di David Goodway

Oscar Wilde, La virtù dell’irriverenza, a cura di David Goodway, traduzione di Elena Cantoni (elèutera 2022)

[Noto soprattutto per i suoi romanzi e le sue commedie, oltre che per la sua dichiarata omosessualità che gli è costata la prigione  e l’ostracismo sociale, Oscar Wilde ha dato prova anche di scritti politici radicali di stampo anarchico, come lui stesso ebbe modo di dichiarasi. La sua opera è pervasa da una spinta libertaria del tutto contrapposta alla morale vittoriana che ama mettere alla berlina. Accanto al Wilde dandy e decadente esiste un Wilde politicamente consapevole, acuto osservatore dell’animo umano e delle ingiustizie del suo tempo. Ringraziando le edizioni elèutera per la gentile concessione, di seguito si riporta l’introduzione al volume di David Goodway – ght]

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Cinquanta o sessanta anni fa, la reputazione di Oscar Wilde in Inghilterra poggiava perlopiù sui suoi folgoranti aforismi, il suo dandysmo, le sue commedie brillanti. Da allora, la nascita e la diffusione del movimento per i diritti lgbt in Europa occidentale e Nord America hanno portato – soprattutto in riferimento alla brutale condanna a due anni di lavori forzati – alla sua canonizzazione come «icona» gay, uno sviluppo in realtà contestuale al suo riconoscimento come grande autore tout court. Questo secondo processo iniziò nel 1962 con la pubblicazione delle sue lettere in un’edizione magistralmente curata da Rupert Hart-Davis, che non soltanto incluse per la prima volta il testo completo di uno dei suoi capolavori, il De Profundis, ma che al contempo lo rivelò come quel superbo epistolarista che era; proseguì poi con la raccolta di saggi curata da Richard Ellmann, uscita con il titolo The Artist as Critic [Il critico come artista] nel 1969 negli Stati Uniti (e un anno dopo in Gran Bretagna); e infine culminò nel 1987 con la magnifica biografia critica di Ellmann (particolarmente rilevante posto che i due soggetti precedenti del biografo erano stati W.B. Yeats e James Joyce, e che il suo James Joyce, in particolare, è considerato uno dei massimi esempi contemporanei del genere «biografia letteraria»). Così l’anniversario della morte di Wilde, nel 2000, fu in parte contrassegnato dall’avvio di un’edizione in nove volumi della sua opera omnia, The Complete Works of Oscar Wilde, all’interno degli Oxford English Texts: un chiaro segno della piena, seppur tardiva, accettazione della sua produzione da parte dell’establishment accademico. Nel ventennio intercorso da allora, due specifiche aree, quella gay e quella accademica, hanno prodotto in parallelo e a ritmi sempre più frenetici pubblicazioni su Wilde, spesso segnate da un’ineleganza verbale e da una tortuosità di pensiero in diretto contrasto con la lucidità aforistica di Wilde stesso.

In questa gara alla riscoperta brilla per la sua assenza un dibattito informato sull’approccio politico che gli era propria (tranne che in materia sessuale). Una dimenticanza curiosa, se si pensa che uno degli scritti più noti e letti di Wilde è proprio un saggio politico: The Soul of Man Under Socialism [L’anima umana nel socialismo, infra p. 75]. La sua difesa sia del socialismo sia dell’individualismo è stata genericamente intesa come un tipico esempio dei suoi paradossi, e abbondano i fraintendimenti del sostanziale anarchismo della sua argomentazione e della sua posizione. La sovraccoperta dell’edizione americana di The Artist as Critic, curata da Ellmann, per esempio presenta il saggio, incluso nella raccolta, come un’argomentazione «a sostegno di una riforma sociale», quando di fatto Wilde contesta il riformismo senza mezzi termini: «[I] loro rimedi non guariscono la malattia: ottengono solo di prolungarla. Anzi, i rimedi stessi sono parte della malattia. […] Il vero obiettivo dovrebbe essere quello di ricostruire da capo la società, su basi che rendano impossibile la povertà» [corsivo di Wilde]. Un altro esempio. In un’edizione economica dei suoi scritti, un’accademica inglese, autrice di un libro su Wilde, si sente autorizzata a concludere la presentazione di L’anima umana nel socialismo come segue: «Il socialismo che emerge da queste pagine è altamente idiosincratico […] impossibile da allineare con qualsiasi politica di partito»1.

