di Francisco Soriano

ChatGPT è l’acronimo di Chat Generative Pre-trained Transformer, un prototipo sviluppato da OpenAI, una società di ricerca sull’intelligenza artificiale che promuove lo sviluppo delle Ai amichevoli (friendly Ai o Fai), cioè intelligenze capaci di contribuire al bene dell’umanità, ma con un meccanismo di evoluzione già soggetto a precisi controlli ed equilibri, come ha teorizzato il ricercatore Eliezer Yudkowsky. Nella ricerca di quello che ontologicamente rappresenta la cosiddetta ChatGPT, trovo nel web una definizione che ci chiarisce ulteriormente che cosa sia questo prototipo generato da una società di ricerca sull’intelligenza artificiale: «ChatGPT in qualità di chatbot si esprime normalmente con il testo ed è in grado di fornire un livello di conversazione al pari di un umano, anzi un fine intellettuale onnisciente. […] Il suo segreto è legato a un sofisticato modello di machine learning, quindi una capacità di apprendimento automatico da primo della classe. Ovviamente le sue eccellenti prestazioni si devono anche al lavoro di diversi istruttori umani che hanno contribuito allo sviluppo del cosiddetto apprendimento supervisionato e apprendimento per rinforzo.»

Continuando nella ricerca, si comprende anche che cosa sia un chatbot: un software che simula ed elabora le conversazioni umane (scritte o parlate), consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale. I chatbots possono essere semplici come programmi rudimentali che rispondono a una semplice query con una singola riga, oppure sofisticati come gli assistenti digitali che apprendono e si evolvono per fornire livelli crescenti di personalizzazione quando raccolgono ed elaborano le informazioni. Guidati da AI, regole automatizzate, elaborazione in linguaggio naturale (NLP) e machine learning (ML), i chatbots elaborano i dati per fornire risposte a richieste di ogni tipo. I chatbots possono essere di due tipi: i primi sono quelli dedicati alle attività (definiti come dichiarativi) e sono programmi monouso, cioè quelli che si focalizzano sull’esecuzione di una funzione. Usano delle regole: il suddetto NPL e un po’ di ML al fine di generare risposte automatizzate e colloquiali ai quesiti degli utenti. Le interazioni risultano essere molto specifiche e riferibili a funzioni di assistenza e di servizio. Il chatbot riferibile al secondo tipo viene definito come predittivo basato sui dati (di conversazione) ed è indicato come assistente virtuale o digitale: è sofisticatissimo, soprattutto interattivo e personalizzato rispetto ai chatbots dedicati alle attività. Questi chatbots sono consapevoli del contesto di riferimento e sfruttano la comprensione della lingua naturale (NLU), la NLP e la ML per imparare. Applicano intelligenza predittiva e analisi dei dati per consentire la personalizzazione in base ai profili degli utenti e al comportamento degli utenti precedenti. Gli assistenti digitali possono imparare nel tempo le preferenze di un utente, fornire raccomandazioni e persino anticipare le esigenze. Oltre a monitorare i dati e le linee guida, possono avviare conversazioni. 

Suppongo che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sia il risultato di un fenomeno ineluttabile. Gli scopi nella ricerca e nell’uso delle intelligenze artificiali si materializzano in una visione di futuro utilitaristica e funzionale al verbo del liberismo come sistema economico, politico e sociale. Ad esempio, in economia questi sistemi intelligenti trovano il massimo perseguimento degli obiettivi soprattutto nelle transazioni e nello sviluppo ottimale dei profitti nel mondo bancario. Infatti, i chatbots aumentano l’efficienza operativa e permettono alle aziende di risparmiare sui costi offrendo allo stesso tempo comodità e servizi aggiuntivi per dipendenti e clienti. Consentono alle aziende di risolvere molti tipi di query e i problemi dei clienti, riducendo la necessità di interazione umana. Con i chatbots, un’azienda può allo stesso tempo scalare, personalizzare ed essere proattiva. Per essere convenienti, le aziende che si basano sul lavoro umano sono costrette a concentrarsi su modelli standardizzati e sono limitate nelle loro capacità di sensibilizzazione proattiva e personalizzata. I chatbots consentono alle aziende di interagire con un numero illimitato di clienti in modo personale e in base alle esigenze della domanda e del business. Utilizzando i chatbots, un’azienda può fornire un servizio che assomiglia a quello umano, ma personalizzato e proattivo a milioni di persone contemporaneamente. La ricerca dei consumatori mostra che le app di messaggistica stanno diventando il metodo preferito per connettersi con le aziende per determinati tipi di transazioni. Distribuiti attraverso piattaforme di messaggistica, i chatbots consentono un livello di servizio e convenienza che supera quello che gli esseri umani possono fornire. Le stesse funzionalità che aiutano le aziende a ottenere una maggiore efficienza e una riduzione dei costi offrono anche vantaggi ai clienti.

