di Sandro Moiso

Massimo Lunardelli, Alessandro Pellegatta, Isidoro Azzario sulla Terra e sulla Luna. Storia del Capostazione rosso che fondò il Partito Comunista d’Italia e che il fascismo rinchiuse in manicomio, Quaderni Rossi V, pagine Marxiste II serie, luglio 2023, pp. 373, 14 euro

E’ un personaggio che potrebbe essere uscito dalle pagine dedicate da Geminello Alvi ai suoi Uomini del ‘900 (Adelphi 1995) oppure agli Eccentrici (Adelphi 2015), tra cui oltre a H.P.Lovecraft, Jim Morrison e Oliver Hardy compare, insieme a molti altri, Amadeo Bordiga, quello delineato dalla ricerca di Alessandro Pellegatta e Massimo Lunardelli pubblicata nelle serie dedicata alla Storia della Sinistra comunista e della dissidenza in Italia di «Pagine Marxiste».

Figure che si muovono tutte tra prometeismo, visionarietà e giochi di equilibrio spericolati tra assurdità e tragedie personali. Un bel catalogo di vite frantumate e disperse, nel corso del XX secolo, da un modo di produzione, da un ambiente socio-culturale e politico e dalle sue mode che definire distruttivo e devastante, tanto per il singolo individuo quanto per i milioni di altri che lo circondano, è ancora eufemistico e dall’implacabile scorrere di eventi tra i più drammatici che la Storia possa annoverare nei suoi annali (dittature, guerre mondiali, uso dell’arma nucleare, asservimento degli ideali rivoluzionari agli interessi del Capitale, tanto ad Ovest quanto ad Est e molto, troppo altro ancora).

Eventi che hanno causato traumi collettivi e singoli, individuali e sociali, largamente conosciuti oppure del tutto sconosciuti, ma che hanno segnato donne, uomini e generazioni in profondità. Come avviene appunto per la vita del “ferroviere rosso” Isidoro Azzario, di cui i due ricercatori militanti, Pellegatta e Lunardelli, ricostruiscono le drammatiche vicende, a metà strada tra le prime storie di Georges Méliès, il tramonto del duo cinematografico composto da Stan Laurel e Oliver Hardy descritto nel romanzo Triste, solitario y final di Osvaldo Soriano e la tragedia del proletariato mondiale schiacciato e sconfitto dall’azione di fascismo e stalinismo nel corso degli anni Trenta.

Isidoro Azzario, nato a Pinerolo il 20 maggio del 1884, figlio di un simpatizzante socialista da cui apprese, secondo le sue stesse parole «i primi rudimenti del socialismo», attraverserà i primi, drammatici cinquant’anni del XX secolo vivendo in prima persona molti degli eventi che li avevano caratterizzati. Non solo qui in Italia, ma anche all’estero. In Sud America, dove fu inviato come rappresentante dei Ferrovieri rossi, e in Russia, dove fu delegato del Pcd’I al IV Congresso dell’Internazionale Comunista e dell’esecutivo allargato della stessa.

Tra i fondatori del Partito comunista d’Italia al congresso di Livorno del 1921, Azzario era stato assunto in ferrovia nel 1904, portando con sé sul lavoro non soltanto la preparazione tecnica acquisita con la frequentazione delle scuole tecniche in provincia di Torino, ma anche le qualità oratorie dimostrate nei suoi improvvisati discorsi contro il colonialismo italiano e a favore di Gaetano Bresci che avevano stupito e scandalizzato i suoi insegnanti mentre spronava i suoi giovanissimi compagni di scuola negli anni di Crispi, Bava Beccaris e ancora in quelli successivi.

Chiamato da Bordiga nella commissione sulla tattica che avrebbe dovuto occuparsi del programma di lotta da applicare tra il proletariato italiano, avrebbe poi interpretato “al meglio” quello stravolgimento del corpo del partito seguito al convegno clandestino alla Capanna Mara del maggio 1924 e successivamente, in quanto ex-sinistro, venne scelto durante il congresso di Lione del 1926 per portare l’affondo più duro contro la direzione della Sinistra, con tanto di autocritica.

