di Francesco Festa

Simona Frasca, Mixed by Erry. La storia dei fratelli Frattasio, Ad Est dell’Equatore, Napoli, 2023, pp. 252, € 15,20

Vi sono libri che, come matrioska, contengono altri libri, e a loro volta, altri ancora. Certamente quello scritto da Simona Frasca, Mixed by Erry. La storia dei fratelli Frattasio è un esempio par excellence. Un contenitore di tanti libri. Anzi, suggestivamente, è un “cascione” di ricordi, memorie individuali e collettive. Una sorta di sherazade di storie di vite – come lo definisce la stessa autrice. Un cascione di vicende esistenziali e di spaccati generazionali. In particolare, di chi ha svolto il proprio apprendistato giovanile fra gli anni Ottanta e Novanta. Uno scorcio di anni frapposto fra i riverberi dell’“orda d’oro”, dell’ondata rivoluzionale ed esistenziale degli anni Settanta, e la repressione degli stessi movimenti politici, la diffusione dell’eroina e, complessivamente, la controrivoluzione neoliberale. Gli anni del “no future” insomma, o anche della “fine della storia” per il capitalismo yuppistico.

In quello scorcio, col senno di poi, non tutto è andato perduto. Nuove forme di aggregazione, di partecipazione e di produzione hanno scavato come talpe ricomponendo un altro possibile. Un senso di quegli anni è sintetizzabile nella categoria di “postmoderno”, ché per almeno due generazioni ha significato la sperimentazione di quanto accennato o intuito negli anni Settanta. Pier Vittorio Tondelli parla del postmoderno italiano degli anni Ottanta come di un insieme di “frammenti, reportage, illuminazioni interiori, riflessioni, descrizioni, fra gruppi teatrali, artisti improvvisati, musici imberbe e filmaker perditempo”.

È in questo contesto storico che va iscritto il libro di Simona Frasca. Poi, va calato nella realtà di Napoli. E, infine, provando a districare quella matrioska di storie postmoderne, vi sono i frammenti biografici, in cui l’autrice cerca di districarsi.

I racconti si accavallano nel flusso della memoria, assumono un ritmo serrato. Per me diventa faticoso contenere la vertigine attivata dalle rievocazioni. Le sessioni di registrazione delle interviste diventano sempre più lunghe. Devo dare ordine alle cose nel caos della vita dei Frattasio. E soprattutto, devo mettere ordine anche dentro i miei pensieri. Per quanto mi sforzi. Per quanto mi dica che il mio sguardo deve essere oggettivo, è difficile non farsi coinvolgere, non prendere parte, non essere empatici. Io faccio loro delle domande. Mi rispondono. Ma il tutto non si limita a questo. È inevitabile che il mio prestare ascolto accolga anche dell’altro. Proprio come accade a un antropologo, questa mia disponibilità ha bisogno continuamente di essere azzerata per ricondurre la narrazione della vicenda a un livello adeguato di oggettività (p. 80).

Mixed by Erry parla di mondi che, a buon titolo, sono catalogabili fra i “miti d’oggi” – come spunto dalle preziose osservazioni di Roland Barthes. Mito come costruzione mitica, mitopoietica, ché è quanto realizzato dai fratelli Frattasio, i quali sono stati artefici di qualcosa che prima di loro non esisteva: preconizzatori di un idealtipo musicale, la compilation, e altresì di modelli economici inesistenti prima delle loro intuizioni. Un mito che, in quanto tale, una volta menzionato è capace di scoperchiare quel cascione e farne uscir fuori una moltitudine di ricordi e storie. E difatti, il libro è un tuffo nel passato di ognuno di noi, o meglio di quelle generazioni iniziate alla musica grazie ai fratelli Frattasio – di cui, oggi, ne conosciamo il nome – oppure di quegli adolescenti, ascoltatori maniacali di musica attraverso le radio di provincia, che conservano gelosamente le musicassette con l’etichetta “Mixed by Erry. La dimensione ideale per l’ascolto pulito”.

D’altronde, il mito ha anche un’altra caratteristica, una sorta di sviluppo politico, socialmente trasversale, poiché viene utilizzato dalle classi dominanti per cancellare le differenze tra le classi sociali tramite i prodotti commerciali e culturali e, in particolare, per favorire l’alleanza tra borghesia e la piccola borghesia, anzi, precisamente, per appropriarsi dell’intelligenza e della creatività delle classi subalterne e farne oggetto dei propri desideri.

L’autrice, dunque, ripercorre la vicenda di Mixed by Erry, attraversando idealmente i dedali di Forcella, della Duchesca e del Centro storico (un corredo di foto in appendice al libro ne restituisce, infatti, il contesto). In maniera caleidoscopica, Frasca ricostruisce la vita economica, politica e sociale di Napoli. Una città che si barcamenava fra il dopo terremoto del 23 novembre 1980, le faide di camorra, da una parte, e dall’altra, il Napoli di Maradona del primo e secondo scudetto, i movimenti dei disoccupati organizzati, i primi centri sociali e le controculture musicali. E in mezzo, vi era un’economia parallela o, precisamente, l’economia reale: il commercio di nuovi prodotti, il contrabbando e la contraffazione di nuovi beni e di nuovi miti (le sigarette, l’abbigliamento, le musicassette, ecc.), quali prodotti, a loro modo, originali sul mercato.

