di Cesare Battisti

Al mio piccolo Raul Tomaz. Per il suo gatto di peluche che
intravvedo nella videochiamata, per le leccornie che sgraffigna nella
dispensa, per i suoi viaggi all’infinito.

In mezzo a un mare sconosciuto, dietro una barriera di onde
mostruose, sorgeva l’isola del Gatto Blu. Era un’isola misteriosa,
piena di incanti e di segreti. Così segreti che mai nessuno era riuscito
a scoprirli.

Era un’isola magica. Si diceva che chiunque riuscisse ad
approdare sulle sue spiagge dorate avrebbe ricevuto il potere di realizzare
tutti i propri sogni. I sogni? Si, tutti, anche quelli più birichini. A chi
non sarebbe piaciuto possedere un dono così grande! Ma, come tutte
le meraviglie, rari sono coloro che le meritano.

Si partiva da ogni parte della Terra per sfidare le onde e poter
attingere a un bene tanto prezioso. Certe volte sembrava quasi che
qualcuno ce l’avesse fatta. Ma, a due passi dalla spiaggia dorata, quando già i pesciolini dai colori scintillanti uscivano dall’ acqua per
applaudire, lo sventurato, sfinito dallo sforzo, perdeva la speranza e
annegava.

Era molto difficile arrivare sull’isola. Re, guerrieri, perfino
super eroi, chiunque osasse sfidare il mare finiva travolto da onde
grandi come montagne. Non serviva granché la forza, né l’astuzia e
tanto meno la ricchezza. Solo chi avesse il cuore puro come l’amore
poteva realizzare il sogno meraviglioso.

Ma come si fa ad avere il cuore puro? Era questa la domanda
che tutti facevano e a cui nessuno sapeva dare una risposta.

Dopo tanti tentativi tragicamente falliti di raggiungere l’isola,
neanche i più coraggiosi osarono più mettersi in viaggio. Troppi di
loro erano partiti e non erano tornati. Nessuno sarebbe riuscito a vincere la furia del mare. Passarono così gli anni. Occupati a farsi la
guerra, i popoli finirono per dimenticare l’isola meravigliosa del
Gatto Blu.

Tanto tanto tempo dopo, quando ormai anche le guerre si erano
stancate degli uomini e questi non sapevano più che fare, scoppiò
una pandemia che sconvolse il mondo. Da un giorno all’ altro, tutti
quelli che andavano per strada a divertirsi o a lavorare furono
costretti a rimanere chiusi in casa. Se uscivano all’aperto, il virus
cattivo li assaliva all’improvviso e li asfissiava. Solo quelli che
uscivano con la mamma e la mascherina, riuscivano talvolta a
correre fino al mercato e poi via di corsa a casa. Ma non si poteva
andare tutti i giorni, era pericoloso!

Una vita così dura non la merita nessuno. Perfino gli alberi e gli
animali del parco si erano intristiti. Perché i bimbi non venivano più
a giocare. I piccoli restavano chiusi in casa tutto il giorno. Poverini,
cercando qualcosa per distrarsi o un boccone da mangiare. Non era
vita da fare quella. Un bimbo ha ben diritto di giocare, sgambettare
all’ aria libera per affannare un po’ la mamma che gli corre dietro.’ E
non starsene in casa a sognare a occhi aperti, aspettando che
succeda qualcosa d’interessante.

Era quanto succedeva a Bubù nel tempo della pandemia.

Il pomeriggio era afoso. Il bimbo stava con il viso affondato nel
divano. “E adesso che faccio io ?” si chiedeva scalciandodall’ agitazione. Di tanto in tanto si alzava per andare alla chetichella
al frigo a prendersi qualcosa da sbocconcellare. Bisognava far pian
pianino. Non farsi sentire dalla mamma che fingeva di lavorare nella
stanza accanto. Ma, pur essendo di bocca buona, il povero Bubù non
ne poteva più delle solite melanzane. O di quella quagliata che lui
trovava alquanto disgustosa.

La pandemia non cedeva. Per un tempo Bubù aveva anche
provato a rassegnarsi a quella clausura. Ma adesso si sentiva
soffocare. Sognava a occhi aperti prati sterminati, corse a perdifiato, le foreste, i giochi, il mare. Ma quel giorno, l’immagine più straziante, quella che non lo abbandonava, era un piattone pieno
di salcicce coi funghetti e le patatine. Una delizia che lo prendeva
allo stomaco, facendolo ritorcere sul divano come un’anguilla a
secco.

