di Giorgio Bona

Francis Scott Fitzgerald,  I racconti dell’«Esquire», trad. di Silvia Rotondo,  pp. 160, € 14, Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2023.

Gli anni ruggenti, come furono definiti gli anni Venti del Novecento, rappresentarono un decennio di proteste e rivolte aperto alle utopie più ottimistiche e le delusioni più drammatiche. In quegli anni i neri americani cominciarono a farsi apprezzare come musicisti di grande valore e ancor di più come strepitosi cantanti, tanto che si diffuse la moda di andare ad ascoltarli anche in locali vietati perché si trovavano in zone ghettizzate. I bianchi più aperti cominciarono ad amare il nuovo genere musicale che si diffuse soprattutto negli stati del nord e quegli anni furono conosciuti appunto come l’età del jazz. Francis Scott Fitzgerald (1896-1940) fu lo scrittore che meglio rappresentò con la sua opera questa epoca storica straordinaria e tormentata, oscillante tra opposti sentimenti e situazioni, condizionata dagli imprevisti della vita fatta di lampi e improvvisazioni, proprio come un ritmo di jazz.

In quegli anni scrisse capolavori come Il grande Gatsby (1925) e Tenera è la notte (avviato nel 1925, edito solo nel 1934 dopo una lunga gestazione). D’altra parte in vent’anni di carriera l’autore dovette mantenersi scrivendo racconti per riviste popolari, racconti che fornissero un reddito per poter campare e pagare le cure psichiatriche della moglie Zelda. I racconti furono la sua fonte di reddito principale ed è in questo contesto che nel 1934 entrò in scena «Esquire», una rivista di intrattenimento per uomini, stampata a colori e prevista con uscita trimestrale. La rivista era venduta non nei circuiti letterari e intellettuali, bensì nei negozi di abbigliamento maschile, nelle tabaccherie e nelle edicole; e richiedeva racconti brevi. Fitzgerald pubblicò i testi compresi in questa raccolta negli ultimi anni di vita, tra il 1936 e il 1940. La rivista non contribuì soltanto al suo sostentamento economico nei momenti di grande difficoltà, ma cercò di conservarne la memoria dedicando un prestigioso tributo postumo su un numero del marzo 1941, e pubblicando diversi articoli celebrativi sulla sua figura fino agli anni Sessanta.

Ovviamente la fama di Fitzgerald si lega a grandi romanzi come i citati Il grande Gatsby e Tenera è la notte, con l’affresco di una società americana opulenta, cinica, arrogante, fatta di arrivisti e pelo sullo stomaco, storie d’amore di un mondo borghese tra sensi di colpa e rimpianti. Tuttavia, a smentire la convinzione superficiale che il racconto sia – in generale e nel suo caso specifico – una forma di minor tono rispetto al romanzo, l’autore fornisce brevi perle di straordinario splendore e di rara qualità letteraria. Sembra di affrontare la lettura di un Fitzgerald sperimentale in quel suo modo un po’ originale di addentrarsi dentro piccole storie come fossero l’anticamera della costruzione di un romanzo.

In effetti in questi racconti l’autore offre il meglio di sé stesso, attento alle parole, prezioso e raffinato nel linguaggio, mantenendo un ritmo pacato con impennate sapide, incastrando il lettore invitato a leggere e a trastullarsi con un senso di vertigine, senza mai smarrirsi. Troviamo amore, gelosia, omicidio, guerra e fantascienza, ingredienti dosati con equilibrio dove sarcasmo e cinismo la fanno da padrone. Sarcasmo che non esonda mai dal buon gusto, a declinarsi in ironia sottile e garbata, in ilarità sorprendente, con un equilibrato e misuratissimo ricorso al cinismo. In effetti in questi brevi lampi di narrativa troviamo tutta la straordinaria capacità dell’autore di creare situazioni e personaggi che sono avventura e indagine psicologica, satira e lucida introspezione.

Per capire la ricchezza del volume, è interessante leggere quanto puntualizzato nell’introduzione dalla traduttrice e curatrice.

 

Vale la pena citare due racconti, presenti nell’appendice di questo libro, inizialmente scartati da «Esquire» e aggiunti successivamente nella raccolta I’d Die for You and Other Lost Stories: il primo, “Dearly beloved”, fu mandato alla rivista nel febbraio del 1940, ma non fu mai pubblicato dagli editori e apparve per la prima volta nel Fitzgerald/Heminguay Annual 1969, il secondo, “Salute to Lucy and Elsie”, fu rifiutato nel 1939 per la trama troppo confusa e per gli elementi troppo anticattolici che, a detta dell’editore, dovevano essere limati o rimossi completamente. Fitzgerald cercò di rivedere la storia, ma la abbandonò, lasciandola incompiuta.