di Mauro Baldrati

Non pensavo che fosse così.
Avevo immaginato due opzioni: soprattutto il buio. Totale, denso, impenetrabile. E me stesso che non ricorda nulla, che non sa, perché non è più. Oppure qualcosa, qualcuno – io – che si staccava dalla materia e vedeva me stesso disteso in una bara, i parenti, gli amici ecc.
Invece niente di tutto questo. D’un tratto mi sono ritrovato qui, in questo cortile recintato da un alto muro, come un penitenziario. C’è una luce diffusa, priva di ombre. E non si vede nessuno, a parte una piccola sagoma uscita da una porta che si dirige verso di me. Un bambino.
“Ciao Mauro” fa, quando mi arriva di fronte. Lo guardo attentamente. Qualcosa di lui mi è familiare. Non so perché. Non è stato un mio amico di infanzia.
“Ciao” dico, incerto. Continuo a fissarlo. Anche la voce ha qualcosa di familiare. Gli occhi. La corporatura.
“Bene arrivato. Ti aspettavo.”
A questo punto mi guardo le mani e ho un tuffo al cuore: sono le mani di un bambino. Anche i piedi, con un paio di scarpe che ricordo bene, perché un giorno scivolai in un fossato fognario e la mamma le gettò via. I miei scarponcini preferiti.
Un bambino.
Anch’io sono un bambino.
Come quello che mi sta di fronte e continua a sorridere.
“Non mi riconosci?” chiede. Il mio sbalordimento deve essere evidente.
“Ma… mi sembra che… Dove ci troviamo?”
Sorride di nuovo. “Sono Valter. Eppure sei venuto a un mio reading musicale, a Bologna, quando ho presentato Mephisto.”
Sì. Ora ricordo. Valter Binaghi. Valter che leggeva e cantava, con due musicisti. In platea eravamo quattro gatti quattro. Io, l’editore, l’addetta stampa e un’amica.
“A proposito” dice. “Grazie. E’ arrivata, forte e chiara.”
Lo guardo senza capire.
“Sì, dai, quando sei salito alla Basilica di San Luca per il sentiero dei Bregoli e mi hai mandato… posso dirlo? Una preghiera.”
“Uhm. Non so se lo era… Diciamo un pensiero.”
“D’accordo. Un pensiero. Però dentro la Basilica.”
“Sì. Per me sono come dei portali, ecco.”
“Capisco”. Sembra divertito.
Mi guardo di nuovo intorno. Non c’è niente da guardare. Assenza di forme, di ombre, di colori.
“Quindi dove siamo?”
“Davvero non l’hai capito?”
“Vuoi dire… Ma non esiste. E’ solo mitologia.”
“Invece sì. Siamo in Purgatorio.”
Deve essere un sogno. Eppure è tutto troppo chiaro, troppo perfetto.
“Dunque siamo qui per espiare?”
Espiazione. Quanta ne avrò? Certamente in dosi industriali.
“Non esagerare con le domande Mauro. Da quanto ho capito, cioè poco, siamo qui per ripulirci.”
Ripulirci. E’ pertinente. Purgare. Liberare.
“Eppure una domanda devo farla, Valter: perché siamo tornati bambini?”
E’ l’aspetto più sconvolgente.
“Credo che ci abbiamo spedito nel tempo in cui tutto ebbe inizio. Siamo qui per superare tutta quella roba che ci ha… danneggiato l’esistenza. Quanti anni credi di avere?”
Mi guardo per l’ennesima volta le mani e i piedi.
“Secondo me otto anni.”
“Allora qualcosa è avvenuto in te all’età di otto anni. C’è stato un inizio, uno dei tanti, un inizio importante. Come il mio, all’età di cinque anni. Ma non siamo qui per discutere, Mauro. Solo per…”
“Ho capito. Per ripulirci. E da cosa, in questo momento?”
Anche Valter si guarda le mani, meditabondo.
“Mauro, occhio alle domande. Per ora siamo qui per occuparci… della superbia.”