In America Latina, in seguito a un riconoscimento o a una delazione, fu arrestato a Cali e rispedito in Italia e, probabilmente, durante il viaggio di ritorno in nave fu a lungo torturato e seviziato dai fascisti, fin quasi a fargli perder la ragione, anche se questo non fu sufficiente a piegarlo del tutto. Successivamente, come era già successo dopo il primo licenziamento per motivi politici subito ancor prima del 1921, Azzario fu reintegrato nei ranghi delle ferrovie e nel secondo dopoguerra avrebbe svolto ancor per pochi mesi la funzione di Capostazione in quel di Luino. Ma tutto questo viene ricostruito a posteriori nel testo qui recensito, poiché la narrazione prende avvio da Mercoledì 26 novembre 1958, quando:

all’ospedale Luini -Confalonieri di Luino, viene ricoverato nel reparto Medicina un anziano signore: alto, visibilmente denutrito, il viso cianotico, lo sguardo perso; spicca sul mento un lungo e curato pizzo bianco. Le sue condizioni appaiono subito serie: aritmia, difficoltà di respirazione, scarso orientamento nel tempo e nello spazio. Al personale sanitario conferma di chiamarsi Isidoro Azzario […] Nella cartella clinica i medici aggiungono che le condizioni psichiche del paziente non consentono una corretta raccolta dei dati anamnestici: disturbo bipolare, precisano1.

Azzario è in pensione da 11 anni dopo aver fatto il Capostazione sulla sponda lombarda del lago Maggiore, dove era giunto come sfollato da Milano, durante la guerra, insieme alla figlia e al genero che di quella zona era originario. La moglie era morta nel 1937 e Isidoro è accompagnato dal dolore di non aver potuto nemmeno partecipare al suo funerale a causa di un ottuso funzionario fascista che gli aveva impedito di lasciare l’isola di Ponza, ove era confinato, per il tempo necessario per partecipare alle esequie.

Anche se a Luino e Germignaga, dove risiedeva, molti lo conoscevano, quando viene ricoverato in stato confusionale e denutrito, l’ex-ferroviere rosso vive da solo, o quasi, da diversi anni dopo che la figlia era morta nel 1948 e il genero nel 1957. Da anni. però, aveva ripreso a frequentare la sezione locale del PCI in cui testardamente e ostinatamente aveva ripreso a professare la critica del partito stalinizzato e del fasullo socialismo reale tipica della Sinistra comunista e di Bordiga, cui tornerà ad essere associato dalla direzione locale del partito. Direzione di cui faceva parte Gianni Rodari che in quegli anni sarebbe stato uno dei giudici più fermi e intransigenti di ogni forma di dissidenza interna, soprattutto se anche lontanamente riconducibile alle posizioni della Sinistra.

Ma il motivo per cui tutti ricordano Azzario, in quegli anni, non è tanto l’intransigenza politica nei confronti del Partito togliattiano e dello Stato sorto dalla Resistenza e delle sue alleanze internazionali, quanto piuttosto per i voli pindarici riguardanti la posizione dell’uomo nello spazio, le reali dimensioni della Luna e la sua reale distanza dalla Terra; la curvatura dello spazio che permette altresì che il satellite terrestre non sia null’altro che il riflesso della stessa, insieme all’attenzione per i primi voli spaziali (in particolare per il lancio della prima sonda lunare sovietica, Lunik, lanciata il 2 gennaio 1959, ma che non entrò nell’orbita della Luna per un errore di circa seimila chilometri) e la televisione che egli riteneva superata dal fatto che presto gli uomini avrebbero potuto telepaticamente ricevere una propria “televisione mentale” senza l’uso di elettrodomestici o altri marchingegni tecnologici. Tutte riflessioni che egli sottoponeva agli infermieri e ai pazienti dell’ospedale, ma che in precedenza aveva fatto circolare a voce e a stampa, in opuscoli stampati insieme al genero e poi distribuiti con lui a Milano. Uno avvolto in un mantello nero di sapore ottocentesco e l’altro in un saio verde.

