di Nico Maccentelli

Neanche 15 giorni fa si sono svolte in Cile le elezioni per eleggere l’Assemblea Costituente, a seguito del referendum dell’ottobre scorso che ha mandato in soffitta la vecchia Costituzione pinochettista del 1980. Insieme a queste, si sono tenute le regionali. In complesso, rispetto a sei mesi fa si è avuta una consistente flessione dell’affluenza al voto, ma il risultato in complesso riflette la forte spinta al cambiamento di questi ultimi due anni di lotte sociali vaste e radicali , da quelle studentesche della primavera del 2019 contro l’aumento del prezzo della metropolitana a Santiago a quelle di piazza Dignità e per tutto il Cile pochi mesi dopo contro i provvedimenti neoliberisti di massacro sociali del governo di destra di Sebastian Piñera.
Ma prima di addentrarmi nell’analisi del voto e delle conseguenze di quello che si configura come uno tsunami politico in Cile, vorrei spiegare il perché di questo articolo e di conseguenza il perché del titolo.

Il punto è che queste elezioni sono state quasi del tutto ignorate dai media nostrani e si può comprenderne il motivo. L’intero cono sud americano è scosso da proteste sociali di vasta portata. Infatti totalmente ignorata in queste settimane è anche la rivolta sociale in Colombia, che ha già provocato decine di vittime, con il governo Duque che tra torture, stupri, esecuzioni sommarie e desaparecidos, si trova alle strette e quindi costretto a ritirare parzialmente le misure, anche queste neoliberiste e di macelleria sociale, che avevano scatenato l’ira popolare(1).

A ciò si aggiunge il ritorno di governi socialisti e progressisti, comunque di segno antimperialista, invisi alla potenza USA e all’Occidente, come la Bolivia e l’Argentina. Va da sé che l’argomento America Latina inizia a essere piuttosto problematico  per gli yankee e quindi per tutti i media mainstream che seguono le veline delle agenzie di intelligence come la CIA nel mondo, non esclusi i nostri, che sono tra i più allineati. Meglio occultare. Visto che sul banco degli imputati c’è proprio quel neoliberismo che regola e governa il mondo atlantista e non solo e che le ripercussioni pandemiche del covid-19 ha reso ancora più feroce.

È però nell’ambito della sinistra nostrana che queste elezioni cilene hanno avuto poca eco e ancor meno riflessioni politiche. Quasi che perché questo paese essendo dall’altro capo dell’emisfero non abbia nulla a che vedere con il nostro contesto socio-economico e geopolitico occidentale. Eppure per le sinistre agli inizi degli anni ’70 era piuttosto chiaro nelle due fasi cilene: il governo Allende e la dittatura dei generali con Augusto José Ramón Pinochet Ugarte. Era chiaro come il Cile sia stato ben due laboratori socio-economici: il primo con Unidad Popular e un processo di socializzazione delle risorse come le miniere di rame e dei mezzi di produzione che indicava una strada possibile al socialismo lungo il solco cubano ma con caratteristiche proprie.

E successivamente il secondo, con il golpe dell’11 settembre del 1973, prendeva vita nel sangue della repressione di lavoratrici e lavoratori, sinistra, sindacalisti, il laboratorio neoliberale dei Chicago Boys, cresciuti sotto le ali di Milton Friedman, la cui scuola economica ha poi impestato tutto il mondo con la dottrina della libertà totale del mercato e dell’assenza di diritti sociali del tutto mercificati e privatizzati. Una configurazione economica e sociale passata anche nei paesi a capitalismo avanzato per la reaganomic e il tatcherismo e che da decenni conosciamo bene anche noi, trasfigurando in modo osceno anche quelle che erano le sinistre storiche, socialdemocratiche e post-comuniste e che oggi sono partiti neoliberisti o euroliberisti come il PD.

Ma il Cile di oggi, che quasi ad avverare le ultime parole di riscatto popolare del Presidente Allende da Radio Magallanes(2), con l’avvio delle lotte sociali del 2019-20 e con le ultime due tornate elettorali, sembra quasi dare un segnale di chiusura dell’intangibilità dell’era liberista, come a dirci che la resa dei conti internazionale con il neoliberismo macellaio è iniziata proprio dove quest’ultimo è iniziato .

Dunque questo silenzio o sotto tono della sinistra nostrana, e mi riferisco a quella di classe, rivela l’incapacità di cogliere un processo sociale antagonista al capitalismo neoliberale molto più vasto, che attraversa i diversi continenti.

Le elezioni cilene del 15 e 16 giugno scorso rappresentano dunque una svolta fondamentale per quel paese. In verità per le elezioni regionali, vi sono numerosi ballottaggi, ma su chi abbia effettivamente vinto questa tornata elettorale è cosa certa. O per lo meno, si sa per sicuro chi ha perso: la destra.

