di Giulia Baselica

Arkadij e Boris Strugackij, La città condannata, trad. di D. Liberti, Roma, Carbonio, 2020, pp. 432, € 18,00.

Sullo sfondo di un cielo annuvolato e minaccioso si staglia un’austera fortezza e un enorme serpente avvolge con le sue spire le mura della città: fu proprio questa immagine, che il pittore Nikolaj Rerich dipinse nel 1914, attribuendole il titolo Grad obrečennyj [La città condannata], a suggerire ad Arkadij e a Boris Strugackij l’idea fondante dell’omonimo romanzo. L’atmosfera onirica e profetica, le scure tonalità cromatiche del cielo e dei monti cui si contrappone il colore rosso fuoco del serpente ancora oggi trasmettono allo spettatore una sensazione di angoscia, suscitata dalla memoria dell’infinita sofferenza, della morte e della devastazione causate dalla imminente guerra mondiale. È la traduzione artistica di un sogno premonitore, il tragico annuncio di una disgrazia e, nel contempo, monito per l’uomo di ogni tempo e di ogni latitudine a mantenere vigile la propria coscienza e a sfuggire le insidie del male universale.

Molto opportunamente l’editore Carbonio riproduce l’immagine del dipinto sulla copertina del volume, così richiamando l’originaria connessione fra l’ispirazione del pittore contemplativo e l’intuizione dei fratelli Strugackij. La città condannata è infatti un romanzo visionario e metaforico, sorta di antiutopia incastonata in un simbolico cammino di maturazione, scandito dalle cinque parti di cui si compone – Il netturbino, L’inquirente, Il redattore, Il signor consigliere, Discontinuità, Esodo – e che costituiscono le successive fasi evolutive affrontate dal protagonista Andrej Voronin, caratterizzato da un nome e da un cognome russi. Gli altri personaggi, con la loro connotazione onomastica, rimandano, invece, a una pluralità di Paesi, culture e lingue: l’americano Donald Cooper, la svedese Selma Nagel, il giapponese Kenshi, l’ebreo tedesco Iz’ja Katzmann, il cattolico polacco Pani Stupal’skij, il cinese Wang e numerosi altri. L’ambientazione della Città condannata è priva di coordinate spazio-temporali: i mutevoli, ma realistici scenari, in cui hanno luogo le vicende narrate, i dialoghi tra i personaggi e le riflessioni di Andrej si collocano in paesaggi urbani o naturali che generano svariate reminiscenze storiche, geografiche e letterarie.
Ogni accadimento pare determinato da un ignoto potere oligocratico che ha avviato un Esperimento: nessuno sa da quanto tempo è in atto, né quando terminerà e il suo fine apparente – questa l’iniziale convinzione di Andrej – «è l’instaurazione della dittatura del proletariato in alleanza con i lavoratori della terra». Soprattutto l’Esperimento impone una condizione: credere e rinunciare a capire, perché la mancanza di fede è causa di decadenza, distruzione e morte.

L’astronomo Andrej Voronin inizia il proprio percorso esistenziale come netturbino, impegnato con la sua squadra a liberare la Città dai giganteschi babbuini che l’hanno invasa. Successivamente è promosso inquirente, con l’incarico di indagare sul caso di un misterioso edificio rosso che, visibile solo di notte, si sposta da un distretto all’altro e fagocita i malcapitati che vi entrano. Diviene, poi, caporedattore di un giornale di opposizione, alla cui redazione vengono recapitate numerose lettere di cittadini che denunciano gli abusi di potere e i misfatti perpetrati dal governatore della Città e che devono essere distrutte. Il rogo delle «carte scritte dalle persone intelligenti» diviene l’emblema di una società in cui il libero pensiero e la parola che lo esprime sono stigmatizzati, perché segno inequivocabile di una consapevolezza critica non allineata con l’ideologia ufficiale, e nella coscienza di Andrej, a poco a poco, si apre la dolorosa ferita del dubbio. Cambia il governo e Andrej viene nominato consigliere: la sua posizione gerarchica sempre più lo induce a riflettere sul rapporto tra massa e organi di potere. L’ultima sua missione consiste nel guidare una spedizione esplorativa in un territorio sconfinato, situato in un indefinito nord, allo scopo di individuare l’inizio del mondo. È un viaggio iniziatico – che culmina nell’attraversamento di un pantheon abbandonato e assimilabile a una fitta foresta, simbolica esperienza della morte – al termine del quale Andrej raggiunge la vera consapevolezza di sé: ha smarrito ogni certezza e tutte le sue azioni d’improvviso gli appaiono prive di senso. È il Mentore, misterioso interlocutore che inaspettatamente si materializza nei momenti nodali dell’avventurosa esistenza di Andrej Voronin, a consegnargli il definitivo viatico: «Le è appena stata impiantata la comprensione e questo le dà la nausea e non capisce a cosa diavolo serva, e non la vuole» che pare richiamare il motivo, di segno opposto, della fantasia asportata mediante lobotomia dai cervelli degli Uomini Nuovi, cittadini dello Stato Unico nel romanzo Noi di Evgenij Zamijatin.

Nell’Esodo, parte conclusiva del romanzo – connotata dal richiamo al biblico motivo della miracolosa liberazione dalla schiavitù, in questo caso ideologica – Andrej incontra sé stesso nelle parole che gli rivolge l’amico Iz’ja: «vedo in te un uomo ormai maturo, che ha distrutto tutto ciò che venerava e ora non sa più cosa deve venerare. E tu non puoi vivere senza venerare». Alla simbolica morte della vecchia coscienza di Andrej consegue una rinascita, un nuovo inizio, in uno scenario dall’inattesa dislocazione cronologica.

Come sempre, nei romanzi dei fratelli Strugackij, la lucida visione della società e delle sue complesse trasformazioni; dell’uomo e dei suoi cambiamenti profondi se da un lato è ispirata alla loro contemporaneità, dall’altro assume un valore atemporale, offrendosi al lettore dell’età presente come strumento di indagine per sollecitare la coscienza e interrogarla; per spingere lo sguardo ai confini del vasto mondo, mediaticamente trasformato in una regione circoscritta e prossima; infine, dopo aver liberato l’intelletto dalle catene del condizionamento e dell’omologazione, per tentare di comprendere sé stesso e la realtà che lo circonda, con onestà e coraggio.