Il legale e l’illegale all’epoca erano la stessa cosa, lo stato in mancanza di lavoro ci lasciava fare quello che volevamo. Erano gli anni in cui si facevano le multe di miliardi che mai sarebbero state pagate ma che si dovevano fare per legge (p. 152).

Che tale settore o tali condotte vengano rubricate dalla legge sotto forma di “pirateria” è aspetto assai risibile rispetto a un dato inconfutabile, ossia, di quei beni e di quei prodotti si rifornivano trasversalmente sia i “ceti subalterni” che la borghesia, tanto a Napoli quanto nel Meridione, se non nel resto d’Italia.

D’altro canto, la pirateria è una categoria ambivalente, sotto tanti aspetti. Ad esempio, gli storici si sono interrogati sulla stessa e sulla figura mitica del pirata. Preconizzatore spietato di nuove terre e nuovi mari oppure un “Robin Hood” delle risorse opulenti dei privati accaparratori? I “ribelli dell’Atlantico” (ex marinai, schiavi, soldati, plebaglia, affiliati a sette religiose radicali), ossia “i pirati dall’ideale utopico”, hanno istradato – a loro insaputa – a partire dalla fine del XVI fino al XVIII secolo l’espansione coloniale inglese nelle terre vergini delle Americhe. Oppure, come raccontato da Wu Ming, con un registro mitico, i pirati hanno inventato forme di produzione sociale, in controtendenze anche alle forme statuali e contro il senso comune, diffondendo idee di libertà e giustizia sociale. Tuttavia, una volta sgamata, la pirateria di qualsiasi epoca e situazione viene poi imbrigliata in dispositivi di controllo e repressione. Si chiamino fiscalità o diritti d’autore oppure copyright, in fin dei conti tali dispositivi sono forme di espropriazione delle creazioni sociali, collettive, messe in atto da precursori innovativi e utopici. Tale processo appare come una sorta di “accumulazione originaria”, ante litteram, cioè, di preistoria del capitale e del modo di produzione di determinati beni.

Nel libro vi è ampio spazio dedicato ai dati con cui vale la pena di fare i conti per interrogarsi sul fenomeno, il quale non può essere rubricabile nella categoria di pirateria. Se si parla che “il 21% del mercato mondiale valutabile in circa 40 miliardi di dollari era costituito da prodotti illegali per un valore di oltre 2500 milioni di dollari” (p. 174), è impensabile che fosse tutto oggetto di pirateria, di falsificazione? Per rispondere a questa domanda, giunge in soccorso uno stralcio di intervista – fra le tantissime presenti nel libro – a Peppe Vessicchio, noto compositore e direttore d’orchestra al Festival di Sanremo dal 1990, che pacatamente sostiene “come tanti altri non sapevo chi fosse Louis Vuitton fino a quando quel nome non è comparso su centinaia di borse in vendita sulle bancarelle” (p. 69). E di fatto, grazie a Mixed by Erry, “tanti cantanti di rilievo locale come Franco Ricciardi, Federico Salvatore e Tony Tammaro hanno ottenuto pubblicità gratuita”. A maggior ragione, il sogno di un musicista qual è? Altrimenti detto: cos’è la musica se non arte quale prodotto sociale che, giocoforza, deve divenire bene comune per essere conosciuta e ascoltata possibilmente da quante più persone?

Detto fuori dai denti, la portata del fenomeno pirateria è icasticamente rappresentato dalla confidenza di Luciano D’Angelo, il Pubblico ministero che ha firmato le misure cautelari ai fratelli Frattasio, nella prima metà del 1997. Nonostante il suo ruolo, il Pm rivela che “anche lui aveva una discreta raccolta di cassette Mixed by Erry anche se, specifica, le aveva collezionate prima di interessarsi al caso” (p. 173).

In conclusione di Mixed by Erry – che è davvero una bella lettura – resta come una metafora, quella del gatto e del topo: fra lo Stato, il capitale, la legge e la Guardia di finanza, da una parte, l’intelligenza collettiva, il sapere sociale, dall’altra. Provando una traduzione dell’ermeneutica marxista alla produzione di questa tipologia di valore e di bene, non pare peregrina l’ipotesi di come il valore d’uso del sapere, immagazzinato in quelle centinaia di migliaia di musicassette e cd-rom distribuite fra bancarelle e negozi, più o meno ufficiali, sia stato assai superiore del valore misurato e mercificato dal capitale stesso. Quelle musicassette – con Marx dei Grundisse – è “sapere sociale generale”, “knowledge”, “general intellect”, tale da materializzarsi in “prassi sociale” e “processo di vita reale.”

Dell’impresa dei fratelli Frattasio per cui hanno pagato con l’onta del carcere, oggi, cosa resta? Di certo resta un’infinità di domande di per sé ambivalenti e tutte afferenti a un rapporto, risalente alla notte dei tempi, fra le pratiche di libertà e i dispositivi di controllo. Ma soprattutto, resta un archivio di emozioni, riaccese con questo libro, e un repertorio sconfinato di musicassette su cui tante generazioni sono cresciute.

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