di Gioacchino Toni

«Fa parte della natura umana, individuale, di gruppo o di comunità, creare un “passato” con il quale possiamo convivere. Se la realtà della nostra storia pone interrogativi sulla nostra vita attuale troppo penosi o sinistri da sopportare, plasmiamo il passato secondo una cronaca meno temibile, o lo sopprimiamo del tutto. Infatti, la memoria storica collettiva è malleabile quanto quella personale. Per questo, il modo in cui viene ricordato il massacro razziale di Tulsa è lo specchio tanto di quella città e dell’America di oggi, quanto degli eventi del 1921. Il contesto storico della sommossa e l’entità delle sue conseguenze, quindi, devono essere considerati assieme a indagini precise su azioni e reazioni». (Scott Ellsworth)

Nel fine settimana seguente al Memorial Day, nella notte tra il 31 maggio e il 1º giugno 1921, una folla di bianchi attaccò ferocemente la comunità afroamericana del quartiere di Greedwood nella città di Tulsa. Il quartiere venne dato alle fiamme mentre si scatenava una vera e propria caccia all’afroamericano.

La spedizione si era mossa dopo il fermo di un giovane afroamericano accusato di aver molestato – o  forse violentato, si disse – una ragazza bianca all’interno dell’ascensore da lei azionato all’interno di un grande centro commerciale su cui il ragazzo era salito per raggiungere l’unica toilette della zona concessa a chi di colore. Dopo il fermo del giovane davanti alla prigione si radunarono tanto bianchi intenzionati a farsi giustizia da sé quanto afroamericani decisi a difendere il ragazzo dall’accusa infamante. Di armi ne giravano parecchie e da ambo le parti.

Il volume di Scott Ellsworth, Morte nella Terra Promessa. Tulsa, USA, 1921: la strage dimenticata di una comunità afroamericana (Mimesis 2022), derivato da cinque anni di ricerche, con innegabile abilità narrativa, documenta con dovizia di particolari i fatti che sconvolsero il quartiere afroamericano della città statunitense di Tulsa in quei giorni del 1921 ricostruendone il contesto.

Sviluppatasi sulla spinta dei giacimenti di petrolio sorti nei pressi della città, Tulsa conobbe ad inizio Novecento una forte presenza afroamericana, in parte sindacalizzata e con un buon livello di istruzione. Se come lavoratori gli afroamericani risultavano tutto sommato graditi ai bianchi della città, lo erano molto meno come clienti e si deve anche a questo il rapido sviluppo di un quartiere degli affari afroamericano in qualche modo alternativo all’universo loro precluso.

«I primi due isolati di Greenwood Avenue a nord di Archer erano chiamati “Deep Greenwood” ed erano il cuore dell’imprenditoria nera locale e, prima della sommossa, qualcuno li aveva definiti la “Wall Street dei Negri” […] Il quartiere si animava in particolare il giovedì sera e il sabato, pomeriggio e sera, giorni che corrispondevano per tradizione alle giornate libere dei lavoratori domestici neri che abitavano nei quartieri bianchi. Nelle strade adiacenti al celebre viale si consumava invece la tipica vita di povertà che molti afroamericani della città condividevano con i loro confratelli di tutta l’America».

Occorre però tenere presente, ricorda Ellsworth, che i terreni su cui sorgeva il quartiere restavano in buona parte proprietà dei bianchi e che, in generale, dal punto di vista economico, «la Tulsa nera dipendeva dai salari corrisposti dai datori di lavoro bianchi. Al contrario della visibile solidità dei suoi mattoni, Greenwood poggiava su fondamenta economiche incerte, specchio di dinamiche sociali e razziali inquietanti».

Anche a Tulsa fu particolarmente attivo il Ku Klux Klan che sul posto poteva contare anche una sezione femminile e persino una, fondata nel 1924, per i ragazzi bianchi d’età compresa tra i dodici e diciotto anni. Circa l’influenza esercita dal KKK sulla comunità basti dire che nelle elezioni del novembre 1922 «erano suoi membri tanto i candidati democratici quanto quelli repubblicani che ricoprivano la carica di procuratore della contea e di sceriffo».