Questo stato di cose sorprende ulteriormente se si considera che fin dall’inizio gli anarchici riconobbero – e anzi acclamarono – L’anima umana nel socialismo come un’importante manifesto anarchico. Kropotkin lo indicava come «quell’articolo di O. Wilde sull’anarchismo»2. Nel 1949, l’anarchico George Woodcock pubblicò un libro illuminante su Wilde, ne discusse la politica nella sua fondamentale storia dell’anarchismo del 1962, e infine incluse un estratto di L’anima umana nel socialismo nella sua celebre antologia di scritti anarchici del 19773. Nel suo monumentale Demanding the Impossible, degno successore del notevole Anarchism [L’Anarchia] di Woodcock, Peter Marshall dedica parecchie pagine a Wilde come «libertario inglese», affermando che «il suo socialismo libertario è la più attraente tra tutte le varianti di anarchismo e socialismo»4. Tempo fa Marshall mi disse che a determinare la sua presa di posizione anarchica erano state la rivolta parigina del Maggio ’68 e la lettura di due testi: il pamphlet About Anarchism di Nicolas Walter (1969) e il saggio L’anima umana nel socialismo5. Nel 1967, Masolino D’Amico concludeva senza esitazioni (nella rivista italiana «English Miscellany», malauguratamente poco nota nel mondo anglofono) che Wilde era «anarchico, non socialista»; e Owen Dudley Edwards, nella sua ponderata voce del 2004 per l’Oxford Dictionary of National Biography, definisce L’anima umana nel socialismo come «verosimilmente la più memorabile e senz’altro la più estetica esposizione di teoria anarchica in lingua inglese»6. Anche le tesi di dottorato di due brillanti studenti di Oxford, Sos Eltis e Paul Gibbard, identificano Wilde come anarchico, illustrandone la posizione politica con notevole acume7. La speranza è che gli studi di Eltis e di Gibbard, insieme al saggio su Wilde presente nel mio Anarchist Seeds Beneath the Snow (su cui si basa questa introduzione), saggio che indaga ancora più a fondo delle due tesi citate la specifica questione, possano con il tempo percolare nella coscienza accademica e diffondersi ben al di là di questa – anche se per ora non si vedono indizi in tal senso8.

Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde nacque nel 1854 a Dublino da genitori protestanti, ereditando, come lui stesso avrebbe sottolineato nel 1897, «da mio padre e da mia madre un nome di alta distinzione in letteratura e arte»9. William Wilde era un chirurgo oftalmico e auricolare di fama internazionale – fu insignito del titolo di baronetto nel 1864 – oltre che un pioniere nei campi dell’archeologia e degli studi folklorici. Jane Wilde (Elgee da nubile), irredentista irlandese come il marito, vantava una personalità ancora più spiccata e un’eccentricità di abbigliamento e comportamenti degna del figlio. Con lo pseudonimo di «Speranza» collaborava, pubblicando poesie oltre che articoli politici, con la testata «Nation», organo di stampa della Young Ireland [Giovane Irlanda], tanto che era intervenuta in aula al processo a carico di Charles Gavan Duffy, nel 1848; inoltre traduceva dal francese e dal tedesco. Entrambi i figli dei Wilde studiarono in convitto alla Portora Royal School, da dove passarono al Trinity College di Dublino. Dopo i brillanti risultati dei tre anni al Trinity, Oscar ottenne una borsa di studio per il Magdalen College di Oxford, dove trascorse i quattro anni successivi di nuovo immerso nello studio dei classici, accumulando trionfi, compresa una doppia laurea summa cum laude, e coronando la carriera accademica con l’assegnazione, nel 1878, dell’ambito premio di poesia Newdigate per Ravenna, che sarebbe diventata la sua prima pubblicazione indipendente.