Questa lunga premessa serve a farci comprendere quanto siamo immersi in una modalità cronologica radicalmente diversa, denominata “èra dell’antropocene”. La nuova visione del presente/futuro determina oggi una mutazione radicale delle nostre abitudini quotidiane e si basa fondamentalmente su concetti di mobilità, velocità nel tempo, di utilità e performances economiche, sublimazione degli utili. La ridefinizione di molte dinamiche della nostra esistenza secondo nuove attitudini nelle relazioni fra gli esseri umani ha costretto ognuno di noi a muoversi verso una digitalizzazione che ha trasformato le società in sistemi di vita (soprattutto dal punto di vista economico), in cui le popolazioni devono conformarsi alla cosiddetta priorità mobile. Per questi motivi i chatbots assumono un’importanza inarrestabile: i chatbots intelligenti sono interfacce per le applicazioni mobili e hanno cambiato il modo in cui interagiscono le aziende e i clienti. Consentono alle aziende di connettersi con i clienti in modo personale senza la spesa di rappresentanti umani.

In campo economico e finanziario questo sistema, figlio di una visione meramente capitalistica, mostra tutte le sue potenzialità (seppure anche in questo campo le contraddizioni e le negatività sono rilevanti). Al contrario, in altri spazi come nelle istituzioni scolastiche e accademiche, l’utilizzo pone legittimi dubbi. Ad esempio, per questioni riguardanti la sicurezza, l’accesso a ChatGPT è vietato alle reti e ai dispositivi delle scuole pubbliche di New York, secondo quanto dichiarato da Jenna Lyle, portavoce del Dipartimento dell’educazione della città. Questo indirizzo è stato seguito anche da altre realtà urbane come Los Angeles, dove l’accesso a ChatGPT è stato bloccato al fine di proteggere l’onestà accademica, mentre sempre di più viene condotta una valutazione dei rischi e dei benefici. Un’altra notizia è che questo indirizzo viene condiviso dall’International conference on machine learning (Icml), la più prestigiosa al mondo che proibisce l’uso delle intelligenze artificiali per la scrittura di testi accademici. Le preoccupazioni risiedono anche sull’approccio negativo circa l’apprendimento delle discipline da parte degli studenti. In Australia tutte le università hanno aderito a una organizzazione chiamata: The group of eight. L’obiettivo principale di questa organizzazione ha riguardato la validità e l’opportunità di utilizzo delle intelligenze artificiali nella didattica e nella redazione delle prove da parte degli studenti. Infatti si impone agli studenti lo svolgimento di esami con carta e penna per controllare che le prove non vengano redatte con ChatGPT. Non a caso sono stati aggiornati i regolamenti universitari, con la previsione di sanzioni a carico di coloro i quali trasgrediscono le regole.

Sono consapevole di quanto accade nella nostra reale condizione di esseri digitali. Non credo sia possibile evitare un percorso che mi appare ineluttabile, ma è necessario vigilare che i processi avvengano soltanto in alcuni settori. Non sono stato sorpreso dalle esternazioni dei profeti della cosiddetta letteratura elettronica. Questi ultimi si presentano come figure ieratiche nella manifestazione di un nuovo vangelo del progresso, irradiato dai bagliori di una fantomatica poesia intelligente. In realtà, già la definizione di “poesia intelligente” costerna e sorprende.

Una spiegazione sul ruolo dell’intelligenza artificiale utilizzata in letteratura o nelle scritture in generale è arrivata puntuale. Si asserisce, ad esempio, che da un punto di vista poetico la sbandierata intelligenza artificiale è soltanto uno strumento. Infatti, si specifica che l’AI è un motore di ricerca che genera testi seguendo un metodo probabilistico e non una ragione che sostituisca quella dello scrittore che invece può sfruttarne gli algoritmi per avere materiali di lavoro, sperimentare nuove tecniche compositive, immaginarsi possibili sviluppi editoriali (in questo senso vi sarebbe il superamento dello strumento-libro-cartaceo e di ogni forma-opera, attraverso l’addestramento di una macchina generatrice della propria opera poetica o narrativa, lasciata viaggiare in rete con la finalità di coinvolgere i lettori nella trasformazione dei testi, rendendoli finalmente e realmente inter-attivi).