La partecipazione degli afroamericani alla Prima guerra mondiale aveva, sostiene Ellsworth, contribuito notevolmente a esplicitare ulteriormente il razzismo con cui venivano trattati dai bianchi e non era più tabù proteggersi anche con le armi alle minacce. «Quando nel 1919, per esempio, fu chiesto a diversi vescovi metodisti di condannare l’uso della violenza, molti di loro “risposero che sarebbe giusto praticare autocontrollo e pazienza, ma, se gli aggressori bianchi non desistono, i Negri devono usare le armi, se necessarie a proteggere sé stessi e le loro case”». Sebbene non per forza “in cerca di guai”, si può dire, sostiene Ellsworth, che molti afroamericani “non erano disposti a evitarli” nel caso se li fossero trovati davanti.

«Il primo incendio venne appiccato verso l’una di notte all’incrocio fra Archer Street e Boston Avenue ai margini del quartiere afroamericano. Sulla scena arrivarono i pompieri, ma una folla di circa cinquecento bianchi impedì loro di lavorare e li costrinse in breve a tornare alla stazione con tutta l’attrezzatura. Ormai la guerriglia aveva cominciato a sconfinare nei quartieri dei neri, i quali erano lì, pronti e armati. Ogni tanto un’auto carica di bianchi armati rombava per le strade, sparando colpi di pistola a casaccio». Verso le sei del mattino i bianchi in massa invasero il quartiere afroamericano della città.

«Nelle prime ore del primo giugno 1921 ebbero inizio l’incendio e la grande razzia dei quartieri neri di Tulsa. Mentre i disordini continuavano, gli afroamericani in difesa erano in difficoltà tanto per la marcata inferiorità numerica quanto per il fatto che la polizia fosse introvabile o impegnata a disarmare e internare i cittadini neri. Alcuni roghi nel quartiere degli affari di Greenwood furono appiccati già prima dell’invasione da parte dei bianchi». Di prima mattina molti cittadini di colore vennero fermati a caso dalla polizia e da pattuglie improvvisate di bianchi, dunque condotti in alcuni luoghi di internamento adibiti in fretta e furia a quella funzione per l’occasione.

«I quartieri neri erano in fiamme. Per molti cittadini di colore non c’era davvero alcun riparo. Alcuni fuggirono dalla città per subire trattamenti brutali per mano di bianchi dei paesini limitrofi. Alcuni tra coloro che partecipavano alle ronde di volontari arrivarono a percorrere in lungo e in largo i quartieri dei bianchi ricchi per rastrellare i lavoratori di colore che vivano come domestici in quelle case. Un gruppo trascinò con un’automobile per le vie del centro il cadavere di un afroamericano. Alcuni residenti videro in centro città e in alcuni quartieri bianchi alcuni autocarri carichi di corpi senza vita».

Verso mezzogiorno del 1º giugno la guardia nazionale dell’Oklahoma decretò la legge marziale ponendo di fatto fine al massacro. I numeri dei feriti e dei defunti sono contraddittori; si parla comunque di circa 800 ricoveri negli ospedali, di oltre 6.000 afroamericani arrestati e 10.000 restati senza casa ed un numero di morti oscillante tra 75 e 300.

A ben 75 anni dopo il massacro, nel 1996, il parlamento dell’Oklahoma istituì una commissione per lo studio dei disordini del 1921 che condusse a un rapporto pubblicato nel 2001 in cui si riconosceva che la municipalità aveva favorito la violenza dei cittadini bianchi contro gli afroamericani, si raccomandavano risarcimenti agli eredi e l’entrata nei programmi scolastici dell’Oklahoma dei fatti accaduti in città nel 1921.

«Il massacro di Tulsa non è che uno dei capitoli della sofferta storia delle violenze razziali in America. È probabile che per vastità di distruzione e tasso di vittime rispetto alla popolazione non abbia eguali negli Stati Uniti in tutto il ’900. Non si tratta però di un singolo evento anomalo che si staglia con brutalità su un passato armonioso e pacifico. Eventi simili a quello descritto in questo libro sono parte della storia di Boston, Providence, New York, Filadelfia, Washington, Atlanta, New Orleans, Detroit, Chicago, Duluth, Omaha, Los Angeles e di decine di altre città, più o meno grandi, disseminate in tutto il paese. Questi fanno parte tanto del quadro americano negli anni ’30 dell’Ottocento quanto di quello di una singola città nella tarda primavera del 1921. La storia di Tulsa è la storia dell’America».

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