Una storia di disagio psichico che però era già iniziata dopo la disavventura sudamericana del 1927 e le torture subite dai fascisti. Così che, dopo esser stato all’epoca consigliere comunale a Cuneo, membro di spicco della Camera del Lavoro locale, redattore di giornali comunisti e militanti quali «il Sindacato Rosso», schedato dalle prefetture come elemento estremamente pericoloso e definito da Gramsci come oratore formidabile, freddo, preciso e impeccabile, a Regina Coeli, dove era stato rinchiuso in attesa del processo, era stato riconosciuto a stento dai suoi compagni di partito e di carcere.

Bollato dalle perizie psichiatriche come individuo affetto da paranoia espansiva e delirio cronico progressivo, avrebbe iniziato il suo calvario tra i manicomi e, dopo di questi, quello del confino a Ponza e alle isole Tremiti. Durante il quale elaborò complesse teorie astronomiche, scrisse di Bimanità e Trimanità e si dichiarò figlio illegittimi di Nietzsche, di cui in gioventù aveva letto gli scritti insieme a quelli di Karl Marx.

Il testo di Pellegatta e Lunardelli, che a questo punto si lascia che sia il lettore ad esplorare fino in fondo, si avventura dunque in un territorio oscuro, sospeso tra dramma e paradosso, tra tragedia e sempre involontaria comicità, che, però, non costituisce l’unico caso nella storia del movimento operaio italiano. E nemmeno solo del movimento operaio, soprattutto nel guardare allo spazio come luogo di fuga e liberazione. Per la mente e, forse, anche per il corpo.

Basterebbe, allontanandoci per un momento dal contesto della lotta di classe, pensare a uno dei jazzisti afro-americani più innovativi e visionari: Sun Ra. Nato come Herman Poole Bloun a Birmingham in Alabama nel 1914, dotato di notevoli doto pianistiche e gusto musicale fin da giovane, a seguito dell’imprigionamento per renitenza alla leva e dei maltrattamenti subiti nel 1942-43 a causa della sua obiezione alla guerra e al servizio militare, dopo essere stato esaminato dagli psichiatri del campo dove avrebbe dovuto prestare servizio civile, venne dichiarato “personalità psicopatica” anche se altamente “erudita ed intelligente”, e quindi congedato a tempo indeterminato.
Dopo di che assunse il nome d’arte, e non solo, che ne avrebbe collegato opera musicale, pensiero e immagine pubblica allo spazio (in particolare a Saturno) e all’antico Egitto faraonico, di cui si reputava discendente e, in qualche modo, erede delle conoscenze esoteriche.

Una divagazione, quest’ultima, apparentemente fuori luogo, ma che ci rinvia alla necessità umana di sognare e di cui il comunismo, “demone” come già lo definì il giovane Marx, scienza o programma che sia, spesso ha rappresentato soprattutto un grande e liberatorio esempio, sia sul piano collettivo che sul piano individuale. Sogni di cui, come già profetizzava Foscolo nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, l’essere umano ha bisogno come dell’aria per vivere e la cui repressione parziale o totale può portare alla morte, se non fisica almeno psichica.

Un vecchio compagno bordighista era solito ripetere che i comunisti, per resistere in condizioni sociali, politiche e culturali controrivoluzionarie decisamente avverse, oltre ad avere una pelle da rinoceronte dovevano essere per forza dei drop out. Effettivamente l’autore della presente recensione di drop out nell’ambiente comunista ne ha conosciuti davvero tanti. Si intenda bene, però, qui non si parla degli internati nei manicomi staliniani e sovietici per reprimere la dissidenza e nemmeno dei partigiani rinchiusi in manicomio dopo il secondo dopoguerra mentre il guardasigilli Togliatti apriva le porte delle carceri ai fascisti per farli uscire (e magari, in molti casi, per entrare nei ranghi del PCI e dell’amministrazione statale)2.

