di Diego Leandro Genna

Raccolte le sue cose, poco più di niente, si congedò dal gruppetto di vacanzieri intorno alla tavola imbandita e si avviò verso il suo digiuno destino.

Nessuno sembrò curarsi della sua partenza.

Il mare era una lucida distesa di quiete. Il corpo immenso di un mollusco, smaltato di silenzio. Le nuvole migravano lentamente, vagando nel cielo senza confini. Lui rimase lì, sospeso, ad osservarle. Nessuna anima viva. Non una rondine di mare. Da solo. Alla deriva del tempo e di orizzonti impassibili.

L’incontro successivo avvenne di notte.

Le luci di via apparvero nell’ampia oscurità, affievolite dalla foschia. Una verde, una rossa e una bianca. Quest’ultima come una piccola stella strappata dal cielo e inchiodata in cima all’unico albero della barca. Nessun trambusto di motore. Nessun suono o rumore finché uno spicchio di vela trasandata sbuffò per l’assenza di vento.

A bordo, il marinaio che solcava la solitaria rotta della vecchiaia, tra la ruggine del sartiame e l’artrite inesorabile, si accingeva senza alcuna fretta a cazzare una cima quando fu rapito da una forma scura a pochi metri dallo scafo. Lo vide. Vide i suoi occhi. Quegli occhi bianchi e gelidi, due buchi nella notte. Riuscì ad accostare con una lesta manovra e in pochi istanti il naufrago era già a bordo, grondante sul pozzetto.

“Chi sei?” fu la prima inutile domanda.

Il suono di quelle minuscole parole sembrò disperdersi come gocce di pioggia nell’oceano.

“Io sono colui che ha il mare come dimora” fu la risposta priva di inflessione, senza muovere alcun muscolo, quasi senza aprire bocca.

Il vecchio marinaio ne aveva viste parecchie in tutti i suoi anni trascorsi a navigare, ma quell’incontro, nel ventre della notte, lo lasciò smarrito, sopraffatto da un’ondata di sgomento.

L’uomo che aveva appena raccolto dal mare era alto, robusto, scuro, ed era fradicio. Indossava una veste che aveva assorbito le tonalità del fondo marino, come fosse stata intessuta di alghe brune e dotata dello stesso incessante tremolio. Non aveva scarpe ai piedi.

Il vecchio marinaio gli propose una coperta. L’uomo raccolto dal mare la rifiutò. Allora gli porse un sorso del the ancora bollente che dondolava nella sua tazza termica. L’uomo rifiutò anche quello. Non sarebbe comunque servito a scaldarlo.

Il vecchio ripose la tazza fumante accanto a una pipa spenta. Sempre più affranto, provò altre inutili domande. Da dove vieni? Cosa ti è successo? Cosa facevi prima di finire in mare?

L’uomo lo fissava in silenzio, senza emozioni. L’acqua che colava dal suo corpo produceva un’eco di tempeste assopite. Era immobile, non tremava. Scosse la testa, senza alcun rancore. Sembrava solo molto stanco, spossato. Sospirò e si mise a sedere, con rassegnazione. I suoi movimenti erano intrisi di estrema lentezza, ma il suo corpo conservava un’armonia flessuosa. Tirò fuori dalla tasca una grossa collana, con un amuleto simile a quei ciondoli apribili che custodiscono immagini di persone preziose. La ripose accanto a sé. E finalmente parlò:

“Prima ero un pastore.” La sua voce era un gorgo in cui lo sguardo del vecchio marinaio si sentì sprofondare.  Aveva atteso con inquietudine, e adesso che quella voce si era manifestata avrebbe voluto rispedirla indietro, in gola, in mare. Cominciò a capire e sentì un brivido afferrargli le mani scarne, come se la morte in persona fosse venuta a prenderlo per trascinarlo in un mare di desolazione.

“Poi è arrivata la guerra, con le sue bestie, ed ha spazzato via uomini e capre”.

Le ginocchia del vecchio scricchiolarono nel piegarsi. Nel suo volto una smorfia di sofferenza. Si sedette con poca grazia.

Adesso erano uno di fronte all’altro, e in mezzo, appena sotto l’asse dei loro sguardi, la barra lignea del timone. La foschia sembrava essersi dissolta. L’aria più fredda. Il buio più profondo.

“Vivevo ai margini del grande mare dorato. Facevo il pastore. Ma il destino mi ha portato e lasciato qui, in questo mare. Adesso sono un naufrago di professione.”

Fece una lunga pausa. Nei suoi lineamenti il vecchio marinaio scorse le forme del vento, alte dune dorate, tramonti enormi, tormente.

“Ti chiedo solo di poter riposare, seduto qui.”

Il vecchio disse a bassa voce che poteva parlare, raccontare, che lui avrebbe avuto il piacere di ascoltare, ma nella stiva della sua coscienza sapeva già come sarebbe andata. Gli anni in mezzo al mare gli avevano insegnato a non importunare le assenze e i silenzi. A lasciare in pace il passato.

“Non ho voglia di parlare. Sarebbe la solita storia di viaggi finiti male, di abbandoni e distacchi, una storia di distanze indelebili, di assassine speranze e sogni che marcisco sotto una coperta blu, in fondo al mare. Storie di naufragi. Anche se questo è il mio compito ormai, l’unica cosa che posso fare: professare memoria. Ma sono troppo stanco. E spesso mi chiedo a cosa serva…”

Prese in mano l’amuleto della collana che aveva tirato fuori dalla tasca. Lo ruotò delicatamente tra le dita. Poi guardò il vecchio con occhi pieni di angoscia, come ad implorargli di non fargli riaprire profonde ferite. Sperava che il buon marinaio avrebbe compreso. Le parole erano di troppo. Il silenzio poteva raccontare ampiamente.

Il vecchio distolse lo sguardo.

L’acqua massaggiava i fianchi dello scafo, con dolcezza, nella notte senza veli. Non c’erano terra o navi o altra luce qualsiasi all’orizzonte. La notte. Il mare. E la barca, tra due abissi opposti.

“Su qualsiasi barca o nave approdi nemmeno mi guardano in faccia. Non sembrano accorgersi della mia presenza. Parlo ma non mi ascoltano, nessuno si commuove. Tu almeno mi vedi.  Mi basta questo.” L’uomo raccolto dal mare parlò come continuando una conversazione che si svolgeva tutta nella sua testa.

Il vecchio marinaio capì e non aggiunse altro. Rimase a contemplare. Senza violare con le parole quell’immagine.

La tazza con il the aveva smesso di fumare. Prese la pipa poggiata lì accanto ma non l’accese. Ascoltò il suo respiro infrangersi sulla sfinita presenza di quell’uomo. Poi si voltò a guardare la bianca scia della barca, orma del suo cammino che si allungava e svaniva.

Restarono così quasi tutto l’arco della notte. In assoluta quiete. Gli occhi del naufrago carichi d’incommensurabili addii. Non parlarono. Poi d’improvviso l’uomo si alzò e con un lieve movimento della testa ringraziò il vecchio marinaio. Un’anima gentile.

Rimise in tasca i suoi ricordi e senza dire niente si tuffo in mare.