di Giorgio Bona

(qui la prima parte)

Mi ritrovai all’incrocio tra il Nevsky Prospekt e il Vladimirskiy Prospekt. Una zona della città da sempre ritenuta malfamata, ma luogo ideale per il fermento della cultura underground.

Ecco il Caffè Saigon. Questo spazio fu un vero e proprio luogo di ritrovo per tutti quelli che nell’Unione Sovietica non si riconoscevano nella cultura organizzata dalle autorità ufficiali, in primis da quella della gioventù comunista del Komsomol.

C’era un senso di inquietudine perché la massa dei frequentatori stava per spostarsi in blocco e abbandonare il centro di incontro.

Pensai subito a un intervento della milizia da lì a poco e anch’io mi allontanai seguendo un gruppo di quattro ragazze che si accorsero della mia presenza. Una di loro mi aspettò e capii che era un invito a unirmi al loro gruppo. Così feci e lei disse di camminare veloce. Dopo venti minuti, eravamo in Via Rubinstein, al numero 13.

Questo era uno dei ritrovi magici per le prime esibizioni dei Kino, uno dei luoghi dell’anima di Viktor Coj.

Negli anni Ottanta si aprì la grande stagione del rock sovietico: accanto ai Kino si esibirono bande come DDT, Graždanskaja oborona, Mašina vremeni, che canonizzarono il genere certamente non senza problemi.

Se da un lato il fenomeno iniziò a diffondersi rapidamente, c’erano le spinte del governo che provarono a rendere vita difficile ai vari collettivi anche dopo la morte di Leonid Brežnev (1982). Ci provò Černenko (che muore però nel 1985) alimentando una caccia ai gruppi musicali costretti ancora una volta alla clandestinità. La ragione era proprio nei confronti dei testi prodotti che inculcavano cattivi valori identificati in droga, alcolismo e vita sregolata.

Tutti gli album di questi gruppi si diffusero su audiocassetta, in proprio: magnitizdat. In clandestinità. Queste cassette dovevano eludere la censura politica e diffondere il più possibile la musica.

Nella canzone dei Kino Khochu peremen (Voglio cambiamenti) uscita nel 1989, pochi mesi prima della caduta del Muro, siamo in piena Perestrojka sotto l’amministrazione di Michail Gorbačëv e i mutamenti evocati dal gruppo stanno rapidamente arrivando. “Cambiamenti chiedono i nostri cuori, / cambiamenti chiedono i nostri occhi, / […] / nelle nostre risate, nelle nostre lacrime, nel pulsare del sangue nelle vene…”.

Tale canzone diventò la colonna sonora dei giovani di Minsk nel bel mezzo di una rivolta non violenta suonata e cantata nelle strade e nelle piazze giorno e notte, per tenere sveglia la città e dimostrare una ferma opposizione dal basso al governo di Aleksandr Lukašenko.

Ma il testo arriva alla popolarità anche grazie a Assa, 1987, un film psichedelico che il regista Sergej Solov’ëv aveva girato negli anni Ottanta in Crimea e in cui anche Viktor interpretava una piccola parte: lo si vedeva camminare mentre indossava un lungo cappotto nero tra le sale vuote prima di entrare in ufficio. Lì incontrava una signora, la direttrice del ristorante, seduta a una scrivania. La signora gli leggeva un elenco di regole da seguire durante l’esibizione che doveva tenersi da lì a poco. Viktor sembrava ignorarla proseguendo imperterrito e salendo sul palco.

In Assa Solov’ëv aveva chiesto a Viktor di interpretare se stesso. I racconti degli amici testimoniano come lui non avesse atteggiamenti da rock star. In compagnia era piuttosto taciturno, scherzava poco e allo stile di vita rockettaro preferiva sport come il karate o la pesca. Il film rispecchierà dunque la persona che lui è: un emarginato, un solitario, di poche parole. E tale immagine offrì al suo pubblico durante gli anni di celebrità.

Nell’occasione della settantunesima edizione del Festival del Cinema di Cannes è stato presentato Leto (Summer, 2018), nuovo film del regista russo Kirill Serebrennikov. Il regista, tra l’altro non poté partecipare in quanto si trovava agli arresti domiciliari, accusato di peculato e irregolarità finanziarie nella gestione del Centro Gogol’ di Mosca. La parte di Viktor Coj vi è interpretata dall’attore tedesco coreano Teo Yoo: in effetti Viktor aveva tratti asiatici essendo figlio di un ingegnere cazaco di origini coreane e di un’insegnante russa.

Il film narra l’incontro di Coj con “Mike” Naumenko e sua moglie Natal’ja, un giorno d’estate 1981. In quel mese di agosto 1981 nasce la band con il nome Garin i Giperboloidy.

Nel film Serebrennikov tiene a far emergere quello che Naumenko aveva individuato in Viktor: un talento artistico straordinario. Il regista non manca peraltro di evidenziare anche la stretta sorveglianza che gli agenti del KGB esercitavano sul gruppo.

Dagli inizi della sua attività musicale Viktor non seguì il modello di riferimento del potere imposto ai sovietici. Fu espulso dalla scuola d’arte, studiò intaglio del legno e successivamente lavorò per un paio d’anni nel locale caldaia del suo condominio che ora è un museo a lui dedicato. Viktor per il regime era l’ingranaggio imperfetto della locomotiva proletaria, il buono a nulla, l’inutile al progresso sociale.

Ormai il buio stava calando deciso e la strada era affollata dal popolo della notte. Da lì a poco avrei previsto un intervento della milizia, anche se tutti sembravano non preoccuparsi, attenti soltanto alla musica che veniva dall’interno del locale.

Qualcuno ripeteva le parole di una canzone che sembrava conoscere a memoria.

Come in un film di Pavel Lungin una delle mie improvvisate compagne di strada fermò un tassista abusivo per acquistare una bottiglia di vodka. Era cosa nota in Russia che i tassisti abusivi facessero anche mercato nero spacciando vodka agli alcolisti.

Con la bottiglia in mano la ragazza cantava: La morte ha valore per vivere, l’amore ha valore per attendere.

Tutto questo valeva un brindisi.

Cmo grammov?

Cmo grammov…

(2-continua)