di Valerio Evangelisti

Jules Vallès, Il diplomato, a cura di Enrico Zanette, edizioni Spartaco, 2020, pp. 322, € 16,50.

Sconcerta il destino che ha avuto in Italia Jules Vallès (1832-1885), nome da noi sconosciuto ai più. In Francia è ritenuto un classico della letteratura nazionale, e si moltiplicano da oltre un secolo le riedizioni delle sue opere, a partire dalla più celebre: la trilogia semi-autobiografica di Jacques Vingtras, composta dai romanzi L’enfant, Le bachelier, L’insurgé. In Italia, restando alle traduzioni più recenti, abbiamo Il ragazzo, pubblicato da Feltrinelli nel 1973, e L’insorto, edito da Petite Plaisance nel 2019 (piuttosto difficile da reperire). Colma ora una lacuna abissale la versione italiana de Le bachelier, proposta da un piccolo, coraggioso editore, in edizione ineccepibile.

Cos’ha impedito, in Italia, una decente divulgazione di Vallès? In primo luogo, suppongo, la difficoltà della sua scrittura, zeppa di calembours, di frasi gergali, di battutine accessibili ai lettori transalpini e poco agli altri. Inoltre non si può escludere una remora politica. Vallès – come il suo alter ego, Jacques Vingtras – è stato rivoluzionario clandestino sotto Napoleone III e tra i protagonisti della Comune di Parigi del 1871. Forse non era interesse politico della nostra accademia, sotto il fascismo ma non solo, accogliere tra i grandi della letteratura un socialista militante, fedele fino alla morte, giunta troppo presto, ai suoi ideali.

Risulta difficile leggere i romanzi della trilogia di Vingtras isolati tra loro. Si completano in un crescendo che culminerà con l’esplosione della Comune. Nel primo volume, Il ragazzo, è narrata l’infanzia dolorosa e grottesca di Vingtras, figlio di una coppia di piccolo-borghesi detestabili e vili, che cercano di ridurlo al conformismo e all’ossequio. Ne Il diplomato il giovane si è separato dalla famiglia, e vive la squallida Parigi del Secondo impero tra coetanei squattrinati come lui, in soffitte molto meno romantiche di quelle della Bohème. L’imperativo è sottrarsi alla fame con un lavoro qualunque, e la ricerca è accompagnata da una crescita politica via via più netta. Nelle strade, Napoleone il Piccolo ricorre a una ferrea repressione, e non riescono a contrastarla i piani orditi da società segrete di impronta blanquista, in cui i cospiratori sono un pugno di barbuti idealisti.

Inutile dire che L’insorto rappresenta lo sfogo delle umiliazioni e delle frustrazioni accumulate in un quarantennio, la breve primavera in cui, con idee incerte sul dove andare, si marcia entusiasti verso un destino di redenzione. La repubblica delle barricate sarà sommersa, con i suoi 72 giorni di riforme, di democrazia diretta e di guerra, da un oceano di sangue. La borghesia è sempre feroce con chi la sfida. Eppure la corta alba dei comunardi sarà matrice di tante rivoluzioni future, non sempre altrettanto pure e belle (ma qualche volta sì).

Non si creda che l’approccio di Vallès a eventi di tale storica potenza sia tragico o drammatico. Al contrario, il suo stile è ironico, autocritico, brillante e talora sfocia nel comico. Si veda, ne Il diplomato, il più balordo dei lavori trovati da Vingtras: pubblicizzare un giornale di stoffa destinato ai frequentatori di bagni e piscine. Oppure, ne L’insorto, capire come determinare per l’anagrafe il sesso di un neonato. Si ride e, a ben vedere, si riesce a cogliere la grandezza di un autore in grado, con tanta naturalezza, di cambiare registro.

Un gigante, Vallès. Mi auguro che qualcuno abbia un giorno l’idea di tradurre per intero la trilogia, restituendo alle nuove generazioni di spiantati e di ribelli l’opera che fa per loro.