All’orlo della disperazione, coll’ odore di salciccia che gli annebbiava la vista, gli sfuggì un gemito che fece vibrare tutta la casa. Spaventato dal proprio lamento, non si accorse subito di
un miagolio. Poi senti un pelo morbido strusciargli la gamba nuda,
allora balzò a sedere. Quale non fu la sua sorpresa nello scoprire un
gatto blu sul suo divano. Era un gatto grande e grosso e se ne stava
tranquillamente seduto sulle zampe posteriori. Lo guardava fisso e
sembrava gli stesse sorridendo coi suoi lunghi baffi neri. Ripresosi
dalla sorpresa, Bubù si accorse che il blu non era un colore da gatti.
E poi, da dove era mai spuntato fuori?

– Quante domande che fai, parlò improvvisamente il gatto.
Bubù andò a rannicchiarsi sul fondo del divano, nascose il viso
tra le mani. Possibile che sia stato proprio lui a parlare? Non sarà la
fame che mi fa sentire delle cose? Bubù sbirciò tra le dita per
accertarsi di non averlo immaginato. Ma il gatto blu stava proprio là,
seduto sul suo divano. Con aria un po’ seccata, parlò di nuovo:

– Cosa ti succede, non hai mai visto un gatto?

Bubù respirò a fondo, si pizzicò un orecchio. Poi trovò il coraggio di rispondere:

– Si, cioè no, i gatti non parlano. Il gatto blu scoppiò a ridere.

– Shhht, fece subito Bubù. La mamma ti può sentire.

– Hai ragione, rispose il gatto. Meglio stare attenti, le mamme

sono delle impiccione. Ma dimmi, piccolo mio, cos’è questa storia di
salcicce, prati e mare? Bubù rimase bocca aperta.

– Come fanno i gatti a sapere quello che penso io? chiese
incredulo. Il gatto blu stava per esplodere in un’altra risata, ma si
trattenne tappandosi la bocca con la zampa.

– He, he, mio caro, ma io non sono uno qualunque. Sono il
Gatto Blu, il guardiano dell’isola magica.

A queste parole Bubù saltò su stizzito.

– Non è vero, il maestro a scuola ha detto che questa è una
leggenda.

– Verissimo, fece il gatto battendo con la zampina sul divano,
ma anche le leggende possono diventare realtà. Guardami, non ti sto
forse parlando in questo momento?

Il povero Bubu non trovava più parole. A lui sarebbe piaciuto
eccome che quel gatto blu dicesse la verità e che l’isola magica
esistesse per davvero. Ma una cosa del genere non era successa mai
a nessuno. Perché proprio a lui? Non sarà stato per caso il virus che lo faceva delirare? E poi…

Il Gatto Blu interruppe bruscamente i suoi pensieri.

– Smettila di lamentarti, lo sai in quanti ci hanno provato ad
andare sull’isola e sono tutti morti? E tu che hai la fortuna di avermi
qui vorresti sprecarla perché i grandi dicono che non esisto? Non ti
piacerebbe .realizzare tutti i tuoi sogni? Quella salciccia, per
esempio, huumm, te la sei scordata?

Bubù sentì la bocca riempirsi di saliva. Ci si sarebbe tuffato su
quella salciccia, ma aveva troppa paura di svegliarsi masticando
ancora melanzane.

– E dagli con queste melanzane. Insomma la vuoi o no questa
salciccia?

– E va bene, gridò Bubù, cosa devo fare per averla?

– Semplice, miagolò il Gatto Blu, devi solo accarezzare la mia

testa.

– Ci saranno anche i funghi con le patatine?

– Certo, ma allora dovrai accarezzare con tutta la purezza del

tuo cuore.

Non appena Bubù fece scorrere dolcemente le dita sulla testa
del Gatto Blu, un piatto fumante di salcicce, funghi e patatine si materializzò sul divano. Titubante, Bubù allungò la mano. Sentì la
consistenza e, inebriato dall’ odore, si avventò sul piatto e cominciò
a ingozzarsi a piene mani.

– Ehi, calma, lascia qualcosa anche a me, che poi devo tornare
fin laggiù sull’ isola.

In un battibaleno il piatto fu ripulito. Bubù si leccava
rimpinzato le dita e il Gatto Blu le sue zampine.

-Beh, adesso devo proprio andare, disse il Gatto Blu,
stiracchiandosi pigramente. Quando vuoi realizzare un altro sogno
cercami.

A Bubù uscirono le lacrime.

– Ma io non posso attraversare le onde alte come montagne per
venire sulla tua isola.

Commosso da quelle parole, il Gatto Blu gli saltò sulle ginocchia
e con la lingua un po’ ruvida gli asciugò le lacrime. Poi disse in un
miagolio armonioso:

– Non preoccuparti mio amichetto, tu hai il cuore puro, non ci
saranno-onde a fermarti nei viaggi lunghi da-fere. Basta pensarmi con
il cuore ed io sarò qui a realizzare ogni tuo sogno.

Dette queste parole, il Gatto Blu, pouf, svanì nel nulla. Bubù ci
pensò su un attimo. Poi corse al frigo e si servì un resto di
marmellata di ciliege. Il Gatto Blu aveva dimenticato il dessert.