di Francesca Fiorentin

Carlo Tosetti, La Crepa Madre, Pietre Vive, Alberobello (BA), 2020, pp. 85, € 12,00.

La Crepa Madre, edita nel 2020 da Pietre Vive Editore, è opera audace e rara nella poesia contemporanea. Si tratta infatti di un poemetto delle origini che contiene una sua genesi situata, in maniera rovesciata rispetto al mito e alla scrittura profetica, verso la fine della narrazione poetica. È anche poema epico perché narra la leggenda di un essere enigmatico, la Crepa, rimasta nella memoria degli uomini. Il componimento nasce con un umile avvio, una storia familiare: fuori da ogni tracciato, la scrittura di Tosetti non lascia intravedere modelli. Il linguaggio possiede elementi arcaici in un ritmo sintattico contemporaneo: questi elementi evocano la parola del mito e dei patriarchi. Da un punto di vista metrico, si alternano settenari e ottonari mentre lo stile è al servizio della lingua, senza estetismi e manierismi. Il poemetto ha un incedere narrativo, tutto giocato su una lunga narrazione: la poesia riprende il testo in prosa posto in introduzione alle varie sezioni. Il ritmo, alcune volte, risulta cadenzato e veloce, altre, più lento e caratterizzato dall’enjambement. Il lessico è ora semplice, di matrice pascoliana, ora ricercato con termini di uno stile alto (ad esempio, “imbibiscono”, “valvolare”, “ersero”, “bronchi”, “bronchioli”, “ialino”, ecc). D’altra parte, ricordiamo che anche in Pascoli il fanciullino è l’unico in grado di percepire il linguaggio della natura.

 

La storia

Una misteriosa crepa, chiamata fin dall’inizio dell’opera “Crepa” perché viva, attraversa il muro di casa della famiglia dei vicini frequentati dal protagonista durante le vacanze estive. In questa casa avviene il loro l’incontro. Qui il protagonista, bambino, ne osserva i movimenti e ne intuisce il linguaggio incomprensibile, un messaggio di amicizia. Prima dell’incontro il bambino, durante una corsa, era caduto e si era procurato un taglio al ginocchio; la ferita agisce come una “analogia” e, proprio come una seconda crepa, permette di creare una comunicazione tra di loro: il bambino è attratto dalla Crepa e ne seguirà la storia. Solo lui, perché “soltanto chi era dotato di sguardo attento poteva notare una sorta di filo trasparente tendersi fra le piastrelle. Per gli altri, la Crepa era fantasia, allucinazione”. La Crepa gli insegnerà che la sua ferita da taglio, la sua sofferenza e ogni sofferenza rimanda ad altre vite, e in questo rimando abbracciamo l’unione con tutte, sperimentando in noi l’uno come molteplicità.

Accade che i proprietari vendano la casa e dei milanesi imborghesiti, diventati i nuovi inquilini, decidono di fare dei lavori di ristrutturazione, di eliminare la Crepa, che oltretutto un giorno li aveva inquietati con un enorme squarcio aperto nel muro e tornato alle originarie dimensioni della Crepa la mattina seguente. Un muratore salda i lembi del muro; nel far ciò cade e si ferisce, mentre la Crepa cerca altri spazi in cui esistere: esce per strada, lasciando solchi lungo l’asfalto e lungo la campagna che attraversa, ma sembra conoscere le vie che attraversa e non procura danni alle case, camminando lungo la strada. Si avvia in piena campagna e dopo aver sussultato, si ferma davanti al lago, rimarginando il canale che aveva aperto nelle sue acque nella furia del cammino. A questo punto la sua esistenza è sotto l’occhio di tutti, e diventa oggetto di studio scientifico. La scienza scopre che la Crepa è la causa che ha permesso la divisione delle terre e delle acque, in tempi geologici remoti. Ciò non cambia l’atteggiamento degli uomini che, concreti e materialistici, pensano più al disastro procurato dal suo passaggio per le strade e per la campagna che al suo mistero. I danni materiali procurati dalla Crepa nel paese vengono riparati. Dei tecnici la avvolgono di sensori per monitorare il suo possibile e temibile risveglio, ma nulla accade per anni e anni finché il protagonista, che a lungo aveva sperato in un suo ritorno, divenuto nel frattempo un giovane uomo, un giorno, mentre si trova a leggere un libro seduto in una panchina del parco comunale, ne ravvisa l’immagine e chiedendole, incredulo, una conferma, diventa certo della sua presenza. La Crepa è tornata e insieme all’amico ora ripercorre le vie che portano all’antica casa. Sul muro, prima di insediarvisi, incide infiniti segni che rivelano il significato dell’essere della Crepa, inesprimibile dal linguaggio umano, e tuttavia il protagonista ne racconterà la storia. Tutta la narrazione sottende molte idee che ora mi accingo ad affrontare secondo la mia visione teologica.

