di Franco Pezzini

George Gissing, Verso il Mar Ionio. Un vittoriano al Sud, con un testo inedito di Virginia Woolf, trad. e cura di Mauro F. Minervino, Exòrma, Roma 2022.

“Questo è il terzo giorno di scirocco: enormi nuvoloni coprono un cielo senza sole. Tutto il colore di Napoli è sparito. Le strade sono diventare polverose e opprimenti. Ho desiderio di lontananza, delle montagne, del mare”.

Il genere travelogue, o – a dirla con termine complicato – narrazione odeporica è a tutt’oggi portatore di gioie: se ogni racconto costituisce in qualche modo un itinerario, quello di viaggio è un itinerario al quadrato, e permette di compenetrare materiali di tipo anche molto diverso con effetti felicemente vividi. Riflessioni personali, incontri, ritratti, affreschi sociali e antropologici, suggestioni artistiche e ovviamente paesaggistiche, eccetera… Evitando il più facile effetto-cartolina, cioè lo scontato e il banalizzante, i luoghi possono sorgere evocati quasi in forma cifrata come nelle antiche mappe con disegnini di città, costruzioni e simboli (si pensi a quelli che punteggiano la famosa Tabula Peutingeriana): ma è un fatto che qualunque narrazione geografica si sviluppi nel segno dell’immaginario, e che in buona parte la geografia che abbiamo in testa rimanga – a tutt’oggi – geografia fantastica.

Ma i racconti di viaggio (fermandoci qui a quelli a base reale, e non nel segno della più scatenata fantasia) capitalizzano anche da altri filoni, come le storie di esplorazione o la diaristica dei grandi viaggiatori o i loro corpora epistolari; e nell’Ottocento avanzato si fanno forti di nuovi ritrovati. Cominciando dagli anni Trenta, l’editore tedesco Karl Baedeker inventa guide di viaggio di lettura ancor oggi godibilissime, e saccheggiate dai narratori quanto al presente lo è internet; altri gioielli, di età vittoriana, sono le Bradshaw’s Guide di turismo ferroviario, varate a partire dal 1839, e che assieme a informazioni sugli orari dei treni inanellano cenni storici e utili consigli di luoghi da visitare. Alcune sono state recentemente ripubblicate con fedeltà all’impaginazione d’epoca e rappresentano una fonte d’intatta delizia.

A parte racconti di viaggio di autori famosi – i partner Shelley, per esempio, o Sade, o Goethe, o Melville… – resoconti di itinerari in paesi più o meno esotici riempiono le librerie sotto il regno della grande Vittoria. Quelli in paesi più distanti, o su confini più sfuggenti e pericolosi, appaiono spesso a firma di non meglio inquadrabili capitani plausibili informatori dei servizi britannici. Possibile che lo sia per esempio Basil Hall, che tra le molte missioni e avventure intervista Napoleone a Sant’Elena, organizza un viaggio per strappare Walter Scott dalla depressione e scrive quel Schloss Hainfeld; or, A Winter in Lower Styria (1836) utilizzato da Le Fanu come base per costruire l’apocrifa, vampiricissima Stiria di Carmilla. Affetto da qualche problema psichiatrico, Hall muore solo cinquantacinquenne al Royal Hospital Haslar di Portsmouth, ma restano i suoi godibilissimi resoconti.

L’Ottocento odeporico vittoriano viene chiuso dall’opera scintillante di George Gissing (1857-1903) ora presentata in lingua italiana, al cui incipit si devono le prime, straordinarie righe di questo pezzo, scritte come col pennello. Tutto parte dallo sconcerto dei suoi padroni di casa in via Chiatamone a Napoli, memori di pregresse fortune e desolati dello stato del paese, per la “stravaganza incomprensibile” di questo inglese di bell’aspetto, fronte alta e baffoni, di voler scendere “in un posto più a sud di Napoli” – visto che per loro Calabria e Marocco è in pratica “la stessa cosa”. In particolare lui si è fissato sul voler andare a Paola, “punto di attracco sulla costa più vicino a Cosenza”, in una regione “desolata e pestilenziale” tra febbri, nevi già autunnali, clima impossibile: e i padroni sospettano che ci sia “qualche altro motivo, più inconfessabile e ben più tangibile e reale di queste stramberie antiquarie da amante delle vestigia classiche”. Per qualche spesa deve girare attraverso una Napoli afflitta dallo scirocco, mentre prosegue uno sventramento dei vecchi quartieri che l’inglese osserva con perplessità. Si perde la “originaria e pittoresca confusione di un tempo” per lasciare il posto alla “volgarità cosmopolita”, riempiendo il porto vecchio di macerie e snaturando tutto; rimpiange persino lo schiamazzo dei vetturini d’un tempo. Per fortuna sopravvive la vecchia trattoria con la zuppa di vongole e il vino casalingo.