Tra i docenti di Oxford negli anni Settanta dell’Ottocento due in particolare esercitarono un’influenza decisiva sulla sua formazione intellettuale. Entrambi furono progenitori del movimento dell’estetismo, per quanto abitassero universi morali molto diversi. Walter Pater, fellow del Brasenose College, omosessuale e trentacinquenne nel 1874, aveva pubblicato un anno prima i suoi Studies in the History of the Renaissance [Il Rinascimento], la cui Conclusione, che si dice Wilde conoscesse a memoria, venne omessa dalla ristampa, uscita quattro anni dopo, per timore che potesse «sviare alcuni di quei giovani nelle cui mani sarebbe potuta finire». Per Pater, «non è il frutto dell’esperienza, ma l’esperienza stessa a essere il fine», e una vita pienamente realizzata consiste «nell’arder perenne di questa fiamma gemmea, nel mantener perenne quest’estasi». Quello che esaltava era «la passione poetica, il desiderio della bellezza, l’amore dell’arte per l’arte». Wilde chiamava il Rinascimento di Pater «il mio libro aureo», e più tardi, scrivendo dal carcere, lo indicò come «quel libro che ha esercitato un così peculiare ascendente sulla mia vita». Solo al suo terzo anno a Oxford ebbe la possibilità di conoscere di persona Pater – che per parte sua non incontrò mai il secondo faro di Wilde: John Ruskin. Primo Slade Professor of Fine Art, e maggiore di ventun anni rispetto a Pater, Ruskin illustrò e celebrò a fondo l’opera d’arte, ma per lui erano l’etica e la natura ad avere la precedenza: solo gli uomini buoni possono produrre buona arte, e solo attenendosi alla verità della natura. Wilde frequentò il corso di Ruskin sulle Scuole estetiche e matematiche di Firenze già nel suo primo trimestre e aderì di slancio alla sua proposta di partecipare alla costruzione della strada di Ferry Hinksey, entrando così a far parte della cerchia più ristretta dei suoi studenti; nel 1888 gli avrebbe scritto che «il ricordo più caro dei miei giorni a Oxford è quello delle nostre passeggiate e conversazioni»10.

Dunque l’estetismo di Wilde si può far risalire al periodo oxfordiano. Poi, posto di fronte alla necessità di guadagnarsi da vivere (alla morte di sir William, nel 1876, gli era stata riconosciuta una rendita di appena 200 sterline l’anno), Wilde si trasferì a Londra, promuovendosi ostinatamente come «esteta». Il ciclo di conferenze tenuto nel corso del 1882 in Nord America, sempre ostentando le sue appariscenti tenute da «dandy», si rivelò estremamente redditizio – la sua parte di introiti ammontò a ben 5.600 sterline – e fu seguito da altri cicli tenuti nelle province inglesi e irlandesi, in vari periodi del biennio 1883-1885. Come appare evidente fin dai titoli delle conferenze – English Renaissance in Art; The House Beautiful; The Decorative Arts; Dress e The Value of Art in Modern Art – Wilde esponeva non soltanto le idee di Pater e dell’estetismo propriamente detto, ma anche quelle di Ruskin, di William Morris e del movimento Arts and Crafts. In effetti Morris fu un’altra figura di grande rilievo nella sua vita. Si erano conosciuti già nel 1881, un incontro che Morris commentò come segue: «Così come il diavolo viene sempre dipinto a tinte più fosche del dovuto, lo stesso vale anche per O.W. È un insolente, non dico di no; ma è un insolente geniale»11.

La costante ammirazione e il debito di riconoscenza nei confronti di Ruskin (che nel 1882 fu entusiasta di sapere da lady Wilde che «Oscar è ancora il più devoto dei miei discepoli»12 ). spiega almeno in parte la velenosa animosità sviluppata tra Wilde e James Abbott McNeill Whistler. A sua volta un dandy di brillante arguzia, quest’ultimo a un certo punto si indispettì con il giovane sodale per il suo atteggiamento durante la causa per diffamazione da lui intentata contro Ruskin nel 1878, causa che, pur vinta in tribunale, venne vanificata da un risarcimento intenzionalmente irrisorio, lasciandolo sul lastrico. Wilde infatti, a dispetto dell’ammirazione per i quadri e le incisioni di Whistler, continuava ad aderire in larga parte ai criteri estetici stabiliti da Ruskin. Nel 1885 recensì per la «Pall Mall Gazette» la conferenza tenuta da Whistler alla Queen’s Hall, passata alla storia con il titolo Ten O’Clock, in cui l’artista americano affermava:

Che la natura abbia sempre ragione è un’affermazione tanto falsa, in termini artistici, quanto può esserlo ogni affermazione la cui verità sia universalmente data per scontata. La natura ha poche volte ragione, talmente poche si potrebbe dire che ha quasi sempre torto. Ovvero: le condizioni che danno luogo alla perfetta armonia, consona a un quadro, sono infrequenti e nient’affatto comuni. Ciò sembrerà una teoria blasfema persino ai più intelligenti. Questo presunto assioma è a tal punto radicato nella nostra educazione, che credervi è parte della nostra morale; le sue parole suonano sacre al nostro orecchio. Eppure, di rado la natura riesce a produrre un dipinto [Alle dieci di sera, trad. di Paolo Martone, Castelvecchi, Roma, 2014, p. 17].

Nell’articolo pubblicato l’indomani Wilde trascurò questo passaggio chiave, limitandosi a citare in modo generico «l’astuta satira e le divertenti stoccate» di Whistler. Ben diversa la reazione di un grande poeta. A sua volta tra il pubblico, Stéphane Mallarmé fu, secondo il suo accompagnatore Henri de Régnier, «istantaneamente rapito dalla magia di Whistler», una fascinazione che lo indusse a tradurre il testo della conferenza nell’influente Le Ten O’Clock de M. Whistler (1888)13.

Mallarmé era il rappresentante di punta della poesia simbolista e un simpatizzante anarchico. Wilde non raggiunse una posizione di pari radicalismo artistico fino al gennaio del 1889, quando in The Decay of Lying [Osservazioni sulla decadenza della menzogna, infra p. 123] dichiarò a sua volta la supremazia dell’arte sulla natura oltre che sulla vita. Il saggio fu pubblicato nel 1891 nelle splendide Intentions [Intenzioni] insieme a Pen, Pencil and Poison [Penna, matita e veleno. Uno studio in verde, infra p. 167] e Il critico come artista, rispettivamente del 1889 e del 1890. Il testo conclusivo della raccolta, The Truth of Masks, del 1885, era fuori posto nella raccolta, tanto che Wilde stesso lo sconfessò in una postilla: «Per la verità non concordo con tutto ciò che ho scritto in quel saggio. Anzi, c’è molto da cui dissento completamente». Infatti, già nel 1891 informava il traduttore francese che il testo, poiché «je ne l’aime plus», andava sostituito con L’anima umana nel socialismo, apparso all’inizio dell’anno, «qui contient une partie de mon esthétique»14.

Inizialmente, la sua evoluzione politica fu più lenta rispetto a quella del pensiero estetico. Nel 1880 aveva scritto la sua prima commedia, Vera; or, The Nihilists [Vera o i Nichilisti], andata in scena a New York per una settimana nel 1883, ma mai rappresentata a Londra. Questo testo laborioso, in cui l’arguzia wildiana del primo ministro, il principe Paul Maraloffski, è incompatibile con il melodramma centrale, ha attirato un’attenzione sorprendentemente generosa da parte di chi si proponeva di indagare principalmente le sue idee politiche. Chiaramente ispirata ai populisti russi (o Narodniki) e a Vera Zasulič, che fu una protagonista della «propaganda del fatto» grazie all’attentato al generale Trepov del 1878, la pièce li presenta come nichilisti, un movimento puramente intellettuale degli anni Sessanta dell’Ottocento, tanto che nelle prime rappresentazioni l’azione si svolge nel 1800, malgrado nel testo si accenni all’esistenza delle ferrovie e all’emancipazione dei servi della gleba. Quanto a me, non riesco proprio a considerare Vera degna di alcuna seria attenzione.