Nonostante si sia presentata a lista unica, Vamos por Chile, dai settori più moderati fino all’estrema destra fascista e nostalgica della dittatura pinochettista, la destra non ottiene il terzo necessario per ostacolare la nuova Costituzione che verrà realizzata, arrivando addirittura a meno d’un quarto.

E non è andata bene neppure al centrosinistra: democrazia cristiana, socialisti, liberali, ecc. che sono stati protagonisti di governo in gran parte degli anni post-dittatura (cinque su sette governi).

Coma già accennato, certamente a questa debacle delle destre e delle forze centriste ha influito l’inasprirsi della lotta di classe contro il governo Piñera dell’ultimo anno e mezzo e nonostante che le liste di sinistra fossero più diversificate. Un successo di vaste proporzioni per le sinistre che non si vedeva dai tempi di Unidad Popular.

Sembrava scontato che il tavolo del processo costituente andasse alle solite forze tradizionali che dagli anni ’80 in poi hanno gestito malamente e nel segno della continuità la difficoltosa fase post-dittatura, ma non è stato così. Si tratta di un ribaltamento verso forze rinnovatrici e di sinistra che peserà e non poco, non solo sul governo Piñera, ma sul corso politico più generale del Cile, segnando una svolta radicale. Un vero problema di governabilità per l’oligarchia neoliberista al potere. Ma anche riguardo al nuovo contesto costituzionale col quale le classi dominanti si troveranno ad avere a che fare.

È dunque risultata vincente la coalizione Apruebo Dignidad della sinistra tra PC Cileno e il Frente Amplio, sorto proprio con l’estallido social: le lotte sociali anti-Piñera.

Ma oltre a questa sinistra, si è registrato il successo travolgente dei candidati indipendenti. Una parte di questi ha come riferimento il Socialismo del XXI secolo e vede di buon occhio il Venezuela bolivariano e socialista. Ma i ben 48 seggi sui 155 di questi candidati scontano un’eterogeneità per diverse sensibilità politiche e sociali e differenti appartenenze e provenienze, che va a costituire una variabile nelle future dinamiche assembleari. 

Non tutti questi candidati infatti si collocano a sinistra. Ci sono liste in competizione tra loro. La Lista del Pueblo per esempio, è in linea di massima collocata a sinistra, ma la Lista de Independientes No Neutrales è costituita da liberali progressisti, i quali potrebbero essere attratti da scambi di favori e proposte provenienti dalla destra. Inoltre gran parte dei candidati indipendenti sono portatori di istanze regionali ed espressione di istanze particolari come il diritto all’acqua come bene comune, istanze ambientali, delle donne e così via.

C’è da dire che la frammentazione a sinistra è dovuta non solo alla provenienza e all’appartenenza di esperienze diverse. È un fatto che nella costituzione delle liste la componente storica anti-dittatura della sinistra, ossia il Frente Amplio e il PCC (Apruebo Dignidad) non siano stati permeabili alle nuove soggettività provenienti dall’antagonismo spontaneista e sociale delle lotte dell’ultimo anno e mezzo. Il fonte comune anti-Piñera e antiliberista, non è stato in grado di tradursi in una coesione più organica sul terreno elettorale. E questo è un antico problema della sinistra, un retaggio che si trascina anche nel nuovo millennio un po’ ovunque, spesso con partiti comunisti o marxisti ortodossi incapaci di cogliere il nuovo se non in parte, con un ancoraggio a formule politico-organizzative stantie, poco adatte ai nuovi movimenti e a un consiliarismo dirompente. Per non parlare della complessità dei contenuti, spesso incomunicanti anche se di segno antiliberista, come tutta la questione dei popoli originari, scarsamente rappresentati anche in questo frangente elettorale, ai quali oltre tutto sono stati riservati pochi seggi in proporzione alla loro consistenza elettorale.

In questa eterogeneità vanno menzionate anche le più diverse sensibilità politiche e realtà di lotta tra cui spicca un movimento femminista piuttosto maturo e conflittuale. Femministe cilene piuttosto combattive che ricordiamo come iniziatrici di un flash mob contro la violenza di genere e di Stato che ha fatto il giro del mondo, propagandosi come pratica di protesta in tantissimi paesi. E questa Costituzione, vedrà per la parità di genere nell’Assemblea il protagonismo delle donne. Anche se va detto che questa spinta sociale non è riuscita a trovare in pieno una corrispondenza nelle liste di lotta. E l’8M Coordinamento femminista non ha ottenuto risultati apprezzabili.

Tuttavia, al netto di future incognite dovute a differenze, istanze particolari e regionaliste, possiamo dire che la vittoria schiacciante delle sinistre nel loro complesso, sia tradizionali e storiche come il PCC, che quelle dei nuovi soggetti, sono il prodotto politico, la sintesi del forte conflitto sociale nel paese. E la nuova carta costituzionale del cambio, sarà il prodotto storico-politico di questo processo sociale, sia per un superamento della Costituzione del 1980 verso il ridimensionamento delle libertà di mercato e una centratura sui diritti sociali e civili, ma anche verso un decentramento dei poteri legislativi e amministrativi, dando più peso ai governatorati regionali e superando le prefetture che erano emanazioni del potere centrale.