Attratto dai nomi antichissimi di Grecia e Italia, di un mondo classico visto come “possesso di bellezza tutto per me”, Gissing ha intrapreso il suo viaggio nell’Italia meridionale nel 1897 sulle tracce dei luoghi di fioritura della civiltà della Magna Grecia. L’itinerario dovrebbe essere quello evocato dall’archeologo francese François Lenormant (1837-1883) nell’opera La Grande Grèce (1881-1884), ma Gissing stesso sarà a sua volta di ispirazione per Norman Douglas (1868-1952, per Old Calabria, 1915); e del resto merita ricordare che proprio nel 1897 del viaggio di Gissing, Samuel Butler (1835-1902) ipotizzava in The Authoress of the Odyssey un Omero donna nata nel Meridione d’Italia, una giovane siciliana ispiratasi alla zona di Trapani e isole prossime quale set del poema. Il Mezzogiorno d’Italia si svela così in quegli anni una terra “classica” per eccellenza.

Certamente c’è un’idea pittoresca del meridione che fa i conti con una realtà in trasformazione: partito per mare alla volta della Calabria,

 

Per tutto il pomeriggio caldo, col cielo sereno e senza nuvole, sono rimasto seduto sul ponte a guardare le montagne, cercando di non vedere quel gruppo di ciminiere che mandavano volute di fumo nero sulle case multicolori. Mi facevano ricordare un’uguale abominazione osservata su una riva persino più sacra: quando dal porto del Pireo intravidi Atene quasi del tutto offuscata dietro una tenda, una sorta di spessa frangia opaca di fumo di carbone.

 

Il pedaggio al mondo moderno è pesante, ma Gissing appare sempre molto equilibrato e vagamente ironico nel suo approccio alle delusioni del viaggiatore. E comunque offre di continuo pagine bellissime, rendendo questo travelogue un’opera letteraria ricca ed estremamente godibile, un libro che merita di essere letto:

 

Al passaggio della nave il porto di Capri non mostrava che il chiarore di un debole barlume. Sopra di esso si ergevano possenti dirupi. Poi la nave si inoltrò in mare aperto in un nero terribile. Il mare divenne qualcosa di impenetrabile, una distesa infinita che somigliava allo spazio vuoto tra le costellazioni. Dal posto in cui mi ero sistemato, vicino alla poppa della nave, non potevo più scorgere alcunché di umano. Era come se viaggiassi da solo nel silenzio liquido e stregato di questo mare illune. Un silenzio così spesso e totalizzante che il respiro ritmato del motore della nave non riusciva più a raggiungere il mio orecchio, ma si fondeva con la lenta sonorità degli spruzzi che lo scafo generava nell’acqua mescolandoli insieme in un mormorio indolente e cullante. L’immobilità di un mondo estinto e trapassato sembrava aver gettato il suo incantesimo su tutto cioè che viveva. Il giorno, la notte, il tempo sembravano un’irrealtà, una vana e insignificante circostanza. La realtà era quel passato di segni immemori sepolto nei recessi del tempo, a cui adesso stavo andando incontro su quel mare smisurato e oscuro. E tutto ciò che percepivo dava un significato di mistero a ogni cosa che mi circondava in quel buio i cui echi rintoccavano nella notte con un infinito pathos. Meglio ancora, ogni fibra del mio essere si allentava e si perdeva alla coscienza. La mente conosceva solo le forme fantasmatiche che quelle sensazioni modellavano prendendo forma da sé, e tutto ritornava a essere finalmente in pace dentro quella visione di tenebra.