Anche i versi a tema politico composti tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento, pubblicati in Poems (1881) sotto il titolo complessivo di Eleutheria («Libertà») e probabilmente ispirati all’esempio di sua madre, sono stati percepiti come un’anticipazione dell’anarchismo futuro. Eppure, questi scritti mediocri (per quanto di una competenza tecnica ben superiore a Vera), che comprendono Quantum Mutata, To Milton, Theoretikos e Louis Napoleon, celebrano le libertà civili, la democrazia e il repubblicanesimo a scapito dell’ultra-radicalismo delle masse. Il sonetto Libertatis Sacra Fames, pubblicato per la prima volta nel 1880, ne fornisce un buon esempio:

Sebbene nutrito di democrazia,
e preferendo quello Stato repubblicano
in cui ogni uomo è Re e nessuno
troneggia sui suoi simili, tuttavia considero,
a dispetto dell’ansia moderna di Libertà,
migliore il governo di uno solo, cui tutti obbediscano,
che permettere a roboanti demagoghi di tradire
la nostra libertà con il bacio dell’anarchia.
Pertanto non amo coloro le cui mani profane
piantano la bandiera rossa su una strada disselciata
senza motivo alcuno, e sotto il cui regno ignorante
le Arti, la Cultura, il Rispetto, l’Onore, ogni cosa scompare,
salvo il tradimento e il suo pugnale,
o l’omicidio, col suo passo silente, intriso di sangue.

«Speranza», la madre, da tipica nazionalista di classe borghese temeva i movimenti popolari e i loro possibili eccessi rivoluzionari, e agli esordi il figlio ricalcò le sue orme. E infatti il Sonnet to Liberty si chiude dando voce al dilemma di entrambi:

… eppure, eppure,
questi Cristi che muoiono sulle barricate,
sa Dio se non sono con loro, in certe cose15.

Anche tenuto conto di questi limiti, Vera e i primi tentativi poetici segnalano comunque un interesse autentico per le proteste rivoluzionarie e una ricettività alle idee radicali; e fu da questo punto di partenza che il revival del socialismo in Inghilterra spinse Wilde ancora più a sinistra. Per quanto minuscole fossero le sue organizzazioni – la Social Democratic Federation (sdf), fondata nel 1881 ma dichiaratamente socialista solo a partire dal 1883, la Fabian Society e la Socialist League, entrambe del 1884 – in quel decennio si assiste alla conversione al socialismo di alcuni degli intellettuali più capaci della generazione di Wilde, compresi R.B. Cunninghame Graham, Bernard Shaw, Sidney Webb (per Beatrice Webb si sarebbe dovuto attendere il 1890) e l’architetto W.R. Lethaby, tutti nati negli anni Cinquanta del secolo, oltre a rappresentanti della generazione precedente, come William Morris e Edward Carpenter, e di quella successiva, come C.R. Ashbee e Raymond Unwin. Un esempio sorprendente e poco noto del fenomeno è costituito da Frank Harris, futuro editore, amico e biografo di Wilde, il quale per un breve periodo sarà membro della sezione di Marylebone della sdf marxista e apprezzato oratore di comizi, prima di fare abiura e aderire ai Tory.

Nel 1883, passando dalle Tuileries incendiate dai Comunardi, le cui «mani profane» avevano piantato «la bandiera rossa sulla strada disselciata», Wilde ormai dichiarava: «Non c’è tra queste macerie annerite una pietra tanto piccola da non rappresentare per me un capitolo nella Bibbia della democrazia»16. Al tempo era già stato notato a una conferenza della Socialist League, a Kelmscott House, per «la grossa dalia purpurea» che portava all’occhiello e per «la sua figura incongrua», simile a «un cesto di frutta, matura e allettante»17. A detta di Shaw, Wilde fu l’unica personalità della Londra letteraria a firmare, dietro sua richiesta, la petizione lanciata nel 1887 dalla classe operaia internazionale per chiedere la grazia a favore degli anarchici di Chicago, condannati a morte dopo un processo-farsa. Per Shaw: «Il suo fu un gesto del tutto disinteressato, che gli garantì il mio rispetto per il resto della vita»18. Nel 1889 May Morris invitò Wilde a far parte di un comitato che intendeva promuovere un ciclo di conferenze di Kropotkin; lui declinò l’offerta, dicendosi troppo impegnato per partecipare alle riunioni, ma insistette perché il suo nome venisse usato «in qualsiasi forma riteniate utile»19. La prima volta in cui rese pubblica la sua adesione al socialismo fu nel 1889 in una recensione dell’antologia Chants of Labour. A Song-Book of the People, di Edward Carpenter, nella quale scriveva che «è per l’edificazione di una città eterna che i socialisti di oggi compongono la loro musica». Ma nell’approvare la varietà dei poeti e dei loro contributi, esprimeva già eloquentemente il proprio libertarismo:

Tutto ciò è, nel suo complesso, molto promettente. Dimostra che il socialismo non si lascerà ingabbiare da alcun credo definitivo e irrevocabile o stereotipare in formule ferree. Il socialismo accoglie nature multiple e multiformi. Non respinge nessuno e ha posto per tutti. Ha le attrattive di una magnifica personalità, è capace di conquistare il cuore di alcuni e la mente di altri, riesce a trascinare quest’uomo per il suo odio verso l’ingiustizia, quell’altro per la sua fiducia nel futuro, e magari un terzo per il suo amore dell’arte o la sua folle adorazione di un passato morto e sepolto. E tutto questo è un bene. Perché rendere socialisti gli uomini non è nulla, mentre rendere umano il socialismo è una gran cosa20.

Dei principali socialisti inglesi coevi, Wilde fu l’unico a spingersi oltre, schierandosi a favore dell’anarchismo (il sostanziale libertarismo di Carpenter era mimetizzato dalla sua visione non dottrinaria e dal suo sostegno a tutte le correnti all’interno del movimento laburista, sia rivoluzionarie sia riformiste). Come e perché arrivò a queste posizioni? Nel 1884 aveva sposato Constance Lloyd; il primo figlio, Cyril, nacque nel 1885 e il secondo, Vyvyan, nel 1886. Nel 1887 assunse la direzione di «Woman’s World», e a quel punto aveva già consapevolmente abbandonato i panni del «professore di estetica» per quelli del «dandy appesantito e datato»21. Questo periodo di cambiamenti fu contrassegnato da una svolta ancora più notevole avvenuta nel 1886, quando a trentadue anni Wilde fu sedotto dal diciassettenne Robert (Robbie) Ross (che dopo la fine della relazione sarebbe rimasto il suo amico più fedele e dopo la morte sarebbe diventato il suo esecutore testamentario).


  1. Anne Varty, Introduzione a Oscar Wilde, De Profundis, The Ballad of Reading Gaol, and Other Writings, Wordsworth, Ware, 1999, p. xx. 

  2. Lettera di Kropotkin a Robert Ross, 6 maggio 1905, in Margery Ross (ed.), Robert Ross, Friend of Friends. Letters to Robert Ross, Art Critic and Writer, Together with Extracts from His Published Articles, Cape, London, 1952, p. 113. 

  3. George Woodcock, The Paradox of Oscar Wilde, Boardman, London, 1949; ripubblicato da un’editrice anarchica con il titolo: Oscar Wilde. The Double Image, Black Rose Books, Montréal, 1989, con l’edizione di The Soul of Man Under Socialism curata da Woodcock nel 1948 in appendice; George Woodcock, Anarchism. A History of Libertarian Ideas and Movements (1962), Penguin, Harmondsworth, 2a ed., 1986, pp. 378-380 [trad. it. L’anarchia. Storie delle idee e dei movimenti libertari, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 396-399]; George Woodcock (ed.), The Anarchist Reader, Glasgow, 1977, pp. 72-74, 381. 

  4. Peter Marshall, Demanding the Impossible: A History of Anarchism, London, 1992, p. 180. 

  5. Ora in Peter Marshall, Bognor Boy: How I Became an Anarchist, Harper Collins, London, 2018, pp. 245-246. 

  6. Masolino D’Amico, Oscar Wilde between «Socialism» and Aestheticism, «English Miscellany», xlviii, 1967, p. 132. 

  7. Sos Eltis, Revising Wilde: Society and Subversion in the Plays of Oscar Wilde, Clarendon Press, Oxford, 1996, in particolare cap. 1, «Oscar Wilde. Anarchist, Socialist and Feminist»; Paul Gibbard, Anarchism in English and French Literature, 1885-1914. Zola, the Symbolists, Conrad, and Chesterton, tesi di dottorato, Oxford, 2001, pp. 163-175. 

