di Fabio Ciabatti

E siamo arrivati a 20. Venti anni di “Carmilla on line” che seguono quelli della pubblicazione, iniziata nel 1995, della “Carmilla” cartacea. Nel 2003 il trasferimento della rivista sul web poteva sembrare una soluzione di ripiego e probabilmente fu vissuta inizialmente in questo modo. Ma questa scelta si è rivelata lungimirante anticipando una tendenza che di lì a breve si sarebbe generalizzata.

Ma perché Carmilla? Intendo dire, perché Valerio Evangelisti ha scelto questo nome per la sua rivista che, come recita ancora il sottotitolo, doveva occuparsi di letteratura, immaginario e cultura di opposizione? Si è trattato di un nome per nulla casuale che ci dice alcune cose significative sull’opera narrativa e politica del creatore di Eymerich.
In questa ricorrenza vorrei fare delle considerazioni (che, come costume di questa rivista, non impegnano la redazione) su questa scelta basandomi principalmente su alcuni articoli di Evangelisti. Ma prima di arrivare alla nostra Carmilla partiamo con quella che potrebbe sembrare una digressione. Evangelisti non sceglie un nome come Mompracem, nonostante sia un ammiratore di Salgari e della sua capacità di creare una letteratura popolare che “resiste ancora”, nel duplice significato di una narrativa che resiste al tempo e alla colonizzazione dell’immaginario. Anche se riconosce la grandezza di Salgari, Evangelisti non pensa di rappresentare la sua impresa editoriale attraverso figure come quelle di un Sandokan “che più romantico non si può” o di uno Yanez, “che più ironico non si può”.1 No, sceglie la vampira Carmilla, una figura senz’altro perturbante in linea con la sua convinzione che per combattere la colonizzazione dell’immaginario è necessaria “una narrativa massimalista, autoconsapevole, che inquieti e non consoli”.2 Il personaggio creato nel 1871 da Joseph Sheridan Le Fanu, infatti,

Allude più volte alla natura selvaggia e non contrastabile dei propri istinti, che sazia eccitando gli istinti altrui. Ruba il sangue per riempire di vita la propria morte, perpetua la lussuria sua e di altri, cerca, più che anime dannate, compagne di giochi, seppur defunte, che la salvino dal peso dell’ombra.3

Evocando questa figura Evangelisti cerca di immaginare “una sinistra che della vampira Carmilla condivida il potere seduttivo, trasgressivo, lunare e libertario”.4 Se il conte Dracula è, marxianamente, la mostruosa personificazione del capitale che ci succhia il sangue condannandoci a una non morte, la salvezza, sostiene lo scrittore bolognese, non può arrivare da un Van Helsing qualsiasi.

Secondo un vecchio, ma sempre interessante articolo di Franco Moretti dedicato a Frankenstein e Dracula, The Dialectic of Fear,5 la letteratura del terrore è nata proprio dalla profonda paura suscitata dalla lacerazione della società e dal desiderio di restaurare l’equilibrio infranto. A tal fine intervengono gli antagonisti del mostro che, secondo Moretti, sono sempre rappresentativi della mediocrità del diciannovesimo secolo: nazionalisti, stupidi, superstiziosi, filistei, impotenti e autocompiaciuti. Ma soggiogato dall’orrore per il mostro, il pubblico accetta tutti questi difetti senza fiatare. La terribile creatura serve dunque a rimuovere gli antagonismi e gli orrori dall’interno della società e a dislocarli al di fuori di essa in quanto la minaccia proviene da ciò che appare come l’assolutamente sconosciuto. Chiunque osi combattere il mostro diventa immediatamente rappresentativo dell’intera società ricostruendone un’immaginaria coesione.

L’obiettivo dell’attività narrativa e politica di Evangelisti non è certo quello di difendere l’ordine dominante minacciato. Per questo non può affidare, come fa Bram Stroker, il ruolo di antagonista di Dracula a Van Helsing, con tutto il suo armamentario di aglio, paletti e crocefissi. La lacerazione di cui ci parlava Moretti non va sanata, ma approfondita. “Solo un vampiro può sconfiggere un altro vampiro”6 e per questo bisogna scatenare Carmilla contro il vecchio conte Vlad e tutto ciò che rappresenta. Insomma, bisogna rispondere “ai morsi con i morsi”.7
Nella visione politica e nella poetica di Evangelisti non c’è spazio per un ingenuo ottimismo, né per alcuna indulgenza verso il mito del buon oppresso. In fin dei conti anche gli sfruttati possono essere dei lupi feroci. Ed è bene che lo siano al momento giusto. Tutto il contrario di quello che ci propone “questa epoca di sinistre virtuali e non reali”.8 Ce lo ricorda in Black Flag, quando Pantera riesce finalmente a vedere con chiarezza la vera natura dei suoi nemici:

Non erano esseri umani: erano lupi. Lupi diversi dalla sua guida però. Più famelici che affamati, più crudeli che selvaggi, più violenti che forti. Odiavano tutti, si odiavano tra loro, ma soprattutto odiavano lui, che pure apparteneva alla stessa specie, e la sua diversità […] pregustavano il momento in cui avrebbero soppresso l’anomalia, il lupo di branco. Feroce quanto loro, ma non sempre e non comunque.9

Gli oppressi, al pari dei loro oppressori, devono avere “la volontà, la determinazione, la capacità di lacerare la notte con lo sguardo penetrante del lupo o del felino”.10 Gli oppressi, possiamo chiosare, non devono rinunciare a un lucido odio di classe. Ma, ci ricorda Evangelisti, Carmilla è soprattutto “amore e intelligenza”. Amore perché le sue vittime, che sono in realtà sue compagne di giochi, andranno incontro a una vita certamente difficile, ma ricca di profumi, sapori, sensualità. Intelligenza, termine su cui Evangelisti insiste, perché bisogna opporsi allo “stato di catalessi” che caratterizza la vita “nel gigantesco luna park dell’immaginario colonizzato”.11

Odio, amore, intelligenza. È possibile tenere insieme cose apparentemente così differenti? Chiamiamo in causa un altro autore di fantascienza, China Mieville, che afferma con forza l’inevitabilità dell’odio da parte degli oppressi di fronte allo svolgimento della storia umana e, in particolare, alle dinamiche del nostro sistema caratterizzate da crescenti crudeltà.12 Se si vuole resistere a queste mostruosità l’assenza di una massa critica di odio può essere un significativo ostacolo. Citando Aristotele, Miéville sostiene che l’odio non provoca desiderio di vendetta, ma il desiderio che il suo oggetto non esista. Ciò, riportato a temi politici dei nostri tempi, non comporta la volontà di annichilire gli individui, ma il desiderio di sradicare la borghesia come classe. Tuttavia è necessario entrare in empatia anche con l’odio individualizzato. Denunciarlo come mero fallimento etico significa richiedere agli oppressi una quantità irragionevole di santità. In fin dei conti, possiamo aggiungere, si può arrivare a odiare una classe solo passando attraverso le sue incarnazioni individuali.
Eppure, prosegue Miéville, non ci si dovrebbe mai fidare dell’odio perché esso può essere facilmente interiorizzato, diventando mortifero disprezzo verso sé stessi, o esternalizzato, rivolgendosi contro chi meno lo merita. L’odio può trasformarsi in rabbia cieca o in apocalisse senza cervello. Per questo deve essere integrato in una logica strategica ed essere supportato da una base etica che, per quanto riguarda il comunismo, è rappresentata dall’idea che la libertà di tutti è condizione e non limite per la libertà di ciascuno. In altri termini solo attraverso gli altri possiamo arrivare veramente a noi stessi arricchendo la nostra libertà individuale invece che diminuirla. A livello personale questa etica, come è stato sostenuto da Terry Eagleton, è nota come amore. È proprio l’amore il sentimento che guida il vero rivoluzionario, ebbe a dire Che Guevara, pur consapevole che con questa affermazione rischiava di sembrare ridicola.

Dunque abbiamo visto che odio e amore, anche nell’ambito della lotta di classe, non si escludono a vicenda e che entrambi hanno bisogno di essere guidati da una notevole dose di lucidità E qui torniamo a Evangelisti per dire che c’è una differenza fondamentale tra lo stato di “catalessi”, di cui abbiamo già parlato, e quello di “veglia sognante” che lo scrittore bolognese chiama in causa per spiegare come, attraverso la migliore letteratura, “figure immaginarie acquistano l’evidenza di cose reali”.13 Un grande potere seduttivo, infatti, viene esercitato da chi, come i maestri della narrativa popolare, è capace di pescare, in modo più o meno consapevole, in forme di narrazione più antiche, talora ancestrali. In questo modo è infatti possibile rendere “il lettore non solo immediatamente familiare con la materia, ma anche straordinariamente aperto a una suggestione che, legandosi ad altre già presenti nella sua mente, penetrerà a fondo nella sua fantasia e, forse, lo condizionerà in futuro”.14 Nella veglia sognante c’è spazio per l’intelligenza, per la lucidità, nello stato di catalessi ogni capacità di discernimento viene messa a tacere.