La sala

Sbuchiamo in una strana sala coloratissima, piena di calore, di musica. L’opposto del cortile. E’ gremita. Una piccola folla vociante è seduta su eleganti poltroncine rosse, ai lati di una passerella rivestita di velluto dello stesso colore. I vestiti sono lussuosi, abiti da sera per le donne, tutte molto belle, truccate, abiti scuri per i signori, distinti e brillanti.
Prendiamo posto su due poltroncine in seconda fila. Nessuno sembra notarci. Eppure siamo due bambini di cinque e otto anni, soli.
Restiamo in silenzio, guardandoci intorno. Alcuni hanno dei bicchieri da cocktail, sorseggiano liquidi colorati, gli uomini parlano nelle orecchie alle donne, che ridono rovesciando indietro la testa.
Non voglio, non posso fare altre domande.
E’ Valter che parla, di sua iniziativa.
“Dunque. Qualcosa dobbiamo per forza sapere, visto che è necessario capire, per fare pulizia.”
“Giusto” dico, con un senso di sollievo.
“Noi… tu, io e molti altri, siamo stati scrittori minori. Non nel senso che gli attribuiva Deleuze, intendiamoci, proprio minori, pubblicati da editori minori, con vendite e recensioni minori. Proletari insomma”
“Vero.”
“E abbiamo accumulato rabbia, rancore, perché nel paese dei parenti, delle caste, dell’ipocrisia elevata a sistema di potere, tutto è taroccato e non può esistere, mai, qualcosa di pulito, di onesto.”
“Vero” ripeto, anche se mi colpisce l’enfasi insolita del suo tono.
“Ecco, senti quanto malanimo esce dalla mia voce? Dobbiamo guarire. Siamo qui per questo.”
“Per questo? Per cosa Valter”
Un sorriso mesto. “Siamo qui per prenderci tutto in faccia, senza pietà.”


D’un tratto le luci della sala si attenuano, mentre la passerella resta illuminata. Una musica allegra si alza a volume alto. E’ We are family delle Sister Sledge.
Un personaggio avanza sulla passerella con passo felpato. Ha un sorrisetto accattivante disegnato sulla faccia, che ha un che di vagamente disumano, come se fosse scolpita nella cera. Lo riconosco, è il famoso presentatore televisivo Fabio Fazio. Stranamente indossa un paio di calzoni corti.
Si ferma al centro della passerella e si rivolge al pubblico.
“Buona sera, signore e signori! E’ un grande privilegio essere qui, per introdurre un grande scrittore, la cui presenza ci onora di fronte al mondo intero! E’ una grande emozione per me vederlo in carne e ossa, come una persona comune! Ono-ra-to, sono letteralmente travolto dall’onore e dall’emozione!”
Il pubblico esulta, l’eccitazione è alle stelle.
“Per cui vi presento il Professore Presidente Sandro Veronesi!”
Tutti guardiamo il fondo della sala. Esce Sandro Veronesi, fasciato in un accecante completo viola con cravatta azzurro elettrico, scarpe arancioni, camicia a pois. Cammina mettendo un piede davanti all’altro, ancheggiando, come le modelle quando sfilano. Applausi, sulle note sgargianti delle Sister Sledge.
“La prego, Professore Presidente Veronesi, ci onori con le sue parole sulla letteratura! Solo lei può farlo.”
Intanto qualcuno ha versato dei chicchi di granoturco accanto a Veronesi, e Fabio Fazio si inginocchia sui chicchi guardando Veronesi con mani giunte. Ecco il motivo dei calzoni corti.
“La letteratura non è rivoluzione, né conservazione” dice Veronesi. “La narrazione non può narrare l’inenarrabile. Non può narrare neanche il troppo narrabile. E tantomeno il mediamente narrabile. E’ una lezione che abbiamo appreso da grandi cronisti come Tacito, Senofonte, Federico Moccia, Fabio Volo.”
Fabio Fazio lo guarda ispirato e implorante. “La scongiuro, Professore Presidente Veronesi, mi onori appoggiandomi una mano sulla testa!” supplica.
Veronesi, dopo un attimo di riflessione, appoggia il palmo della mano destra sulla testa di Fabio Fazio. Il quale resta con le mani giunte e gli occhi chiusi. Applausi del pubblico.
Poi Fazio si rialza, si massaggia i ginocchi mentre un ragazzo spazza via i chicchi.
“Grazie, Presidente Veronesi. Grazie di essere stato qui!”
Veronesi si inchina con le braccia aperte, ringrazia e se ne va.