  8. David Goodway, Anarchist Seeds Beneath the Snow: Left-Libertarian Thought and British Writers from William Morris to Colin Ward, Clarendon Press, Liverpool, 2006; pm Press, Oakland, 2a ed., 2012, cap. 4. 

  9. Merlin Holland e Rupert Hart-Davis (ed.), The Complete Letters of Oscar Wilde, Fourth Estate, London, 2000, p. 780. 

  10. Richard Ellmann, Oscar Wilde, London, 1987, pp. 46-50, 80-82; Tim Hilton, John Ruskin: The Later Years, Hamish Hamilton, New Haven-London, 2000, pp. 230, 263, 292-294; Richard Ellmann, The Artist as Critic: Critical Writings of Oscar Wilde, Random House, New York, 1969, pp. xi-xv, 229-230; Walter Pater, The Renaissance: Studies in Art and Poetry. The 1893 Text, a cura di Donald L. Hill, University of California Press, Berkeley-Los Angeles, 1980, pp. 186-190, 274, 457 [trad. it. Il Rinascimento, Abscondita, Milano, 2000]; Holland e Hart-Davis, cit., pp. 349, 735. 

  11. The Collected Letters of William Morris, a cura di Norman Kelvin, Princeton University Press, Princeton, 4 voll., 1984-1996 (da qui in avanti clwm), vol. ii: 1881-1884, p. 38. 

  12. Hilton, cit., p. 439. 

  13. [James McNeill Whistler,] The Gentle Art of Making Enemies, William Heinemann, London, 1919, p. 143 [trad. it. La nobile arte di farsi dei nemici, Lubrina-leb, Bergamo, 1988]; Oscar Wilde, Mr Whistler’s Ten O’Clock, in Ellmann, Artist as Critic, cit., pp. 13-16; Robert Craft, Le Ten O’Clock de M. Whistler, «Times Literary Supplement», 23 febbraio 2001. 

  14. Oscar Wilde, Intentions, in Ellmann, Artist as Critic, cit., pp. 290n, 432; Holland e Hart-Davis, cit., p. 487; Ellmann, Wilde, cit., p. 249. 

  15. Bobby Fong e Karl Beckson (ed.), The Complete Works of Oscar Wilde, I: Poems and Poems in Prose, Oxford University Press, Oxford, 2000, pp. 148-149. 

  16. Robert H. Sherard, Oscar Wilde. The Story of an Unhappy Friendship, London, 1905, p. 35; Robert Harborough Sherard, The Real Oscar Wilde. To Be Used as a Supplement to, and in Illustration of ‘The Life of Oscar Wilde’, The Hermes Press, London, [1917], p. 36. 

  17. Fiona MacCarthy, William Morris. A Life for Our Time, Faber & Faber, London, 1994, p. 522; Peter Faulkner, William Morris, and Oscar Wilde, «Journal of the William Morris Society», xiv, n. 4, estate 2002, pp. 34, 39-40. 

  18. George Bernard Shaw, My Memories of Oscar Wilde, in Edward H. Mikhail (ed.), Oscar Wilde. Interviews and Recollections, Macmillan, London-Basingstoke, 2 voll., 1979, ii, p. 403. 

  19. Holland e Hart-Davis, cit., p. 396. 

  20. Poetical Socialists, «Pall Mall Gazette», 15 febbraio 1889, in Oscar Wilde, The Soul of Man Under Socialism and Selected Critical Prose, a cura di Linda Dowling, Penguin, Harmondsworth, 2001, pp. 18-19. 

  21. Ellen Moers, The Dandy. Brummell to Beerbohm, Secker & Warburg, London, 1960, p. 299 [trad. it. Storia inimitabile del Dandy, Odoya, Bologna, 2017]. 

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