Ciò sarà possibile soprattutto perché la maggioranza assembleare così come uscita dalle urne farà sì che la Convenzione Costituzionale potrà dotarsi di un proprio regolamento, contrariamente al ruolino di marcia che le forze conservatrici di destra e centrosinistra si erano date con l’accordo del 14 novembre 2019(3). Regolamento che la renderà autenticamente sovrana nel redigere la carta costituzionale, facendo dell’Assemblea una reale costituente.

Ma oltre a questo, ciò che più conta è la spinta popolare dal basso, l’onda lunga delle lotte sociali come fattore piuttosto influente per la redazione della futura Costituzione, considerando che la gran parte delle forze di maggioranza hanno per vocazione la massima apertura alle istanze sociali provenienti dalle realtà di lotta, che, rappresentanti o meno, all’Assemblea faranno sentire la loro voce.

Il Cile quindi, dopo essere stato laboratorio storico delle destre reazionarie e del capitale neoliberista, si appresta a divenire di nuovo un importante laboratorio per la sinistra mondiale sia sul piano costituente che su quello sociale, delle profonde trasformazioni: se non direttamente sul piano del socialismo, quanto meno su quello dei diritti e di una governance popolare decentrata sui territori.

Ovviamente se non si ripeterà lo schema della CIA andato in scena nel 1973, magari riattualizzato. Tanto per capirci: senza “incidenti di percorso” alla boliviana e tragici ritorni orchestrati da destre e intelligence occidentali.

Lo potrà essere grazie alle sensibilità e realtà di base sopra citate, che però dovranno trovare una sintesi politica cogliendo un’opportunità storica per il paese e una sperimentazione utile per le forze del socialismo su scala internazionale.

Sul piano latinoamericano, non v’è dubbio che dopo il ritorno della Bolivia nella casa di Nuestra America bolivariana, e il successo in Argentina del peronismo progressista sempre sotto il cappello dei Kirchner, si va con questo successo delle masse popolari e lavoratrici cilene a rafforzare l’autonomia politica da Washington di una serie di paesi, e con buone probabilità potrà esserci maggiore agibilità politica per i paesi dell’ALBA. Ciò dunque corrisponde a un indebolimento del controllo imperialista USA, aprendo nuove prospettive nel mutamento dei rapporti di forza geopolitici.

In generale siamo ancora ben lungi da una situazione consolidata per i governi popolari e democratici dell’America Latina e tante sono le contraddizioni che attraversano i vari paesi, tra burocrazia, corruzione, estrattivismo, conflitti per le terre con le popolazioni indigene (come i Mapuche). Ma certamente questo è un importante passo in avanti.

Nell’orizzonte piatto col quale le destre italiane, da quelle tradizionali a quelle di falsa sinistra come il PD, cercano di descriverci e di imporci il mondo del capitalismo globale come unica realtà possibile, l’America Latina ci sta dando essenziali elementi d’analisi riguardo le dinamiche antiliberiste delle masse in lotta e il lavoro politico conseguente per le avanguardie di classe, con le sue contraddizioni sociali più avanzate e dirompenti, con le sue poderose lotte sociali, le sue vittorie popolari e le sue esperienze di governi bolivariani e delle sinistre.

È a queste esperienze che dobbiamo guardare, più che alle degenerazioni di un socialismo burocratico e classista (a rovescio però: di nuova borghesia) come quello cinese, che attualmente ha come unica valenza positiva il contrasto di fatto oggettivo: geo-economico e geopolitico, all’imperialismo, ma che non brilla certo per la democrazia popolare, come invece talune esperienze di democrazia dal basso e di protagonismo consiliare delle masse popolari di Nuestra America, camere di compensazione del comune tra settori popolari come forme di soviettismo contemporaneo in sperimentazione.

 

NOTE:

1) È la terza “riforma economica” del governo di Iván Duque Márquez, un fantoccio come Alvaro Uribe Vélez al servizio degli USA, delle loro multinazionali e un uomo dello stesso ex premier Uribe: aumento dell’IVA e delle accise sul carburante, estensione della tassa sul reddito anche alle classi più basse e ai pensionati (che precedentemente ne erano esclusi). Misure che penalizzano gli strati più deboli e indigenti della popolazione colombiana.

2) Le ultime parole del presidente Allende:  “Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.” 48 anni per la storia sono un soffio.

3) “Acuerdo por la Paz Social y la Nueva Constitución, dal quale rimasero fuori le sinistre come il PCC e che fu fortemente criticato da queste.

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