 

Approdato a Paola, evocata con tocchi decisamente gustosi, il Nostro punta verso Cosenza, richiamato dalla leggenda della tomba di Alarico conquistatore di Roma, e spiazza l’ufficiale del dazio convinto che il suo baule pieno di oggetti e soprattutto libri rappresenti prova di un’attività non denunciata da piazzista. Poi certo, gli alberghi locali rappresentano un’avventura, e recuperare le chiavi della stanza una vera caccia al tesoro, al netto di aspetti apprezzati come estrema pulizia del letto, la buona cucina e il “contegno calmo e dignitoso” degli abitanti.

Dopo un giro a Taranto, dove trova un bel museo di antichità ma anche, perplesso, l’insegna “Alla Magna Graecia. Stabilimento idroelettropatico” (e una tappa a Sibari, in realtà al tempo nudo toponimo ferroviario in assenza di scavi intervenuti solo successivamente, peraltro secondo gli auspici di Lenormant) ecco Gissing recarsi a Metaponto brandendo la sua guida Baedeker, e poi a Cotrone/Crotone. L’amore per il passato emerge in focus eruditi e appassionati, stemperati sempre da una vivida capacità descrittiva: come qui evidente nella descrizione della gente e della città, dove però lui sfortunatamente contrae la malaria. Assiste anche a una manifestazione contro la “tassa oppressiva e odiosa, chiamata ‘fuocatico’” che, colpendo i focolari domestici, pesa particolarmente sulle classi povere.

 

La stessa tassa odiosa che aveva creato problemi nella vecchia Inghilterra medievale di Robin Hood, e di cui nel mio paese ci si è felicemente sbarazzati già molto tempo fa. Alla plebe affamata di Cotrone mancava la determinazione e il vigore necessario per assestare una protesta più incisiva ed efficace contro quell’indecente gabella. Vidi che il popolo si limitava a sbraitare disordinatamente per strada, Tutta la protesta popolare si esauriva per ora nel gridare a gran voce, fino a sgolarsi: “Abbass’ ’o sindaco!”. Dopo un po’ di tempo quella stessa plebe disunita e affamata si disperse di nuovo per strada per ritornare mestamente al proprio focolare domestico. Il desco da carestia per il quale pagavano la tassa. Una tassa sulla miseria, riscossa a forza per servizi inesistenti e immaginari. Mi chiedevo se in quel momento di tumulto l’eccellente Sindaco di Cotrone e il suo corpulento socio se ne stessero indisturbati a sedere come al solito sul loro comodo scranno tra le stanze del municipio. E se mentre il grido esasperato di quella folla di pezzenti che si era radunata per strada giungeva alle loro nobili orecchie, avessero continuato a fumare come al solito masticando i loro sigari, chiacchierando come niente fosse, del tutto indifferenti a quello che accadeva fuori. Molto probabile. Le classi privilegiate in Italia sono lente a muoversi e i ricchi possono credere all’infinita pazienza delle classi popolari. Contano sulla secolare sudditanza, sulla rassegnata sopportazione e sull’attitudine al sopruso di coloro che sottostanno da sempre al loro immutabile potere. Ma senza dubbio, senza alcun dubbio, verrà il giorno in cui i tiranni riceveranno dal loro popolo una sgradevole e fragorosa sorpresa. Quando la Lombardia comincerà sul serio a gridare “Abbasso!”, sarà un brutto momento anche per i grassi sindaci latifondisti della Calabria.

 

Gissing non è insomma l’erudito snob deluso da un oggi che minaccia i sogni di un amatissimo passato classico, ma un uomo capace di porsi domande, di cogliere con bonomia gustosissimi sketch, di comprendere gli aspetti opachi della modernizzazione e il mutare dei tempi (specificamente in un mezzogiorno postunitario decadente e vessato dallo Stato, con classi dirigenti predatrici e arroganti). Di mostrare solidarietà e simpatia per quelle classi subalterne dell’Italia meridionale spesso invece maltrattate dai viaggiatori del Grand Tour.

