di Pietro Garbarino

Una delle definizioni che si danno del termine “ideologia” è quella secondo cui per essa si intende “il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale”.

Si potrebbe anche aggiungere, a tale larga definizione, anche l’identificazione di una certa ideologia come riferita ad un determinato momento storico più o meno ampio; si potrebbe anche individuare il “gruppo sociale” sopra menzionato con la collettività dei cittadini di un ente politico, come lo stato nazionale.

Ma tutto ciò non toglie nulla al fatto che si tratti di un complesso di elementi che condizionano la cultura di ogni persona ma che non necessariamente, devono coincidere, ma possono diversificarsi a seconda del livello culturale individuale.

Direi di più; tanto più gli accenti e le motivazioni sono diversificati, tanto più risultano caratterizzati democraticamente, ma ad una condizione, e cioè che si abbia un minimo denominatore valoriale comune.

In tal caso si potrebbe parlare di “ideologia democratica” intesa come senso comune tendente al rispetto del cittadino e delle sue libertà e, sotto tale profilo, si ritiene che nessuno possa essere reso differente da quel termine.

Tuttavia, da diversi decenni a questa parte, l’ideologia è considerata un termine di contenuto negativo, ed è entrata nel novero delle “parolacce” escluse dal politically correct.

Ma, se consideriamo la definizione che abbiamo richiamato in precedenza, non sembra proprio che quella parola debba avere significati così riprovevoli.

Ed allora sarà necessario svolgere alcune considerazioni sul fatto che certi vocaboli, col tempo e nel variare dei contesti socio-politici, possono mutare di significato nella percezione comune.

Ad esempio il concetto di nazione, se usato propriamente per indicare, come si legge nei libri di scuola, un territorio, una collettività di persone, una storia e una volontà culturale, non assume un significato chiuso e aggressivo.

Qualora si utilizzi quel termine, invece, in termini di contrapposizione rivendicativa nei confronti di altre nazionalità, allora il significato cambia e diviene foriero di conflitti; cioè diviene nazionalismo.

Ma anche lo stesso concetto di patria, originariamente inteso come la terra delle proprie origini, può essere utilizzato come rivendicazione nazionalistica, con grave rischio della pace tra i popoli.

Dunque, anche l’ideologia, complici alcune circostanze di carattere storico e geo-politico, ha subito quella distorsione.

E allora cerchiamo di riportare quel concetto nel suo alveo naturale e più oggettivo.

Chi si fa promotore, si identifica o segue una certa ideologia, lo fa in quanto ha nella propria mente un certo disegno di come vorrebbe il mondo, i rapporti individuali e sociali, la organizzazione di una società, gli obiettivi da raggiungere.

Ad esempio, il cristiano-cattolico, desidererebbe una società ispirata alla dottrina sociale e religiosa della chiesa romana, e perciò sottoposta a quei principi morali e alla professione di quella fede.

Chi si professa anarchico vorrebbe una società di uomini liberi e uguali, senza l’assoggettamento a soggetti economici, a regole statali e a precetti religiosi.

Ebbene entrambe le ipotesi, ben diverse tra loro, che abbiamo indicato possono essere considerate, sulla scorta della definizione data all’inizio di questo modesto scritto, delle ideologie.

Ma cosa c’è di riprovevole nell’ipotesi di definizione dell’ideologia cui si è, nell’incipit, fatto cenno?

Che cosa possiamo trovare di sconveniente o negativo, in un contesto di società democratica dove vigono i principi dell’uguaglianza, della libertà, della solidarietà, nella pratica di tali ideologie da parte di coloro che le professano?

E qui entra in gioco il fatto che ciascuno di noi ha, o dovrebbe avere, una propria etica, delle finalità, delle aspirazioni.

E dunque purché tale etica, finalità o aspirazioni siano in qualche modo coerenti con i principi di uguaglianza, libertà e solidarietà, qualsiasi impostazione ideologica compatibile con esse, è non solo conforme, ma addirittura utile proprio per la realizzazione, anche concreta, di quei principi.

Infatti, nell’ambito di tale combinazione, l’ideologia di ciascuno segue o alla quale aderisce, assume il significato di una pulsione ideale, oltre che morale, e conferma pertanto una dimensione etica all’attività dell’uomo.

E ciò sarà tanto più valido e positivo quanto più tali dimensioni etiche, che possono anche essere tra loro differenti, si potranno identificare in quei principi sommari della democrazia, che non abbiamo inventato noi oggi, ma che vigono niente meno che dalla fine del 1700.

Il pericolo dal quale guardarsi è invece quella della manipolazione dell’ideologia in un pensiero unico che, in tempi passati, è stato realizzato con la repressione e forme di stato oppressivo e autoritario, e che oggi viene realizzato con forme più sofisticate, come la concentrazione dei poteri sul governo politico, la concentrazione delle testate giornalistiche, la induzione forzata a certi consumi, l’abbassamento del livello culturale complessivo.

Oggi talune ideologie dominanti tendono ad accreditarsi come se fossero teorie scientifiche descrittive e, nello stesso tempo, accusano le altrui posizioni descrittive come viziate da pregiudizi ideologici, in tal modo confondendo i rispettivi livelli concettuali. Nel caso dell’uguaglianza, il fatto sembra evidentissimo: l’ideologia neoliberista afferma, come se fosse una teoria scientifica, che la disuguaglianza fa bene a tutti, e attacca come ideologicizzati (e cioè non scientifici) gli studi che descrivono le disuguaglianze esistenti e i loro effetti nefasti.

E da quelle insidie, oggi assai diffuse e perfino viste con benevolenza da diversi governi, anche nell’ambito dell’Unione Europea, che bisogna guardarsi e anche combattere per l’abbandono di siffatte tendenze.

Qualora ciò avvenga, non ci sarà più il pericolo che qualsiasi individuo, che si dichiari professante di un’ideologia, possa essere scambiato o additato come uno squallido propagandista.

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