato El Eternauta II, proseguiva la storia della lotta di Juan Salvo contro gli invasori ed era di nuovo illustrato dal primo disegnatore della serie, Solano López, al quale Oesterheld riuscì a inviare le sceneggiature che stava scrivendo in clandestinità. Anche qui la trama è sempre più orientata alla critica politica, con Oesterheld stesso che diventa un personaggio narrante nella storia e che, in un sorprendente rispecchiarsi di narrazione e realtà, continuò a scrivere i capitoli successivi fino alla sua scomparsa a seguito del rapimento e conseguente assassinio nell’aprile del 1977. La saga è continuata dopo la morte di Oesterheld, proseguita da altri autori come Alberto Ongaro e Pablo Maiztegui e sempre disegnata da Solano López ma senza serbare del tutto il mordente dei primi cicli. Chi storce il naso quindi di fronte alle inevitabili modifiche della versione filmata rispetto al fumetto originario si comporta un po’, magari non tanto per preclusioni politiche quanto prevalentemente estetiche, come i lettori conservatori di Gente che vollero l’interruzione del rinnovato Eternauta in versione engagé e pop.
Anche l’adattamento televisivo persegue affini obbiettivi di rinnovamento stilistico e tematico nel pieno rispetto dello spirito originario della narrazione. La recitazione composta, i volti segnati dagli anni dei personaggi, il ritmo lento e la fotografia gelida, conferiscono un’intensità immersiva e potente alla visualizzazione dell’incubo immaginato da Oesterheld, molto angosciante e tutt’altro che noiosa. Un incubo che inizia e si protrae nella prima parte delle sei puntate della prima stagione (una seconda è già stata annunciata, alla faccia dei criticoni) come mortale catastrofe climatica, che svolta a metà serie in invasione extraterrestre con l’apparizione improvvisa dei Cascarudos, gli insettoni micidiali e di misteriosi oggetti luminosi nel cielo, e nel finale prelude alle successive sorprese del fumetto: gli Uomini-Robot (umani sotto controllo mentale alieno) che già si sono manifestati; dei Kol invece, l’altra razza aliena schiavizzata dagli invasori, abbiamo visto per ora – proprio nell’ultima puntata – solo la mostruosa mano brulicante di dita; per la seconda stagione aspettiamo ancora i Gurbos, ciclopici e invulnerabili pachidermi, e infine Ellos, Loro, i manipolatori ultimi, gli inavvicinabili e invincibili padroni. Senza volto come le lobbies supreme del capitalismo multinazionale.