Evangelisti tutto questo ce lo narra nei suoi romanzi. In Nicolas Eymerich, inquisitore il magister si scontra contro le seguaci dell’antico culto di Diana, la dea della fertilità, del contatto con la terra, del profumo dei boschi, della luce lunare e degli istinti, che si oppone al dio maschile, freddo e ragionevole. Nella scena finale, la dea invocata da una moltitudine di donne riunite sta finalmente per materializzarsi, acquistando “l’evidenza di una cosa reale”. Ma Eymerich, approfittando dello stato di “catalessi” della folla riesce a manipolare i suoi sogni e trasformarli in un incubo: alla fine ad apparire non è Diana ma Satana.
In Cherudek Friedrich von Spee, dopo aver affermato che l’esistenza di un immaginario condiviso da tutti è la sola ipotesi che dia ragione delle allucinazioni collettive, sostiene:

Bisogna che quelle visioni facciano parte degli archetipi che hanno sempre popolato le fantasie umane. Si tratta in effetti di risvegliare, per così dire, quel tipo di immagini. Di portarle a evidenza. Per fare questo, la mia limitata esperienza non mi suggerisce che un modo. Indurre la cavia, singola o collettiva, in uno stato trasognato. E poi trasmetterle l’immagine che vogliamo farle visualizzare.15

Lo stato trasognato, però, non coincide necessariamente con uno stato di incoscienza. Sempre in Cherudek, l’alchimista Rupescissa, il nemico di turno di Eymerich, fa un’importante precisazione:

La quinta essenza delle sostanze non è difficile da ricavare. Quello che è difficile è prendere coscienza della propria quinta essenza, del proprio spirito. Guidare cioè l’anima, la psyche, in un viaggio lucido nel mondo spirituale con cui siamo a contatto, osservando con consapevolezza ciò che di solito percepiamo solo confusamente in sogno.16

Ciò di cui parla Rupescissa sembra proprio assomigliare a quella veglia sognante che può aiutarci a evadere dall’immaginario colonizzato a condizione che sia possibile rispondere, come voleva Evangelisti evocando la vampira Carmilla, “all’ipnosi con la seduzione, all’animalità con l’intelligenza, all’omologazione con l’impulso di rivolta”.17


  1. Cfr. V. Evangelisti, Perché Mompracem resiste ancora, in Id., Le strade di Alphaville, a cura di Alberto Sebastiani, Odoya, Città di Castello 2022, p. 182. 

  2. V. Evangelisti, Una narrativa adeguata ai tempi, in Id. Le strade di Alphaville, cit. p. 78. 

  3. V. Evangelisti, Carmilla, Robespierre e il piacere aristocratico, in Id. Le strade di Alphaville, cit., pp. 153-154. 

  4. V. Evangelisti, …Et mourir de plaisir, in Id. Le strade di Alphaville, cit. p. 61. 

  5. Cfr, F. Moretti, The Dialectic of Fear, in “New Left Review”, n. I/136, nov.-dic 1982, pp. 67-85. 

  6. V. Evangelisti, …Et mourir de plaisir, cit., p.60. 

  7. Ivi, p. 62. 

  8. Ivi, p. 60. 

  9. V. Evangelisti, Black Flag, Einaudi, Torino 2008, p. 180. 

  10. V. Evangelisti, …Et mourir de plaisir, cit., p.60. 

  11. Ivi, p. 61. 

  12. C. Miéville, Odio mosso da amore, in “Jacobin Italia”, 1° dicembre 2022. 

  13. V. Evangelisti, Perché Mompracem resiste ancora, cit., p. 183. 

  14. Ibidem. 

  15. V. Evangelisti, Cherudek, in Id., Eymerich. Libro uno, a cura di A. Sebastiani, Mondadori, Milano 2019, edizione Kindle, cap. VI. 

  16. Ivi, cap. 17. 

  17. V. Evangelisti, …Et mourir de plaisir, cit., p. 62.