Oblomov, Quartu Sant’Elena (Cagliari) 2021, pagg. 359 € 40

di Mauro Baldrati

Escono, per la casa editrice di Igort, le graphic novel di quattro romanzi di Jean-Patrick Manchette (1942 – 1995), organizzate in uno spettacolare volume da poco in distribuzione. I titoli sono Grifu, Piccolo Blues, Posizione di tiro e Pazza da uccidere. La raccolta contiene anche le illustrazioni inedite degli incompiuti Fatale e Nada. Le tavole e l’adattamento dei romanzi sono a cura del disegnatore francese Jacques Tardi.

I quattro testi costituiscono una importante antologia dell’opera del noirista per eccellenza francese, autore di culto per l’innovazione che ha introdotto nel genere noir, o “giallo”, come lui stesso definisce la sua opera. Prima di lui la scuola nera era rappresentata dall’hard boiled americano, primo fra tutti Hammet, suo maestro riconosciuto: “Nel romanzo criminale violento e realista all’americana (il noir vero e proprio), l’ordine del Diritto non è equo, è transitorio e in contraddizione con se stesso. In altre parole, il Male domina storicamente. Il dominio del Male è sociale e politico. Il potere sociale e politico è in mano a delinquenti. Più precisamente, capitalisti senza scrupoli, alleati o identici ai gangster delle organizzazioni criminali, hanno assoldato politici, giornalisti e altri ideologi, come pure magistrati e poliziotti, senza dimenticare i sicari. Così avviene ovunque questa gente, divisa in clan, lotta con ogni mezzo per accaparrarsi mercati e profitti. Si riconosce qui un’immagine grossomodo analoga a quella che la critica rivoluzionaria ha della società capitalistica in genere. È lampante (…) Il giallo è la grande letteratura morale della nostra epoca. O più esattamente, dell’epoca che sta ormai volgendo al termine, quella della controrivoluzione che regna incontrastata.”

Nella sua opera deflagrano gli anni Settanta, con tutto il loro splendore estremo, la loro durezza spietata e ultraviolenta. Ma, per usare un concetto del nostro tempo, esiste un’ultraviolenza cattiva e una buona. La prima la subiamo ogni giorno: la corruzione, la disinformazione, l’avidità insaziabile dei padroni, la devastazione dell’ambiente; la seconda è quella del noir, e di Manchette: strappa via la maschera del Potere, scopre la sua smorfia malvagia, ne mette in scena la danza macabra, ne rappresenta il Grand Guignol sanguinario.

Ma il tutto avviene senza didascalie, né moralismi o consolazioni romanticheggianti. I suoi personaggi sono spesso dei perdenti, con interfacce anche patetiche, che non controllano la situazione, ma ne sono dominati, o strumentalizzati. Vivono le storie che l’autore ha assegnato loro combattendo personaggi marci in ambienti segnati dal crimine e dalla totale mancanza di pietà. Come Grifu, un consulente legale che si scontra con una speculazione edilizia che non si ferma davanti a nulla. Jacques Tardi ci dice che Grifu è lui, Manchette, e la vicenda è ispirata alla vera storia degli scandali edilizi de Les Halles, nell’era Pompidou. Oppure Gerfaut, in Piccolo Blues, un medio dirigente d’azienda stressato, che incappa in un incidente d’auto che gli cambierà la vita. Viene aggredito da due killer che tentano di assassinarlo mentre è al mare con la famiglia, e da quel momento dovrà lottare e uccidere per salvare la propria vita, stritolato da una macchinazione infernale. O il killer di Posizione di tiro, Terrier, che ama follemente una ragazza idealizzata che ritrova dopo dieci anni; l’amata lo disprezza, lo chiama “idiota, scemo, sfigato”, e scopa addirittura col sicario che lo tiene prigioniero. Ma lui niente, continua a sognare di rifarsi una vita felice con lei. Combatte furiosamente, braccato, ferito, malmenato, finché si riduce a una patetica, ridicola parodia di se stesso. E l’altro killer, Thompson di Pazza da uccidere, degno di una grande tragedia shakespeariana: malato, maledetto, ossessionato dall’incarico di uccidere una ragazza che fugge con un bambino. Stravolto dai conati di vomito per l’ulcera, con un piede maciullato dai pallettoni, un occhio trafitto da una freccia e un pugnale conficcato nella schiena non si ferma, massacra chiunque si trova di fronte, va avanti in un tripudio di sangue e bile, spinto da una forza demoniaca fino alla disintegrazione terminale.

Le tavole di Jacques Tardi, realiste e al contempo con suggestioni caricaturali, animano questi personaggi spietati, senza un solo brivido di compassione, rotti a ogni orrore, con la gauloises perennemente accesa, la bottiglia di whisky sempre a disposizione, la musica jazz che esce dalle autoradio e dai giradischi analogici. Col loro flusso cinematografico scorrono a “velocità mortale, alla Robert Aldrich”, e fanno di questo libro un’opera storica, con gli scenari dell’epoca, le auto, le insegne, i dialoghi. Chi ha già letto Manchette lo ritroverà, chi non lo conosce difficilmente resisterà alla tentazione di cercarlo. Ed è giusto non resistere, perché questa brutalità stilistica, che sa essere così raffinata e colta, persino con una vena poetica, costituisce una importante arma di resistenza al dilagare di un sentimentalismo peloso che sta colonizzando tutto l’immaginario contemporaneo. E perché no, anche l’oggetto perfetto per un gradito regalo antagonista.