 

La Crepa e la creazione divina

Non si sa da quanto tempo la Crepa abiti la casa; è forse coeva alla casa che fu costruita durante i primi anni del XV secolo. Non se ne ha memoria, forse essa viveva già prima della casa, e anche prima di ogni tempo. Come è possibile, se la Crepa è qualcosa che divide la materia, che sia vuota e animata? Un certo tipo di vuoto animato rimanda al punto senza spazio né tempo che fu la creazione divina. Secondo i cabalisti spagnoli medievali, e secondo il più grande cabalista moderno, Isaac Luria, Dio si ritrasse da se stesso in se stesso per fare spazio all’universo: questa sarebbe l’unica maniera per suscitare qualcosa che non sia essenza ed essere divino. Una autolimitazione fu il gesto della Creazione, un atto da cui nacque anche il nulla. Il vuoto della crepa come il vuoto del volto di Dio non è nulla assoluto, ma l’essere prima della creazione. L’unico vuoto animato, quello della crepa, è simile a Dio prima della Creazione. Quando Dio creò, disse sia Luce. La luce è materiale e giorno. Nacque non solo la luce ma, per dare movimento all’universo, anche il buio inanimato, il buio come vuoto assoluto. Dio per prima cosa creò la luce, materiale, e il nulla vuoto e la materia inerte vuota di anima. La Crepa lascia penetrare luce e materia intorno a sé, non dentro e nello stesso tempo divide lo spazio della materia. È come il vuoto essere prima della creazione. È l’Apeiron di Anassimandro, indeterminato, illimitato, infinito, inconoscibile, l’Ein Sof dell’ebraismo. Osserviamo che dopo un lungo girovagare la Crepa si è fermata di fronte al lago, come se il lago fosse il limite della sua potenza. Ricordiamo il diluvio della Genesi e del Gilgamesh, l’acqua come elemento che Dio manda per rinnovare il mondo. La Crepa non poteva operare un’ulteriore distruzione della terra, attraverso le acque del lago: il patto di alleanza con Dio era di non permettere un’altra distruzione. Quindi la Crepa, in quanto non può distruggere ulteriormente, rimanda a quel Dio che ha creato e ha distrutto una volta attraverso il diluvio, e dopo questo ha stipulato il patto di alleanza con l’uomo: non distruggere una seconda volta (“non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra”: Genesi 9,11).

La Crepa ha nel finale il suo punto di arresto, la casa. È come una linea che ha un punto di origine o di fine, una semiretta che si muove, e fa muovere lo spazio attorno. Si può dire che termina nella casa, ma dove è il suo inizio? Manca un’estremità: è un’opera di cui non si può vedere e capire l’inizio, l’origine. Così l’Origine è il lembo mancante della nostra conoscenza di Dio, mancante per i nostri sensi, la nostra conoscenza finita, imperfetta. Questa è l’impensabilità di Dio prima della Creazione. Lo possiamo vedere, Dio, nella sua incarnazione, una diversa incarnazione, perché la Crepa è nel vuoto, è quel vuoto che permette alla materia di essere, di essere visibile. Inoltre, non tutta la materia inanimata vive. Il corpo inerte, l’argilla, prenderà vita solo nell’uomo. Non tutta la materia è animata, perché in realtà la materia non è mai animata. Nell’uomo il soffio vitale è arrivato senza entrare nel corpo. L’uomo prende vita, ma lo spirito non penetra nella materia. Il corpo sarà, platonicamente, una prigione.

A proposito dell’Ein Sof dell’ebraismo, riportiamo questa frase tratta da Dio, uomo e mondo di Franz Rosenzwig (un’opera che raccoglie le lezioni tenute dall’autore dal 1921 al 1922 alla Libera casa ebraica di insegnamento a Francoforte sul Meno, Giuntina 2013, pag. 88): “Creando, Dio ha rinunciato alla sua eternità, al suo esser-punto [Punktualität ] (NDT [Nel senso di punto assoluto, cioè assolutamente inesteso , ovvero: puro presente, negazione completa del tempo e dello spazio.]) o al suo esser-tutto [Allheit] (come si vuole), e con ciò anche all’unità del suo sapere e del suo volere.”
La Crepa si risveglia, richiamata dalla ricerca del fanciullo con il quale parlava; gli risponde. La passione dell’uomo per la voce divina ha dunque un peso nel destino dell’uomo. Come nell’ebraismo, l’uomo deve cooperare all’azione divina, cercandolo sulla terra. Cosa può fare? Cercare la sua voce in un suo segno, abitare il mondo nel segno dell’amicizia e nel segno di una analogia universale, sapendo che il mondo si muove nella ripetizione delle sue forme in quanto la dialettica tra materia, vuoto assoluto e anima si svolge nella storia in movimenti simili. Il microcosmo della terra e il macrocosmo divino si rispecchiano. Taglio è la Crepa e taglio fu la creazione divina. Taglio e crepa sono i movimenti di Dio e dell’uomo nel mondo. Analogamente l’albero, con i suoi rami, rimanda ai bronchi e al respiro; esiste una similitudine universale in cui siamo immersi, la narrazione dei movimenti dell’uomo nel mondo. Il nostro creare e agire è una Crepa.

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