Ritorno nel cortile

“Allora?” chiede Valter.
“Terribile” rispondo.
“Dobbiamo abituarci, Mauro. Assisteremo a migliaia i rappresentazioni come questa. E poi la sceneggiata dei premi letterari, decine di migliaia, tutti vinti da Gianrico Carofiglio, mentre i nostri libri non verranno mai nominati. E tu… ho saputo che dovrai vivere e rivivere una scena in cui ti presenti a Elisabetta Sgarbi per perorare la ripubblicazione del tuo capolavoro La città nera. Lei non ti considera, si gira dall’altra parte, parla al telefono. A un certo punto entra Franco Arminio con un libretto di poesie e la Sgarbi scoppia subito in lacrime esclamando meraviglia! Meraviglia!”
Strabuzzo gli occhi. “Vivere e rivivere? Che vuol dire? Per quanto tempo?”
“Minimo mille anni.”
“Che?…. Ma scusa, allora Franco Arminio è qui in purgatorio?
“Ma no. E’ in paradiso.”
Te pareva.
Restiamo in silenzio. Intanto viene verso di noi uno strano personaggio. E’ alto due metri, nudo, a parte un piccolo perizoma, con un fisico da culturista.
“L’angelo viene a chiamarci. Dobbiamo rientrare per assistere di nuovo alla scena. Anche qui ne avremo per un migliaio di anni. Cioè, io dieci li ho già scontati.”
Prima che ci raggiunga riesco a porgli ancora qualche domanda.
“Com’è il paradiso?”
“Nessuno di noi l’ha mai visto. Non ci è permesso. E’ un luogo pieno di colori, musica, fiori, piscine. E’ all’insegna del piacere, che consiste nelle lodi: tutti lodano tutti. Per esempio Berlusconi…”
Lo interrompo. “Cosa stai dicendo? Berlusconi è in paradiso?”
“Certo. Lui…”
Lo interrompo di nuovo. “Ma com’è possibile? Con tutto quello che ha combinato?”
L’angelo ci raggiunge. Emette dei suoni gutturali, che Valter sembra capire. Apre la bocca e vedo una doppia fila di denti neri, aguzzi, e una lingua che mi sembra biforcuta. Ci avviamo verso la sala.
“Beh, ovviamente ha corrotto gli angeli del paradiso” dice Valter. “Sai, il Capo non segue tutto. Ha l’intero universo da seguire, per cui si affida a un gruppo di angeli.”
“Corrotto? E come si corrompe un angelo?”
Valter sorride. “Con le escort. Berlusconi ha capito subito che sono ossessionati dalla loro natura asessuale. Sognano di essere come noi umani.”
Arriviamo di nuovo in sala. Ci sediamo. Io sento un nervosismo che mi corre lungo la schiena e non si placa. “Dunque anche qui c’è la stessa merda di laggiù sulla terra?”
Valter risponde sottovoce, guardandosi intorno. “In un certo senso sì. Comunque giù all’inferno sembra che si stia preparando un’insurrezione. Un gruppo vorrebbe irrompere in paradiso e cacciare via gli angeli corrotti. Li guida Giulio Milani, l’editore. E’ molto arrabbiato. L’hanno messo a servizio di Nicola Lagioia, come segretario tuttofare, con l’obbligo di leggere tutto ciò che scrive, compresi gli appunti, la lista della spesa, e commentare con recensioni elogiative.”
“Allora Lagioia è all’inferno?”
“Ma no! Non hai capito. E’ ancora vivo, come Veronesi e Fazio. La loro immagine serve per punire i penitenti. E comunque hanno già un posto prenotato in paradiso, come tutti i vip.”
Sono confuso, e oppresso da un peso che mi schiaccia. Valter se ne accorge, e prima che si spengano le luci, e faccia il suo ingresso Fabio Fazio, riesce a dirmi: “Non te la prendere troppo. Stai saldo. Io sono contento se ci ripuliamo dalla superbia e dal narcisismo, così potremo partecipare all’insurrezione come uomini nuovi.”
Sarà. Eccolo, Fazio in pantaloni corti.
“Intanto un piccolo aiuto è recitare un mantra” bisbiglia. “Aiuta.”
“Ah sì? Tu lo fai?”
“Certo” conclude Valter, con una mano davanti alla bocca. “E’ sempre lo stesso, ogni mattina: Everyday, everyday I have the blues.”