Il suo profilo umano, del resto, sembra mostrarlo una figura ben degna di sym-patheia, anche se alcune ambiguità – specialmente nei rapporti con le partner all’insegna di un controllo un po’ paternalista e nell’enfasi forse eccessiva sul presentarsi povero, al di là dell’oggettiva miseria di alcuni periodi – non sono sfuggite ai biografi. Davanti a una carriera universitaria aperta, lo studente migliore del College s’innamora della bella e sfortunata Marianne Helen “Nell” Harrison, sulla china di prostituzione e alcolismo, che cerca di strappare dal tugurio dove si espone trovandole un lavoro onesto; anzi nell’orrido grembo della Londra vittoriana, dove tutto assume risvolti di rovinosa difficoltà, arriva a sottrarre denaro per lei, per cui finisce espulso, passando persino un periodo ai lavori forzati. Vive qualche tempo negli Stati Uniti, campando fortunosamente di scrittura e lezioni private; poi sposa Nell, in condizioni di salute sempre peggiori e meno gestibili anche a causa dell’alcolismo: finiranno col divorziare, ma Gissing la manterrà economicamente per anni, fino alla morte di lei – solo trentenne – per sifilide. Dalla seconda seconda moglie Edith Underwood, una giovane della working class che non capisce il lavoro di lui e sembra incline a incontrollabili collere, ha due figli: si separeranno (e lei verrà chiusa in manicomio) ma nel frattempo lui verrà notato come uno dei migliori scrittori inglesi: la sua produzione di romanzi e racconti è molto ampia, per non parlare di un suo bel saggio su Dickens e ovviamente del travelogue in esame. Amico del socialista tedesco Eduard Bertz, di Henry James e Herbert George Wells, Gissing si dedica in questa fase a lunghi viaggi ma inizia ad accusare problemi polmonari. Dopo aver sposato in terze nozze (ma in Francia, perché da Edith non ha il divorzio) Gabrielle Marie Edith Fleury, traduttrice francese di una delle sue opere, muore di enfisema nei Pirenei Atlantici. A parte una breve stagione giovanile di vicinanza al socialismo, seguita da una perdita di fiducia nei movimenti operai, le posizioni di Gilling restano troppo aristocratiche perché lui possa maturare più di una simpatia emotiva per le vessate classi subalterne, del Mezzogiorno e non solo.

Ma torniamo al travelogue. Riemerso dalla malaria (impagabili i siparietti rissosi tra la proprietaria dell’albergo e una sua “trogloditica” dipendente, dal “dialetto oscuro e fangoso” nonché per lui impenetrabile), Gissing si riprende fisicamente a Catanzaro, “uno dei luoghi più salubri dell’Italia meridionale”, descritta con entusiasmo. (Per inciso, il citato albergatore Coriolano Paparazzo lascerebbe il cognome, tramite Fellini & Flaiano, a un personaggio de La dolce vita divenuto paradigmatico di un ruolo). Passa poi per Squillace, nel ricordo del grande Cassiodoro e della pista tracciata da Lenormant, e che tuttavia trova un luogo miserevole, con un oste di disonestà estorsiva e per converso due guide improvvisate di straordinaria dignità e onestà.

L’itinerario si chiude a Reggio, col suo magnifico paesaggio, le “Faccine smunte e scrutatrici” di piccoli questuanti contro il vetro della trattoria, le retoriche targhe memoriali dei caduti per l’unità della patria:

 

Nei giorni a venire della storia, come accaduto in tutti i tempi passati, l’uomo dominerà il suo simile e la terra sarà sempre macchiata del sangue di giovani e vecchi. Il nome dolce e sonoro di patria è un’illusione, un inganno e una maledizione. Asservito alle pretese della modernità, strumento della civiltà aggressiva dei nostri tempi, il nazionalismo diventa un pretesto per tutti i barbari dei nostri giorni, affamati di potere e di assoggettamento, una sciagura per l’umanità intera che si nasconde sotto le menti spoglie della “civiltà”.

Del resto, come si può desiderare il rafforzamento e la prosperità dell’Italia, sapendo che il carattere della nazione tende sempre più alla violenza, al terrore e a fomentare l’odio internazionale? Coloro che perirono perché l’Italia potesse rinascere in una nuova nazione unita, di certo sognavano per il loro popolo un avvenire diverso da questa antica ferocia che oggi maneggia rumorosamente nuovi e più distruttivi armamenti.

 

E ancora la Cattedrale, il mercato, il macello, il museo di cui il Nostro è l’unico visitatore e dove il registri dei visitatori reca traccia del passaggio del precursore Lenormant, 1882.

In allegato al travelogue figurano nella bella edizione presentata alcuni preziosi materiali preparatori (lettere ai familiari, note dal diario), una serie di affascinanti spigolature che molto dicono di Gissing, un ritratto di lui del curatore Minervino e una nota inedita sui romanzi gissingiani a firma (nientemeno) di Virginia Woolf.