La sensazione è che i nuovi sostenitori delle intelligenze digitali verranno presto smentiti dalle loro stesse fantasmagoriche previsioni, anche sulla ipotetica fondazione di un canone letterario e poetico basato sostanzialmente sulla “emotività elettronica” e su un linguaggio assemblato secondo leggi algoritmiche. Tutto era stato già previsto e immaginato da quel genio di Primo Levi, in un racconto fra l’esilarante e il profetico post-modern, contenuto nella raccolta Storie naturali dal titolo: Il Versificatore. Il cosiddetto Versificatore era un congegno, una macchina, un generatore che impostato nei suoi comandi (oggi si definiscono prompt), partoriva temi, metrica, storia, contenuti, testi in perfetto stile poetico, secondo l’argomento, il registro, la forma metrica e la determinazione temporale scelti dal programmatore. Nel racconto tutti i protagonisti sembrano estasiati dalla velocità senza limiti del versificatore, ad eccezione della segretaria che ha già percepito come finirà con l’infernale congegno che guarda con sospetto, proprio per la sua naturale incapacità di “generare” sentimenti.

Immaginate per un attimo, come sostengono i chatGPTisti nostrani, che venga chiesto alla “macchina” di riscrivere una poesia mettendo in risalto le parti più emozionali o, al contrario, di rimanere più oggettivi e distaccati. Oppure che si invochino interazioni fra lo scrittore e la macchina che restituiscono angolature del proprio lavoro inedite, nuove idee, possibili progetti seriali. È sulla base di queste affermazioni che una serie di domande ci sorgono spontanee.

Perché non lasciare solo a noi stessi di occuparci delle parti emozionali con l’umana capacità di percepirle, senza il supporto di un congegno artificiale seppur finemente intelligente, programmato e corretto nel lessico? Perché produrre progetti seriali attraverso testi rielaborati, considerando che in diversi generi di scrittura questo esperimento ha già manifestato successi e riconoscimenti nella storia letteraria senza il bisogno di un versificatore? Qual è lo scopo di produrre un testo che, alla fine, grazie a una serie di trasformazioni testuali, non rimarrà più lo stesso? Affinché il lettore interagisca con l’autore è davvero necessario che ciò debba avvenire in rete, mutando qualcosa che rappresenta già a pieno titolo uno strumento di comunicazione e trasmissione? Se il panorama poetico italiano è così asfittico e privo di esempi letterari di rilievo si migliorerebbe, ricorrendo a congegni di scrittura artificiali, lo stato delle cose? Gli esponenti delle “neoavanguardie elettroniche” che propongono nuovi canoni poetici adeguati ai tempi sono consapevoli che non esiste un processo fisiologico dell’arte nella sua mutazione in relazione al tempo in cui si realizza? Riguardo alla poesia si considera l’assetto genetico, la sua stessa ontologica manifestazione di musica, metrica e immaginario? La parola “lirica” rappresenta per i nuovi sostenitori della poesia intelligente un limite, un’agonia, un’assurda disarmonia, una parolaccia?

Come si può immaginare che la metrica sia qualcosa di meramente meccanico? Il metro, con i suoi schemi e le sue formule, è da sempre l’artificio necessario perché la poesia raggiunga il suo più alto grado di profondità. E non è necessariamente a un metro prestabilito, tradizionale, che occorre pensare, basta che alcuni aggregati di parole e ritmo si presentino capaci di esistenza autonoma e si facciano così portatori di quel secondo significato che con la poesia è tutt’uno. Non a caso dovremmo ricordare quanto sostenuto da Montale: l’architettura prestabilita, la rima ecc., a parte l’uso che ne fanno i grandi poeti, hanno avuto un significato più profondo di quanto non credano i poeti liberisti. Esse sono sostanzialmente ostacoli e artifizi. Ma non si dà poesia senza artifizio.

La poesia è fenomeno interiore e, in quanto tale non è moderna, non è antica, non è post-moderna, non è antropocentrica, la poesia è linguaggio. È nel suo materializzarsi, nel suo farsi parola, che essa inizia a esistere: Il poeta non deve soltanto effondere il proprio sentimento, – continua Montale – ma deve altresì lavorare una sua materia, verbale, “fino a un certo segno”, dare della propria intuizione, quello che Eliot chiama un “correlativo obiettivo”. Solo quando è giunta a questo stadio la poesia esiste, e lascia un’eco, un’ossessione di sé. Che cosa ne sarebbe stato dell’Infinito di Leopardi senza il controllo delle correzioni e delle cancellature (tracce tangibili dei processi e dei sentimenti che il poeta esprimeva arrovellandosi sulla poesia) che ci hanno mostrato le ansie, la ricerca, il dolore, la felicità del suo testo poetico?