Se ne vogliono qui ricordare soltanto alcuni, spesso riconducibili all’area cosiddetta bordighista, come ad esempio quello che, all’epoca cinquantenne, tra il 1976 e il 1977 a Torino, bazzicava gli ambienti del canagliume giovanile “rivoluzionario” legato alle precedenti esperienze di Lotta Continua, Potere Operaio e Lotta Comunista, proponendo loro opuscoli, testi e giornali provenienti dall’area della Sinistra comunista. Spiegando, però, a tutti coloro che lo ascoltavano che non sarebbe stato necessario agire fino a quando i morti accumulati per le strade non avessero raggiunto il davanzale della sua finestra. Finestra che era di fatto un abbaino di una soffittta posta al quarto o quinto piano di un edificio umbertino del quartiere San Paolo. Per non dare adito a dubbi di qualsiasi genere va qui chiarito che Zombie di Romero sarebbe uscito soltanto nel 1978.

Oppure un giovane compagno che, ancor ventenne agli inizi degli anni Ottanta, si rifugiò in un mondo tutto suo, da cui non sarebbe mai più uscito, in cui la Terza guerra mondiale era già iniziata e le bombe atomiche avevano cominciato a piovere su un’umanità spenta e incredula. O, ancora, un vecchio compagno di una nota azienda di Ivrea in cui i comunisti di sinistra che componevano l’intero consiglio di fabbrica erano stati espulsi dal sindacato, per mano di Fausto Bertinotti, quando si erano rifiutati, insieme a tutti gli altri operai, di solidalizzare col Governo e i servi del capitale, non aderendo allo sciopero dichiarato dopo il rapimento o il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro nel 1978. Tale compagno dopo essersi ritirato in pensione manifestò sempre più i sintomi di un forte bipolarismo che spesso lo rendeva inviso ad amici, ex-compagni e famigliari.

Sono solo alcune delle storie che, per quanto piccole e apparentemente insignificanti, non andrebbero prese sottogamba e nemmeno ridotte a semplici curiosità aneddotiche, ma come testimonianza di sofferenze e drammi umani seguiti alla sconfitta (momentanea o sempiterna non tocca qui stabilirlo) del sogno più grande che il capitalismo, fin dalla scoperta delle sue irrisolvibili contraddizioni di classe, ha contribuito a produrre nella mente e nella speranza di chi dal basso gli si è contrapposto senza infingardaggini e senza compromessi.

Almeno per questo Isidoro Azzario e tutti gli altri sperduti compagni che in tanti modi diversi hanno seguito il suo percorso, meritano la riconoscenza di chi li ha conosciuti o di chi ne sente parlare soltanto ora per la prima volta.
Questa è la memoria che val la pena di preservare, molto più di quella delle rimembranze istituzionali e mummificate degli infiniti giorni e delle infinite iniziative ufficiali dedicate alla conservazione di una memoria a senso unico. Per questo Alessandro Pellegatta e Massimo Lunardelli hanno fatto benissimo a ricordarcelo attraverso il loro lavoro di autentica, non blasonata e tanto meno patinata “storia dal basso”3. Storia di militanti che, come nel caso di Azzario, troppo spesso sono stati volontariamente rimossi dai gestori dell’ordine della memoria e dai loro partiti, anche quando, questi ultimi, per lungo tempo si son dichiarati “comunisti”.


  1. M. Lunardelli, A. Pellegatta, Isidoro Azzario sulla Terra e sulla Luna. Storia del Capostazione rosso che fondò il Partito Comunista d’Italia e che il fascismo rinchiuse in manicomio, Quaderni Rossi V, pagine Marxiste II serie, luglio 2023, p. 11  

  2. In proposito si vedano: A. Peregalli, M. Mingardo, Togliatti Guardasigilli 1945-1946, Colibrì, Milano 1998 e M. Franzinelli, N. Graziano, Un’odissea partigiana. Dalla Resistenza al manicomio, Feltrinelli, Milano 2015  

  3. Alessandro Pellegatta, oltre ad avere scritto già un altro testo su una figura dimenticata e contraddittoria dell’anarchismo, Infinita tristezza. Vita e morte di uno scalpellino anarchico (pagine Marxiste), ha anche curato, sempre per le stesse edizioni, due volumi sull’azione dei rivoluzionari in provincia di Varese e all’isola d’Elba nell’immediato secondo dopoguerra ed è tra i curatori del Dizionario biografico del movimento operaio, reperibile qui