di Gioacchino Toni

Maurizio Maggiani si è fatto conoscere grazie a una lunga e fortunata serie di romanzi a partire da Màuri, Màuri (1989) per giungere a L’eterna gioventù (2021). Approdato alla narrativa dopo aver lavorato come maestro, rappresentante di pompe idrauliche, venditore di giradischi nel deserto d’Algeria e impiegato comunale, solo per citare alcune delle molteplici attività svolte, Maggiani ha coltivato sin da ragazzino la passione per la fotografia, come testimoniano alcune pubblicazioni fotografiche uscite in apertura del nuovo millennio in buona parte restate un po’ in sordina, fatta eccezione per Mi sono perso a Genova. Una guida (2007), che invece è riuscita a farsi conoscere.

Il volume di Maurizio Maggiani, Narciso meccanico. Una fotocamera per specchiarsi nel mondo (1971-2023), a cura di Archivi della Resistenza, Collana Verba Manent/Sguardi curata da Alessio Giannanti e Filippo Colombara – Edizioni ETS 2023, deriva dalla mostra fotografica retrospettiva tenutasi a Castelnuovo Magra (SP) tra giugno e novembre 2023 e presenta, a corredo dei tanti scatti, un’intervista in cui l’autore riflette sul suo rapporto con la fotografia.

Alla base di Narciso meccanico [spiegano Alessio Giannanti e Simona Mussini degli Archivi della Resistenza] vi è un lavoro di digitalizzazione e catalogazione dell’archivio fotografico di Maggiani, che in questa prima fase ha già riguardato circa 50.000 fotografie e non può ancora dirsi concluso. Il raggio della ricerca, infatti, si estende continuamente in ambiti e archivi culturalmente contigui, con nuove e inaspettate acquisizioni come, ad esempio, il recente rinvenimento degli audiovisivi girati negli anni Settanta dall’autore. La dimensione in progress e la continua ridefinizione dei confini della ricerca rendono questo lavoro di archeologia culturale, una delle esperienze più esaltanti in vent’anni di carriera dell’associazione Archivi della Resistenza.

I circa cinquant’anni di attività – dai primi negativi di inizio anni Settanta alle fotografie digitali scattate ai nostri giorni – che danno vita a questo archivio rappresentano non solo un percorso all’interno delle diverse stagioni e tecniche della fotografia italiana e delle tappe della narrativa di Maggiani, ma anche – sostengono Giannanti e Mussini – una carrellata di tematiche:

gli anni della contestazione e della ricerca di una nuova forma di vita liberata; gli esperimenti didattici nella scuola che si batte per l’inclusione; le lotte operaie e l’indagine sui lavoratori; il paesaggio e la città indagate in interiore homine, per comprendere le trasformazioni in atto; il ritratto sociale; gli affetti familiari; gli autoritratti; i viaggi; la guerra nella ex Jugoslavia; la fotografia naturalistica e, ancora, personaggi e fatti, fonti d’ispirazione per la sua narrativa.

Nella sezione Il lavoro (1978) sono raccolti in buona parte scatti appartenenti a una campagna fotografica commissionata dalla Cgil a sostengo delle lotte sindacali nel comparto spezzino dell’edilizia e del lapideo per conquistare il diritto a un pasto caldo da consumarsi in una mensa comune. Paradossalmente, ricorda Maggiani, quando i muratori e gli scalpellini misero piede in una mensa capirono immediatamente che a quei pasti caldi precotti erano preferibili le frittate portate da casa nella gamella. Il reportage, sostiene l’autore, ha contributo a fargli comprendere quanto l’essere umano non possa essere ricondotto esclusivamente al lavoro che svolge; non a caso buona parte degli scatti si sono concentrati sui volti dei lavoratori. Di questa sezione fanno parte anche fotografie riferite alla vita in fabbrica nella cantieristica navale spezzina alcune delle quali testimoniano l’Assemblea sindacale dopo il delitto Moro, del 10 maggio 1978, quasi a sancire il concludersi  di un’epoca.

Se la sezione La scuola (1974-1978) testimonia il periodo in cui l’autore, ventenne, ha lavorato come maestro nelle scuole elementari dei quartieri disagiati della sua città decidendo di portare tra i bambini la macchina fotografica e ricorrere agli audiovisivi nella sua attività didattica, La piazza, la politica (1971-1979) è invece dedicata agli anni della ribellione extraparlamentare. «Ho cominciato a fotografare le manifestazioni. Perché? Perché tutti dovevano vedere che eravamo tanti a lottare, questa era la mia fissazione». Oltre a momenti di lotta, gli scatti raccolti in questa sezione documentano la vita culturale e i momenti di socialità festosa di quella che si è rivelata essere una vera e propria comunità.

Attraversare questi cinquant’anni di fotografie – scrivono Giannanti e Mussini – offre anche l’occasione di leggere nelle fasi della società la filigrana di quelle personali e stilistiche. E parlando degli anni del riflusso, Maggiani ha dichiarato come questi abbiano coinciso con una profonda crisi personale (“agli anni Ottanta non mi sono mai abituato”), che da una parte lo ha portato a distanziarsi dalla fotografia militante e dall’altra a intraprendere la strada dello scrittore. Il suo debutto nel mondo letterario corrisponde di fatto a un periodo di sospensione dell’attività fotografica. Ricordando quel momento di svolta, Maggiani dice nell’intervista: “la fotografia non era sufficiente a imporre la mia storia sulla storia, mentre la narrazione del romanzo sì […]. Ero più libero, naturalmente la tastiera rende più liberi di una Leica”.

Le sezioni Paesaggi (1991-2001) e La città (1995-2004) documentano il ritorno di Maggiani alla fotografia coincidente con un mutato percorso stilistico e un nuovo modo di guardare alla realtà circostante: a interessarlo è ora il paesaggio da cui quasi scompare l’essere umano. Dunque, nell’ultima sezione, La nuova casa e dintorni (2010-2023), in cui introduce il colore e passa al digitale, l’autore sposta la sua attenzione sul paesaggio romagnolo, ove nel frattempo si è trasferito. Apertosi con l’osservazione naturalistica, questo ultimo capitolo della produzione fotografica di Maggiani torna a soffermarsi sui volti dei lavoratori, in questo caso della Cooperativa braccianti ravennati.

Il lavoro del bracciante io lo conosco, non è che non lo conosco […] secondo me quelle facce dicono di più e rendono più giustizia di quei braccianti, perché in quelle facce c’è il loro lavoro, certo che c’è […]. Quelle facce hanno il lavoro, ma c’è qualcosa di più, c’è la grandezza, la grandezza di una vita che non è ridotta solo alla mansione, di solito alienata, del lavoratore e questo lo capii già allora, perché quando andavo a sviluppare i rullini e mi mettevo e facevo i provini, vedevo che c’erano più le facce e questo mi è rimasto.

Gli ultimissimi scatti di Maggiani presenti sul volume sono dedicati alla recente alluvione che ha travolto la Romagna nel maggio 2023.

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