di Luca Cangianti

Marino Severini con Alberto Sebastiani, Quel giorno Dio era malato. Sulle strade dei Gang, storie e canzoni, Milieu, 2023, € 16,50.

Tutto inizia a Bologna il 1° giugno del 1980 al concerto dei Clash. Marino Severini e suo fratello Sandro hanno una vera e propria illuminazione. Si arruolano nell’esercito rivoluzionario del combat rock e iniziano un’avventura musicale che giunge fino ai nostri giorni attraverso molte evoluzioni, contaminazioni e collaborazioni. Quel giorno Dio era malato, uscito da poco più di un mese per Milieu edizioni, è il racconto ispirato e dinamico del back stage creativo di un viaggio lungo quarant’anni tra autogrill, alberghi, camerini e palchi circondati da un popolo allergico alle logiche di palazzo.

Per il gruppo marchigiano dei Gang, la musica è militanza e la chitarra, come per Woody Guthrie, è una macchina utile a sconfiggere il fascismo. Le «lotte vanno cantate» dice Severini, anche quelle sconfitte, perché solo in questo modo possiamo creare l’immaginario antagonista necessario a sostenere nel tempo la resistenza degli oppressi. Da questo punto di vista si spiega la decisione del gruppo, presa all’inizio degli anni novanta, di passare dall’inglese all’italiano, accentuando aspetti narrativi e tradizionali che consentissero la valorizzazione della vita operaia, popolare e perfino contadina. I riferimenti politici e musicali emergono così da una miscela esplosiva di cantautori e movimenti rivoluzionari: Pete Seeger, Phil Ocks, Bob Dylan, Joan Baez, Ivan Della Mea, Paolo Pietrangeli, Christy Moore, Bruce Springsteen, Billy Bragg, Steve Earle, Jay Farrar, Tom Morello, i partigiani, gli zapatisti, i no tav e persino i seguaci della teologia della liberazione.

Per chi non abbia direttamente vissuto esperienze simili a quelle raccontate nel libro, a volte può esser difficile capire a pieno l’entusiasmo etico ed estetico che attraversa questa prosa simile a una ballata. Se però inquadriamo i codici qr che rimandano ai video delle canzoni, i cui testi sono perfettamente amalgamati con il flusso narrativo, tutto diventa d’immediata e piacevole comprensione. Perfino il comunismo sembra qualcosa a portata di mano: «per me – scrive Severini a tal proposito – è proprio questo in fin dei conti, conquistare un giardino per ogni essere umano, perché ogni essere umano ha diritto al proprio giardino, a coltivarlo, a prendersene cura, a godere della sua magnificenza, a spartirne con altri i semi dei fiori e delle piante».