Non interagirò mai in modalità digitali, utilizzando una macchina da me programmata; né potrò colloquiare, confrontarmi, utilizzare uno schermo, un sistema o una piattaforma digitale per “progettare” una poesia. Non desidero conformarmi, perché anche di questo si tratta, a un retroterra ideologico generato da un’idea di società che esalta lo sviluppo di artifici intelligenti al fine di modificare relazioni, percorsi umani, dialettiche, visioni, sulla base e all’origine di una idea di sfruttamento degli esseri umani in nuove modalità, rivoluzionando di conseguenza anche le modalità di produzione di linguaggi e culture. Non risponderò mai a logiche meccanicistiche nella “produzione di materiali” frutto “esclusivo” del più sublime processo dell’immaginazione umana. Risponderò alla magia del pensiero poetante, alla forma artigianale della scrittura, alla combinazione di ellissi che coagulino nel mio sangue e nei miei tessuti il senso e il motore della nostra incredibile esistenza; consentirò percorsi percettivi che dai miei timpani attraversino, assediando il mio corpo in incendi poderosi, la mia pelle. Attenderò paziente e lentamente il vortice della parola che si fa carne, al fine di sublimare lo spirito e manifesti nel corpo fisico l’eccelsa armonia di un gesto. Rimarrò, in tempi mai accelerati, a vegliare questa misteriosa quanto affascinante strategia esistenziale che mi accomuna ad altri esseri di questo universo. Non delego il mistero del Vuoto e del Nulla agli algoritmi di un insulso processore così intelligente da fornirmi le giuste e perfette soluzioni al mio linguaggio, riproducendo significanti senza significato. Non abiuro in favore di un monolinguismo generato da un progresso astruso, fra il demenziale videogioco e l’immagine proiettata in pixel.

Poche settimane fa un’alluvione ha devastato la Romagna. Fra le vittime di questo disastro (del quale non è immune una certa idea di sviluppo e sfruttamento nell’era dell’antropocene), c’è stata la Biblioteca Armando Borghi di Castel Bolognese. Schiere di persone si sono prodigate nel recupero di libri immersi nell’acqua e nel fango, fra pianti, delusioni, rabbia, dolore, amicizia. Erano solo cumuli di carta ammucchiati nella devastazione della via Emilia che attraversa l’intero centro urbano. Una pietas umana ci ha còlti, quasi di sorpresa, in quel cimitero assurdo di migliaia di testi cartacei gettati supini e senza vita, corpi-esseri umani sul selciato della strada, infangati, feriti, offesi. Non abiuro neanche a questo dolore, immaginando una rivoluzione editoriale che ci privi di un bene supremo, utile nella sua sublime “inutilità” come un libro di carta.

Una strana, quasi antica tristezza mi sorprende nello scrivere questo testo ai confini di una altrettanto incredibile deriva digitale che ipotizza poesie intelligenti grazie a macchine intelligenti. Cerco versi che mi diano una sola speranza di resistenza a questa oscena idiozia fra i libri della mia biblioteca, sacrario della mia abitazione e del mio fugace rimanere in questo mondo così abnorme. Mi capitano, come per assurda coincidenza (ma è il solito miracolo della poesia), alcuni versi di Eugenio Montale in Satura:

Dicono che la mia
sia una poesia d’inappartenenza.
Ma s’era tua era di qualcuno;
di te che non sei più forma, ma essenza.
Dicono che la poesia al suo culmine
magnifica il Tutto in fuga,
negano che la testuggine
sia più veloce del fulmine.
Tu sola sapevi che il moto
non è diverso dalla stasi,
che il vuoto è il pieno e il sereno
è la più diffusa delle nubi.
Così meglio intendo il tuo lungo viaggio
imprigionata tra le bende e i gessi.
Eppure non mi dà riposo
sapere che in uno o in due noi siamo una cosa sola.

 

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Bibliografia

Montale E., Della poesia d’oggi, in Sulla poesia, Mondadori, Milano 1976, pp. 557-558.

Id., Xenia I, 14, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2011, p. 302.

 

Siti utilizzati

Introducing ChatGPT, su OpenAI, https://openai.com/blog/chatgpt

Come funziona ChatGPT, il bot conversazionale diventato virale, su Wired, https://www.wired.it/article/chatgpt-bot-conversazionale/

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