di Antonio Senta

Laura Fotia (a cura di), Le politiche dell’odio nel Novecento americano, Nova Delphi, 2020, pp. 243, € 22,00.

Il neonato progetto Nova Delphi Academia, nato dall’esperienza editoriale di Nova Delphi libri, ha recentemente dato alle stampe una raccolta di saggi curata da Laura Fotia, docente di Storia dell’America latina contemporanea presso l’Università degli Studi Roma Tre, dal titolo Le politiche dell’odio nel Novecento americano.
Si susseguono così una decina di case studies specifici volti ad analizzare le varianti che le politiche dell’odio e quindi di individuazione e stigmatizzazione del nemico o del diverso, hanno assunto in diversi momenti e contesti della storia del XX secolo negli Stati Uniti e in America Latina.
Alcuni segni di continuità si ritrovano in molti saggi: su tutti la questione della componente etnica nelle politiche repressive e l’anticomunismo come insieme più grande al cui interno si inseriscono le politiche dell’odio. Nel contesto americano l’indissolubilità del legame tra il concetto di sicurezza e la lotta alle varie forme che l’espansionismo sovietico poteva assumere è stata oggetto di teorizzazioni quali la Doctrina de Seguridad Nacional che ha posto le condizioni per la sospensione di fatto dello stato di diritto in diversi paesi dell’area.

Giuliano Santangeli Valenzani indaga quindi la retorica dell’odio nella politica del Sud segregato (1900-1965) e il ruolo che in essa giocò il Ku Kux Klan. Francesco Davide Ragno si occupa della delegittimazione politica in Argentina (1912-1943) – prima sotto Yrigoyen e la sua “repubblica radicale” e poi con il generale Uriburu, autore, nel 1930, del primo golpe militare della storia repubblicana argentina – analizzando la delegittimazione come strumento di una politica “dell’unanimità”.
Roberto Carocci si concentra sulla repressione antianarchica negli Stati Uniti del primo Novecento, che monta in seguito al ferimento a morte del presidente McKinley per mano dell’operaio di origini polacche, e di simpatie libertarie, Leon Czolgosz (Buffalo, settembre 1901) e sottolinea come tale repressione delineò una nuova cornice giuridico-politica e culturale di stampo maggiormente autoritario, che negli anni della prima guerra mondiale e della rivoluzione russa si generalizzò all’insieme del dissenso sociale.
Fulvia Zega invece analizza in Argentina e Brasile (1937-1945) la figura del nemico e le politiche della paura messe in campo dalla rivista argentina antisemita “Clarinidada” e, in Brasile, dal Departamento de Ordem Político e Social de Rio Grande do Sul contro i migranti.
Alice Ciulla, nel suo intervento “Stati Uniti, ideologia e anticomunismo liberale. Il caso del Partito comunista italiano (1945-1964)” mette in evidenza, d’altra parte, un confronto con il comunismo che non passa attraverso il processo di costruzione strumentale della figura del nemico. Si occupa infatti di cogliere l’evoluzione, sul piano teorico, dell’anticomunismo liberale del dopoguerra statunitense che, nel suo studio del Pci, si fa progressivamente meno rigido, mutando alcune proprie interpretazioni precedenti sul partito e sul suo ruolo nella politica italiana.
Claudia Bernardi si confronta con il tema della violenza della razzialità contro i lavoratori messicani e i chicanxs negli anni settanta, ripercorrendo una fase storica, con evidenti parallelismi con l’oggi, in cui la costruzione di un immaginario ostile ai messicani ha prodotto politiche istituzionali di espulsione e di stigmatizzazione.

Vito Ruggiero nel saggio “Con el testamiento bajo el brazo. L’anticomunismo violento come ponte tra America Latina e Italia” indaga i legami tra i regimi instauratisi a partire dal golpe militare del 1964 in Brasile e l’estrema destra italiana, su tutti i terroristi provenienti dalle file di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale. La Doctrina de Seguridad Nacional – riferimento teorico su cui i regimi latinoamericani fondarono la propria azione – e il pensiero evoliano, alla base della dottrina delle due formazioni neofasciste, furono distinti su temi quali la questione della vicinanza agli Stati Uniti e la scelta del capitalismo come sistema economico di riferimento. Tuttavia Ruggiero mette in evidenza il fatto che essi siano stati fortemente accomunati dalla pratica di un anticomunismo violento, ritenuto legittimo e necessario.
Francesca Casafina rende conto di un’originale ricerca sullo sterminio della Unión Patriótica in Colombia (1984-2002), partito a maggioranza comunista nato nel 1985 dopo i primi accordi di pace tra il governo e le Farc-Ep, accusato di essere il braccio politico della guerriglia e oggetto di una politica sistematica di omicidi che ha fatto oltre seimila vittime.
In ultimo la curatrice Laura Fotia studia le dinamiche connesse alla pratica della desaparición forzada nella guerra civile in El Salvador (1980-1992), un conflitto che ha provocato oltre settantamila vittime civili in cui il ricorso a tale pratica ha costituito un elemento cardine di una strategia del terrore particolarmente atroce.

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