di Luca Cangianti

Francesco Schettino, Socializzare i profitti. Le leggi generali dell’economia politica nell’era dell’Antropocene, pref. Clara E. Mattei, Meltemi, 2025, pp. 262, € 20,00.

Alcune parti del pensiero di Karl Popper sono sicuramente discutibili, specialmente in ambito politico. Però la metafora delle teorie scientifiche che sarebbero reti gettate sul mare della realtà per afferrare i «fatti» mi sembra suggestiva. Certo, è stato detto che a ben vedere i «pesci» stessi sarebbero prodotti (piuttosto che pescati) da tali reti, e che, a seconda della rilevanza del pesce, i pescatori sarebbero indotti a mutar metodo di pesca. Fatto sta che intorno al 1870 gli economisti hanno cambiato le loro attrezzature di pesca e oggi si insegna quasi esclusivamente il paradigma neoclassico. Tutto il resto è relegato nei pressi dello sgabuzzino delle scope e dileggiato come «eterodossia». Gli eretici però esistono e ciclicamente tornano all’attacco, perché il pesce portato a tavola è piuttosto insipido. In tale contesto, Socializzare i profitti di Francesco Schettino è una scialuppa di salvataggio per tutti i lettori curiosi di capire meglio cosa c’è dietro i manuali patinati che si studiano nelle facoltà di economia di tutto il mondo.

Il libro si prefigge di smontare il paradigma ortodosso e mostrare cosa non va. L’oggetto dell’economia neoclassica è costituito dall’efficienza, ovvero dall’allocazione ottima di risorse scarse. L’autore a tal proposito mette in evidenza una omomorfia tra la teoria e il suo oggetto: il capitalismo, «pur avendo… impresso una accelerazione “mostruosa” alla produzione di merci a livello mondiale, trae origine e incrementa il suo sviluppo quando non c’è abbondanza. In effetti, se si osserva la genesi storica del modo di produzione, e si guarda, in particolare, al processo della cosiddetta accumulazione originaria… ci si accorge che alla sua base c’è stato un processo che ha smantellato la disponibilità diffusa di beni comuni, creando artificialmente la scarsità di possibilità economiche, attraverso le enclosures».
L’unità d’analisi del paradigma dominante è costituita dagli individui-consumatori che agiscono secondo criteri di razionalità soggettiva. Il capitalista possessore di stock di capitale viene posto allo stesso livello del possessore di capacità imprenditoriali, del rentier e del possessore di forza-lavoro. Ognuno dà il suo contributo alla produzione. La scuola neoclassica riduce gli elementi della spiegazione a un comune denominatore, all’essere utili o disutili e quindi scambiabili. Ciò rende possibile l’applicazione diffusa del ragionamento algebrico. Il prezzo ha natura relativa, mentre il valore è trattato soggettivamente e dipende dall’intensità del desiderio; è una relazione mentale tra individuo e merce e, ovviamente, astrae dai processi sociali.
Con questo tipo di rete, valore, distribuzione, crisi e sfruttamento – oggetti delle ricerche degli economisti appartenenti alla precedente scuola classica (Smith, Ricardo e Marx) – scivolarono via nelle profondità oceaniche. Contemporaneamente le nozioni di razionalità, di concorrenza perfetta e allocazione ottimale delle risorse offrirono un tono di scientificità positivista. Fu così che dalla political economy (come sociology, history e psychology) si passò all’economics (come physics e mathematics). Ciò che restava di politico era l’occultamento della dimensione politica dell’economia: la scienza economica, malgrado i progressi tecnici che la svolta neoclassica apportò, subì un impoverimento esplicativo. Schettino infatti mette in evidenza come l’approccio meanstream fallisca nello spiegare i fenomeni socio-economici più rilevanti che abbiamo di fronte agli occhi: le strutturali crisi cicliche, il prosperare dei monopoli a detrimento della tanto decantata concorrenza, l’assurda – ma funzionale dal punto di vista del dominio politico – polarizzazione economica tra ricchissimi e poverissimi in un mondo di crescente abbondanza, l’assottigliarsi dei ceti medi, le guerre commerciali e quelle fatte con i missili e i droni.

Nel quinto capitolo, infine, l’autore sfida il Moloch del Tina (there is no alternative) e abbozza arditamente alcune caratteristiche che una società postcapitalista dovrebbe avere per affrontare le catastrofi contemporanee (sfruttamento, polarizzazione sociale, disoccupazione, monopoli, degrado ambientale, tendenza strutturale alla guerra). Tale nuova formazione economico-sociale dovrebbe basarsi principalmente su cinque elementi: «a) il passaggio a un’economia in cui il valore d’uso sia prioritario e dunque al centro della produzione economica; b) riduzione dell’orario di lavoro anche per migliorare la qualità della vita; c) modificare la divisione standardizzata del lavoro, riportando creatività sul posto di lavoro, coerentemente con quanto sosteneva Marx (1891) nella Critica al programma di Gotha per cui la società futura non vedrà più i lavoratori “schiavi della divisione del lavoro” che diverrà “la principale necessità vitale e non solo un mero mezzo di sostentamento”; d) democratizzazione del processo produttivo anche rallentando l’economia; in altre parole in luogo del dispotismo del capitale si porrebbe la cooperazione e l’associativismo tra lavoratori; e) fornire la corretta rilevanza ai lavori essenziali come quelli di assistenza e cura.»
Lo strumento principe per conseguire questi obiettivi viene individuato in una pianificazione capace di coordinare a priori le decisioni d’investimento e non a posteriori come fa il mercato mediante le fluttuazioni dei prezzi relativi. Ciò limiterebbe le storture legate alla massimizzazione del profitto e permetterebbe di tener conto dei bisogni sociali.

Schettino mette bene in chiaro che si tratta di esperimenti mentali e non «ricette per l’osteria dell’avvenire». Lo sviluppo storico della conflittualità sociale, sia nel bene che più spesso nel male, è sempre più incredibile della più azzardata proiezione fantascientifica e le nuove istituzioni (rivoluzionarie o reazionarie che siano) nascono nel corso della lotta. Ecco perché è difficile scrivere ricette prima di accendere i fuochi sotto le padelle.