di Giorgio Bona

 

Io ruberò, se il furto allieterà la tua anima.

Perché, invano ho speso tante forze?

Acconsenti, almeno al paradiso in una capanna,

se qualcuno ha occupato il palazzo e la torre.

 

Sono splendidi versi di una canzone di Vladimir Vysockij che si intitola Lirica.

Mi viene in mente quando la mia cara amica Olga annuncia che mi farà un grande omaggio, donandomi la copia (di cui in foto) della Izvestija del mese di agosto 1938. Ventidue pagine tutte dedicate al processo di Lev Davidovič Bronštein detto Trockij. Un regalo inaspettato, un pezzo raro, un cimelio. Ho paura ad aprirlo perché il tempo con la carta è impietoso e finisce di divorare pagine e parole senza pietà.

Durante quel periodo, mentre la Pravda fungeva da portavoce ufficiale del partito, la Izvestija fu, dal 1917 al 1991, la voce ufficiale del governo ed espressione del Soviet Supremo.

E allora ancora Vysockij: “lunga vita a quelli che cantano nel sogno. Il mondo può stare sommerso. I continenti possono ardere tra le fiamme. Ma tutto questo non mi appartiene”.

C’è un filo conduttore sottilissimo che lega il pensiero di Lev Trockij al lirismo dell’anima sempre in fermento di Vladimir Semënovič Vysockij (1938-1980) proprio in quella visione del paradiso dentro uno spazio piccolissimo, quello di una capanna, perché qualcuno il castello lo ha già occupato, abusivamente.

Non c’è felicità in tutto questo, se non nel conseguimento di quel microcosmo che ha la speranza di diventare universale. Non abbattendo il castello, perché la distruzione lascia strascichi terribili, ma spingendone allora fuori il male, facendone una capanna, il grande cuore dei sogni.

Trockij: pseudonimo preso dal nome di un suo compagno di cella nella prigione di Odessa, nome che servì come espediente per fuggire dalla Siberia, dove si trovava in esilio, per raggiungere Londra.

Beatificato dai comunisti occidentali anche se in occidente molti sostenevano che condividesse le idee e i metodi del capo supremo e suo eterno rivale, per cui il corso del bolscevismo non sarebbe stato più morbido sotto la sua figura.

Parole. Fiato sprecato.

Chissà se qualcuno può intravedere in questo lirismo profondo, che genera un pianto arcaico nella canzone di Vysockij, quei passi della Rivoluzione Permanente di Trockij, rivoluzione prima dell’anima e della mente perché non transige con alcuna forma di dominazione di classe, e che ha una spinta che procede oltre, senza arrestarsi alla fase democratica, ma passa alle misure socialiste. Una rivoluzione che si arresta solo quando è avvenuta la totale liquidazione della società divisa in classi.

Certo che se l’intento fu quello di fermarne il pensiero, la sua morte ebbe un grande effetto di risonanza soprattutto nelle figure della sinistra che rappresentavano il dissenso.

Così Vysockij in una sua celebre canzone: La fucilazione dell’eco.

 

Non dovevano essere uomini, gonfi di veleni e di oppio,

quelli che giunsero per uccidere e ammutolire la gola viva,

se nessuno ne sentì il calpestio e il grugnito,

legarono l’eco e sulla sua bocca misero un bavaglio.

 

La fucilazione dell’eco coincide con il concetto principale della teoria trockijsta basata sulla grande idea di espansione della rivoluzione socialista in tutto il mondo sull’esempio di quella sovietica. Un’eco che fu subito soffocata in contrapposizione allo stalinismo, in quanto sosteneva che l’obiettivo del socialismo in un solo paese fosse una rottura con l’internazionalismo proletario. L’occupazione del palazzo bruciava la capanna dei sogni e spegneva l’eco di risonanza.

Il processo a Trockij parte dalla seconda regola precisa per l’occupazione del potere da parte di Stalin: uomini, se inutili vanno messi da parte.

Certo che la politica giusta di uno stato operaio non è riducibile soltanto all’edificazione economica nazionale, e se la rivoluzione non si estende nell’arena internazionale seguendo una spirale proletaria incomincerà a contrarsi seguendo una spirale democratica entro un quadro nazionale.

Spirale proletaria? Si parte dall’anima, dal comune sentire. Un credo. Un fiume sottopelle che scorre impetuoso e libero, una volontà della mente. Tutto confluisce in un comune pensiero. La felicità.

La teoria classista e l’esperienza storica testimoniano l’impossibilità di vincere del proletariato con metodi pacifici quando mancano questi sentimenti dentro la carne viva. E il potere sovietico di Stalin era basato sullo strangolamento delle organizzazioni proletarie e sull’onnipotenza della burocrazia.

Mi piace pensare a Venedikt Erofeev (1938-1990) seduto sui gradini della Lubjanka a farsi una vodka, mentre nel 1957 riusciva addirittura a convincere i colleghi a comporre poesie ispirate ai grandi classici della letteratura mondiale e a creare un’antologia del movimento operaio.

E cosa può essere la vita che opera il cambiamento se vengono soppresse le riunioni nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università, nei teatri, nelle strade e nelle piazze?

Ma il palazzo era abusivamente occupato. E Stalin ammise che mandare Trockij in esilio invece di sottoporlo alla fucilazione fu un errore. Il processo ne sentenziò la condanna a morte.

Leonardo Padura Fuentes nel suo romanzo L’uomo che amava i cani (2009: Tropea, 2010) racconta l’esilio dell’acerrimo nemico di Stalin in Turchia, Francia, Norvegia e Messico e anche il sofferto passato del suo omicida, Ramon Mercader, la sua militanza nella guerra civile in Spagna e la fedeltà assoluta alla causa sovietica. Emessa la condanna a morte, nel 1940 Mercader la eseguì.

Poco prima del suo assassinio Trockij scrisse sul suo diario:

 

morirò da proletario rivoluzionario, da marxista, il che vuol dire da devoto ateo. La mia fede nel futuro comunista è ora altrettanto fervente e pesino più forte rispetto ai tempi della mia giovinezza. Questa fede nell’umanità e nel suo futuro mi dà un potere di resistere più forte di qualsiasi religione.

 

Nel 2017 in Russia verrà prodotta la serie tv Trockij distribuita da Netflix che, partendo da alcuni fatti realmente accaduti,  costruisce una sostanziale storia di finzione intorno alla sua figura. Questa serie riceverà diverse accuse per inesattezze, soprattutto dai suoi discendenti che protesteranno con una lettera contro lo spettacolo, firmata da diversi intellettuali e storici di sinistra.

Quando Vladimir Vysockij con la voce arrochita dall’alcol e dal fumo cantava a squarciagola nel microfono Non è ancora finita:

 

Chi vuole vivere, chi gioire, chi non è pidocchio,

– preparate le vostre mani per il corpo a corpo!

E che i ratti lascino la nave!

Intralciano la mischia scompigliata!